L’immagine è forte: due occhi, (soltanto quelli), sbucano dall’unica fessura presente nel sudario dell’abito/prigione in uso in molti paesi islamici, l’hijab.
Normale, inquietante abbigliamento, per esempio, in Arabia Saudita, da dove questo manifesto proviene. Ma c’è un particolare che informa che siamo di fronte ad una novità: uno dei due occhi è pesto, chiaramente segnato dalle percosse. E’ innegabile che faccia scalpore, così come è trasgressivo il logo che ne spiega il senso: “Alcune cose non possono essere coperte – combattere ogni forma di violenza contro le donne”, c’è scritto.
La campagna è finanziata dalla Fondazione Re Khalid, fondata nel 2001 dalla famiglia dell’ultimo Re Khalid in carica in Arabia Saudita dal 1975 al 1982, che ha tra le sue priorità la protezione legale per donne e bambini vittime di abusi, in uno dei paesi del mondo dove convivono ricchezze enormi e tradizioni culturali (e politiche) di una arretratezza sconvolgente, sotto l’egida della più ferrea interpretazione della legge islamica della Sharia.
L’Arabia Saudita, infatti, è agli ultimi posti, (numero 131 su 134 stati) della classifica del World Economic Forum rispetto alla parità tra uomini e donne, in particolare per la condizione delle donne e delle bambine dentro le mura domestiche, dove la legge islamica fa del marito e padre il detentore delle sorti di vita e di morte delle congiunte.
Di recente saltato alla ribalta mondiale per la lotta di alcune donne per l’ottenimento del diritto di guidare l’auto da sole, (mentre per le bici e le moto è possibile cavalcarle solo in burka o con una compagnia maschile), il paese ora comincia ad ammettere, per bocca dei funzionari della Fondazione, che “il fenomeno delle donne maltrattate in Arabia Saudita è più importante di quello che sembra”.
Siamo agli albori di una fase nuova per i diritti delle donne in uno dei paesi che fa scuola, insieme all’Egitto, per rigore fondamentalista?
A sentire una delle attiviste femministe più informate e coraggiose, Maryam Namazie, che da sempre lotta contro il fondamentalismo islamico, l’iniziativa appare più come uno specchietto per le allodole che un cuneo serio nell’ingranaggio politico e religioso dell’area.
“Questa campagna contro la violenza in Arabia Saudita nasce chiaramente in risposta alla indignazione pubblica causata dalla vicenda di Lama, una bimba di soli 5 anni, morta dopo aver affrontato indicibili torture per mano di suo padre, che è stato effettivamente lasciato andare senza sanzioni.
Qualsiasi azione per fare luce sulla violenza domestica è estremamente importante, ma non si tratta solo di una questione di educazione e di sensibilizzazione- sostiene Namazie. Per fermare la violenza domestica devono esserci modifiche importanti e strutturali del codice penale, che introducano una legge che criminalizzi la violenza e persegua chi la commette. Secondo la Sharia, invece, la violenza contro le donne e i bambini è spesso vista come una prerogativa del tutore maschio – come caso di Lama evidenzia”.
A causa anche delle pressioni internazionali alcune aperture nella realtà saudita cominciano a palesarsi: dal 2011 le donne hanno avuto il diritto di votare, e nel prossimo 2015 potranno essere elette nei municipi. Ma resta l’inquietante figura del ‘tutore’: marito, padre, fratello o altro familiare maschio, che in qualunque momento può e deve sancire la possibilità (o l’impossibilità) per la donna di lavorare, uscire, lasciare il paese, studiare, sposarsi: insomma vivere. Le donne, in questo paese, sono a qualunque età, in uno stato evidente di minorità, e vivono sotto tutela fino alla morte.
“Il governo saudita vuole far vedere che sta compiendo uno sforzo contro la violenza, di fronte alla opinione pubblica- conclude Maryam Namazie. Il primo autore della violenza nella società saudita, però, è il regime stesso e le sue leggi medievali.
Il modo migliore per cominciare a porre fine alla violenza contro donne e bambini è fermare l’applicazione della Sharia, non fare una campagna pubblicitaria”.
Monica Lanfranco
Giornalista femminista, formatrice sui temi della differenza di genere
Donne di Fatto - 1 Maggio 2013
Lividi sotto l’hijab: prima campagna saudita contro la violenza sulle donne
L’immagine è forte: due occhi, (soltanto quelli), sbucano dall’unica fessura presente nel sudario dell’abito/prigione in uso in molti paesi islamici, l’hijab.
