Barcellona come Amsterdam. È un vuoto normativo ad avvicinare la città del modernismo alla capitale olandese, luogo libertario per antonomasia: la legge spagnola punisce lo spaccio di droghe leggere, non però l’acquisto o la produzione per consumo personale.
Nelle maglie di norme nebulose, in quegli spazi dove le interpretazioni sottraggono posto alle certezze, sono spuntati, come funghi, i «Maria club», associazioni registrate dove puoi ascoltare musica o bere un whisky o una Mahou mentre consulti la lista aggiornata delle erbe da fumare.
Sembra Amsterdam ma è Barcellona, dove crei un’associazione – almeno formalmente senza fini di lucro -, affitti un locale aperto al pubblico, coltivi marijuana per i soli soci che entrano con tessera. Certo l’equilibrio è delicato: le colture di erba devono essere calibrate sul numero degli associati. La legge spagnola fissa in 80 grammi mensili l’uso personale consentito, con produzione massima di quattro piantine pro capite. La linea tra consumo personale e smercio diventa più sottile quanto più alto è il numero dei soci di un club con regolare licenza.
Stringenti sono i controlli dei Mossos d’esquadra, la polizia locale. Spesso ne conseguono processi amministrativi e penali, si passa dalla chiusura dei locali per semplici carenze igieniche ai capi d’imputazione per spaccio di sostanze stupefacenti quando la produzione non è proporzionata al numero di avventori con tessera.
È la “Catalogna tropicale” dove nelle zone grigie della legge si sono introdotte coltivazioni altrove proibite. Lo fanno i catalani, ma anche gli italiani e gli olandesi. A centinaia si stanno trasferendo a Barcellona per giovarsi di una legalizzazione di fatto che ha cambiato le regole del mercato e del consumo. I Cannabis Social club, da un canto, hanno minato alle fondamenta i traffici di droghe leggere, finora monopolio delle criminalità organizzate, e, dall’altro canto, hanno consentito di aggiustare i bilanci dello Stato.
Molti municipi catalani vedono nella legalizzazione della marijuana una misura concreta da opporre alla riduzione delle risorse finanziarie agli enti locali.
Non deve essere un caso che la scorsa primavera il piccolo comune di Rasquera abbia indetto un referendum consultivo chiedendo ai cittadini di pronunciarsi sul progetto di impiantare marijuana su 7 ettari di terreno demaniale. Non è un caso nemmeno il “sì” espresso dal 56,3% dei votanti in una consultazione rimasta però senza valore per mancanza del quorum legale. Il progetto avrebbe creato, secondo gli amministratori, quaranta posti di lavoro e avrebbe permesso di incassare, nel giro di due anni, un milione e mezzo di euro, ossigeno puro per finanze pubbliche sempre più asfittiche.
Un nuovo modello prende forma in Catalogna.
Chissà cosa ne penserà il nostro Carlo Giovanardi?