Il recente episodio di vandalismo da parte di attivisti contrari alla sperimentazione su animali ai danni dei laboratori del Cnr e dell’Università di Milano ha scatenato le consuete e attese polemiche tra chi vorrebbe proteggere gli animali e chi invece ritiene che sia da privilegiare la ricerca scientifica. Poiché questo è un dialogo tra sordi, spesso basato su luoghi comuni o su nozioni imprecise vorrei provare a fare alcune riflessioni sull’importanza della sperimentazione su animali. Queste riflessioni non hanno nessuna pretesa di essere esaustive; servono solo a mettere in luce alcuni argomenti che di solito non sono considerati a sufficienza, essendo il discorso principale rivolto alla questione se la sperimentazione di farmaci su animali sia o non sia importante per il loro successivo uso sull’uomo (pur con alcuni difetti lo è, ma non voglio entrare in questo discorso perché è abusato).

In molte ricerche gli animali da laboratorio opportunamente trattati (fino alla manipolazione genica) vengono usati come modelli di patologie umane. Se si vogliono studiare le caratteristiche biochimiche o fisiopatologiche di malattie quali l’ipertensione, il diabete, le immunodeficienze, molti tumori, etc. in condizioni controllate è evidentemente difficile utilizzare la patologia insorta spontaneamente nell’uomo.

Il modello animale realizza una analogia incompleta ed imprecisa della malattia umana, ma di importanza fondamentale per fornire quelle informazioni che dovranno poi essere cercate nell’uomo. Non si tratta in questo caso di studiare farmaci ma malattie e i modelli delle malattie umane che si possono realizzare in culture cellulari sono molto più incompleti e deficitari di quelli che si possono realizzare nell’animale. Studiare le malattie attraverso i loro modelli è preliminare allo studio delle possibili terapie e strategie di prevenzione: chi non conosce le malattie non può prevenirle né curarle razionalmente.

L’uso di animali da laboratorio è fondamentale nel caso in cui si vogliano studiare le cause delle malattie (purché l’animale sia sensibile): ad esempio la relazione tra fumo e cancro del polmone, sospettata per ragioni epidemiologiche, fu dimostrata mediante esperimenti condotti sui ratti. Anche qui nessun modello animale è perfetto: ad esempio pochissimi animali si ammalano, come l’uomo, di scorbuto; ma un modello imperfetto è certo migliore di nessun modello.

L’animale da laboratorio è stato, ed è ancora, fondamentale per lo studio della fisiologia. E’ facile oggi dimenticare l’importanza di questa ricerca, ma la circolazione del sangue, la conduzione nervosa, la contrazione muscolare, la digestione e in una parola tutti i processi fisiologici sono stati scoperti grazie ad esperimenti condotti in gran parte su animali e oggi non sapremmo nulla di questi fenomeni se non avessimo avuto la possibilità di ricorrere all’animale da laboratorio. Tutta la biochimica è stata studiata prelevando organi di animali uccisi al mattatoio, per scopi alimentari, e purificandone le molecole di interesse: potremmo oggi fare a meno della biochimica nella medicina?

Gli agenti causali di alcune malattie infettive non sono coltivabili in laboratorio e il loro ciclo vitale deve essere studiato e riprodotto nell’animale: ad esempio lo Schistosoma, agente di una gravissima parassitosi tropicale che colpisce duecento milioni di persone, può essere coltivato in laboratorio soltanto riproducendone in ciclo vitale che coinvolge due ospiti: una lumaca d’acqua dolce ed un mammifero (in laboratorio si usa il topo). E’ importante notare che in questo caso il topo, oltre a fornire un modello animale della malattia umana, fornisce anche l’agente patogeno stesso: senza il topo artificialmente infettato non potremmo avere il parassita e studiarlo; e non potremmo testare I farmaci antiparassitari.

Da un punto di vista di etica filosofica astratta e oggettiva non è possibile fornire nessuna ragione oggettiva per cui un topo valga meno di un uomo e sia sacrificabile nell’interesse della scienza allo scopo di studiare una malattia umana. Ciascuno deve trovare da sé la sua risposta a questo problema; però un punto deve essere chiaro: chi rifiuta la sperimentazione sull’animale non rifiuta soltanto una parte della metodologia utilizzata per testare nuovi farmaci, rifiuta in blocco lo studio di una enorme parte della biologia e della medicina, e in pratica congela la comprensione di molti aspetti della patologia e della fisiopatologia a ciò che è stato fatto finora, impedendone il progresso.

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