Normale, inquietante abbigliamento, per esempio, in Arabia Saudita, da dove questo manifesto proviene. Ma c’è un particolare che informa che siamo di fronte ad una novità: uno dei due occhi è pesto, chiaramente segnato dalle percosse. E’ innegabile che faccia scalpore, così come è trasgressivo il logo che ne spiega il senso: “Alcune cose non possono essere coperte – combattere ogni forma di violenza contro le donne”, c’è scritto.
La campagna è finanziata dalla Fondazione Re Khalid, fondata nel 2001 dalla famiglia dell’ultimo Re Khalid in carica in Arabia Saudita dal 1975 al 1982, che ha tra le sue priorità la protezione legale per donne e bambini vittime di abusi, in uno dei paesi del mondo dove convivono ricchezze enormi e tradizioni culturali (e politiche) di una arretratezza sconvolgente, sotto l’egida della più ferrea interpretazione della legge islamica della Sharia.
L’Arabia Saudita, infatti, è agli ultimi posti, (numero 131 su 134 stati) della classifica del World Economic Forum rispetto alla parità tra uomini e donne, in particolare per la condizione delle donne e delle bambine dentro le mura domestiche, dove la legge islamica fa del marito e padre il detentore delle sorti di vita e di morte delle congiunte.
Di recente saltato alla ribalta mondiale per la lotta di alcune donne per l’ottenimento del diritto di guidare l’auto da sole, (mentre per le bici e le moto è possibile cavalcarle solo in burka o con una compagnia maschile), il paese ora comincia ad ammettere, per bocca dei funzionari della Fondazione, che “il fenomeno delle donne maltrattate in Arabia Saudita è più importante di quello che sembra”.
Siamo agli albori di una fase nuova per i diritti delle donne in uno dei paesi che fa scuola, insieme all’Egitto, per rigore fondamentalista?
A sentire una delle attiviste femministe più informate e coraggiose, Maryam Namazie, che da sempre lotta contro il fondamentalismo islamico, l’iniziativa appare più come uno specchietto per le allodole che un cuneo serio nell’ingranaggio politico e religioso dell’area.
“Questa campagna contro la violenza in Arabia Saudita nasce chiaramente in risposta alla indignazione pubblica causata dalla vicenda di Lama, una bimba di soli 5 anni, morta dopo aver affrontato indicibili torture per mano di suo padre, che è stato effettivamente lasciato andare senza sanzioni.
Qualsiasi azione per fare luce sulla violenza domestica è estremamente importante, ma non si tratta solo di una questione di educazione e di sensibilizzazione- sostiene Namazie. Per fermare la violenza domestica devono esserci modifiche importanti e strutturali del codice penale, che introducano una legge che criminalizzi la violenza e persegua chi la commette. Secondo la Sharia, invece, la violenza contro le donne e i bambini è spesso vista come una prerogativa del tutore maschio – come caso di Lama evidenzia”.
A causa anche delle pressioni internazionali alcune aperture nella realtà saudita cominciano a palesarsi: dal 2011 le donne hanno avuto il diritto di votare, e nel prossimo 2015 potranno essere elette nei municipi. Ma resta l’inquietante figura del ‘tutore’: marito, padre, fratello o altro familiare maschio, che in qualunque momento può e deve sancire la possibilità (o l’impossibilità) per la donna di lavorare, uscire, lasciare il paese, studiare, sposarsi: insomma vivere. Le donne, in questo paese, sono a qualunque età, in uno stato evidente di minorità, e vivono sotto tutela fino alla morte.
“Il governo saudita vuole far vedere che sta compiendo uno sforzo contro la violenza, di fronte alla opinione pubblica- conclude Maryam Namazie. Il primo autore della violenza nella società saudita, però, è il regime stesso e le sue leggi medievali.
Il modo migliore per cominciare a porre fine alla violenza contro donne e bambini è fermare l’applicazione della Sharia, non fare una campagna pubblicitaria”.
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Roma, 26 feb. (Adnkronos) - Domani giovedì 27 febbraio alle ore 11 si terrà alla Camera dei deputati, Sala Berlinguer (via Uffici del Vicario, 21) la conferenza stampa su "La risposta al caro bollette esiste: il governo ci ascolti".
Le proposte saranno illustrate da Annalisa Corrado, responsabile Conversione ecologica, clima, green economy e agenda 2030 nella segreteria del Pd, da Enrico Cappelletti, parlamentare M5S e da Luana Zanella, capogruppo AVS alla Camera dei Deputati. Saranno presenti le associazioni di consumatori, le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria e del terzo settore.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - "Trump annuncia dazi per il 25% per l'Unione Europea: una guerra commerciale che pagheranno imprese e lavoratori italiani. E' finito per Giorgia Meloni il tempo dei tentennamento, deve scegliere che parte stare". Lo dice la segretaria del Pd, Elly Schlein, parlando con i cronisti alla Camera.
