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Governo Letta, Krugman: “L’Italia resta nel caos, chance di riforme sono minime”

Il premio nobel per l'economia non è convinto dal nuovo esecutivo, ma segnala un "miracolo italiano": il forte calo del rendimento dei titoli di Stato, attribuibile alla predisposizione della Banca centrale europea e del suo presidente Mario Draghi ad acquistare i titoli dei Paesi in difficoltà
Krugman
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Il nuovo governo italiano non convince il premio Nobel per l’economia Paul Krugman. “L’Italia è un caos. Sì, ha finalmente un presidente del Consiglio, ma le probabilità che vengano adottate riforme economiche serie sono minime”. Così l’economista americano apre il suo ultimo articolo per il New York Times intitolato “Il miracolo italiano”, sottolineando con soddisfazione che “la volontà di insistere sulla strada della rigida austerity sta evaporando”.

Il “miracolo” del nostro Paese, secondo Krugman, è il rendimento dei titoli di Stato italiani a dieci anni. E’ proprio questo il passaggio dell’esperto che è stato messo più in rilievo da diversi quotidiani italiani, che non hanno invece riportato i suoi dubbi sul nuovo premier italiano. Krugman sottolinea quanto i rendimenti siano in netto ribasso rispetto a un anno fa e attribuisce il fenomeno alla predisposizione della Banca centrale europea – e quindi del suo presidente Mario Draghi – ad agire come “prestatore necessario”, ossia ad acquistare i bond dei Paesi periferici in difficoltà.

Grazie a Draghi, sottolinea l’economista, “l’Italia è di nuovo a metà strada verso il primo mondo”. Dopo essere entrata nell’euro era diventata infatti, “dal punto di vista macroeconomico, un Paese del terzo mondo con un debito in valuta straniera, esponendo se stessa a una crisi del debito sovrano”. Altro fattore positivo, aggiunge Krugman, è la scelta di puntare meno sull’austerità, che rende “meno probabile un default del nostro Paese”.

Il fatto che il rendimento dei titoli di Stato sia calato, secondo l’economista, dimostra che “i tassi di interesse in rialzo nei Paesi alla periferia dell’Europa avevano poco a che fare con le preoccupazioni legate alla loro solvibilità ed erano invece frutto del panico sui mercati dovuto al fatto che i Paesi entrati nell’euro non avevano più un prestatore di ultima istanza e dunque potevano incorrere in una crisi di liquidità“.

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