Chi meglio di Michele Vietti. Un papabile ministro autore del falso in bilancio, che ha costruito un salvacondotto del Cavaliere da vari processi, l’ideatore stesso del legittimo impedimento poi bocciato dalla Consulta. Ecco il nome che può riuscire nell’impresa di togliere (con una mossa comunque gradita a Berlusconi) il carro della giustizia davanti ai buoi del governo, fornendo a Berlusconi ampie garanzia di impunità in cambio del suo appoggio al governo di Letta junior. Piemontese, 58 anni, democristiano militante nel centrodestra assai propenso a inclinarsi nella direzione del vento che, in questo momento, tira a una direzione precisa. Il suo nome, a quanto pare, spunta nella rosa dei potenziali ministri senza particolari obiezioni e perplessità, col piglio del profilo tecnico e della competenza. Del resto sono 15 anni che sta al centro delle contese tra politica e giustizia, occupando il ruolo di sottosegretario nel secondo governo Berlusconi, di membro laico del Csm e dal 2010 sulla seconda poltrona dell’organo di autogoverno della magistratura, con il placet e i voti (anche) del centrosinistra.

Lì doveva rimanere fino al 2014 ma l’emergenza lo chiama al governo. Basta però voltarsi indietro per capire il quid di Vietti: la sua instancabile opera di uomo d’ordine del centrodestra berlusconiano nella contesa sulla giustizia, che in mille modi si è sforzato di accreditare la versione di Berlusconi per la giustizia, quella secondo cui il problema dell’Italia è la magistratura eversiva che s’accanisce (inspiegabilmente) contro di lui.

In due cruciali occasioni ha dato prova di fede, in tempi sospetti e con fatti certi. Da sottosegretario, nel secondo governo Berlusconi, ha impresso il suo nome alla controriforma del falso in bilancio, quella che ha salvato il Cavaliere da due processi perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Si tratta dei processi “All Iberian 2” (i giudici hanno decretato il proscioglimento nel 2005) e Sme (concluso nel 2008).

Vietti è stato anche l’ideatore del legittimo impedimento, poi bocciato dalla Consulta, in una versione per altro “ad premier” cioè rivolta solo al presidente del Consiglio e non ai ministri, come hanno preteso Pdl e Lega perché c’era di mezzo Brancher. A parte questi episodi, le cronache politiche dell’ultimo decennio ben illustrano perché il suo nome è preferibile ad altri. Uomo di rara preveggenza, nel giugno del 2000 esulta quando il gip assolve B. per i reati penali legati al Lodo Mondadori: “La decisione scardina un teorema – dice Vietti – Finalmente anche a Milano, dopo che a Palermo, inchieste che hanno fatto la fortuna di alcuni magistrati e la sfortuna di alcuni imputati cadono sotto il vaglio dei giudicanti”. Evviva. Peccato che nel 2007 i sodali (Previti, Acampora e Pacifico) siano stati condannati in sede penale e lo stesso Berlusconi in sede civile a pagare un maxirisarcimento a De Benedetti

Il 25 ottobre del 2001 Berlusconi è al congresso di apertura di Forza Italia e attacca frontalmente i magistrati, indicandoli come attori di processi politici e la necessità di metterli sotto inchiesta per come hanno condotto Tangentopoli. Per Vietti, quelle di Berlusconi non sono allucinazioni ma parole sante, anzi, vere e proprie “ovvietà”: “Senza nulla togliere al discorso del Presidente, ritengo abbia detto ovvietà sul fatto che ci sono stati processi non supportati da idoneo materiale probatorio”. Da qui, l’esigenza imperante di una commissione dei parlamentari contro i giudici che li hanno indagati. “Fa parte di quei ritornelli che bisogna smettere di recitare, perché così forse finalmente si farà” (25/10/2001). Vietti, da sottosegretario alla Giustizia, cerca di tradurre gli indirizzi del “capo” con una riforma dell’ordinamento giudiziario che (in pieno processo Sme) dovrebbe prevedere il “ripristino dell’autorizzazione a procedere o qualche forma di immunità che introduca un filtro tra potere giudiziario e legislativo” (19/11/2002), senza tralasciare “l’introduzione del principio di responsabilità personale del magistrato” (25/12/2002). Quando otto anni dopo sarà eletto alla guida del Csm, con 26 voti su 24, di tutto questo non si ricorderà (quasi) nessuno. Riceverà anche i voti del Pd che si riunì alla vigilia della votazione (Bersani, Finocchiaro, Franceschini) per optare su un nome che non fosse un falco di Berlusconi ma a lui non sgradito. E così la triangolazione sul suo nome può tornare buona oggi che tocca rimuovere il carro del diritto davanti ai buoi del governo.

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