"Dopo il silenzio imbarazzante di questi giorni di attacchi di Trump su Unione Europa e Ucraina, ora dica da che parte sta perché questa guerra commerciale saranno imprese, lavoratrici e lavoratori a pagarla".
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - La Camera ha approvato la pdl sulla partecipazione dei lavoratori con 163 sì. I voti contrari sono stati 40, 57 gli astenuti.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - “Siamo davanti a un provvedimento stravolto dalla maggioranza rispetto alla sua versione iniziale. Il M5S è nato tra la gente: da sempre abbiamo mostrato attenzione e rispetto per le proposte di legge di iniziativa popolare, com’era questa. Oggi però ci troviamo a votare un testo che tradisce il dettato costituzionale e piccona la contrattazione collettiva. Votiamo convintamente no”. Così la capogruppo del M5S in commissione Lavoro, Valentina Barzotti, durante la dichiarazione di voto sulla pdl per la partecipazione dei lavoratori alla governance dell’impresa.
“Questa pdl - ha ripreso - stravolge tutti i principi posti a regola dall’Ue sulla partecipazione. Noi ritenevamo dovesse essere la contrattazione a incoraggiare i lavoratori alla partecipazione, invece saranno le aziende a determinare unilateralmente, sulla base degli statuti, come essi devono farlo. Addirittura c’è la possibilità di sostituire i premi di risultato con delle azioni: una previsione che riteniamo pericolosissima. In un momento simile sarebbe servito incentivare altri strumenti e meccanismi, come i workers buyout e il salario minimo e non questo clamoroso imbroglio”, ha concluso Barzotti.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - “Una domanda a Stroppa: cosa si intende con ‘altro’?”. Così il deputato democratico Alberto Pandolfo, firmatario degli emendamenti approvati in Commissione Attività Produttive alla Camera sulla legge spazio, replica al referente italiano di Elon Musk, Andrea Stroppa, che in un appello a FdI ha dichiarato: "Non ci chiamino più per convegni o altro".
“È interessante sapere – chiede Pandolfo – a cosa si riferisca Stroppa con quel ‘altro’, perché, detta così, sembra quasi che ci siano state delle interlocuzioni o delle collaborazioni tra le aziende di Musk e il partito della presidente del Consiglio che noi non conosciamo. Le sorelle Meloni dovrebbero fare chiarezza su questo aspetto che getta una inquietante ombra sui rapporti tra FdI e le aziende di Musk”.
Roma, 26 feb. - (Adnkronos) - "L'implementazione efficiente delle misure antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo rimane problematica" ma "sebbene siamo tutti d'accordo sul fatto che non si possa scendere a compromessi sull'integrità del sistema di pagamento, c'è sicuramente spazio" per migliorare i processi. Lo ha sottolineato il governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta, nel suo intervento a un evento sui pagamenti transfrontalieri, nel quadro del G20 in Sudafrica.
Panetta ha ricordato gli "oneri e costi aggiuntivi per i fornitori di servizi di pagamento che alla fine ricadono sull'utente finale" prodotti dalle "misure di gestione dei flussi di capitale" e dal fatto che "molte valute dei mercati emergenti non possono essere facilmente scambiate tra loro". Un utente finale, ha aggiunto, penalizzato anche "dall'assenza di interoperabilità tra le soluzioni di pagamento nazionali".
Di qui, per Panetta "l'importanza di concentrarsi sui miglioramenti dei sistemi nazionali per consentire i pagamenti transfrontalieri: standardizzazione, cooperazione e innovazione sono quegli strumenti che rendono i sistemi di pagamento nazionali "adatti" ai pagamenti transfrontalieri". "Attraverso la collaborazione possiamo stabilire le giuste coordinate, anche se abbiamo punti di partenza diversi, orientandoci insieme verso un ecosistema di pagamento più integrato ed efficiente" ha concluso il governatore della Banca d'Italia.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - "Siamo soddisfatti delle parole del ministro Schillaci: il governo, nella sua decisione di equiparare medici generici e specializzandi trasformando il corso di formazione per i medici di medicina generale in una vera e propria scuola di specializzazione, accoglie le nostre proposte". Lo ha detto il presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi durante il Question Time alla Camera.
"È una svolta necessaria per garantire la qualità dell’assistenza e la dignità della professione, un tema che Noi Moderati ha portato all’attenzione del Parlamento con forza e determinazione. La medicina di prossimità, il medico di famiglia hanno un’importanza fondamentale; questa riforma finalmente lo riconosce. Durante la pandemia, abbiamo compreso quanto fosse cruciale il ruolo del medico di famiglia, e oggi il governo sta andando nella giusta direzione per valorizzarlo e rafforzarlo”.