Quando il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi chiamò in Questura a Milano per far rilasciare Ruby Rubacuori, la notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010, il ddl anti corruzione non era niente, neanche una norma embrionale: ora potrebbe diventare il killer del processo alle cene eleganti di Arcore. A distanza di pochi mesi dall’introduzione e le prime rivalutazioni in terzo grado dei processi per i reati in questione, una relazione della corte di Cassazione – citata in un articolo su La Repubblica – fa comprendere che il cosiddetto spacchettamento della concussione in due ipotesi – induzione e costrizione – potrebbe incidere pesantemente sul processo che vede imputato il leader del Pdl. Facendolo evaporare nel campo del penalmente irrilevante e, di fatto, morire. Questo perché, secondo gli ermellini, scompare come parte attiva dell’incaricato di pubblico servizio (e Berlusconi essendo premier lo era quando telefonò da Parigi) che non è più soggetto attivo nel reato e perché viene introdotta la punibilità di chi viene indotto a commettere il reato (e i poliziotti che rilasciarono la invano spacciata marocchina per la nipotina di Mubarak sono solo parte lesa nel processo). Sarà la Cassazione a sezioni unite, dopo decisioni orientamento diverso, a dire l’ultima parola sulla legge. Intanto ecco perché così il processo Ruby morirebbe.
Cambiano i ruoli di chi commette e chi subisce il reato e cambia la storia. Innanzitutto chi era vittima ora viene indicato come complice. Spiega la Cassazione: “La punibilità, infatti, del soggetto indotto nel delitto di cui all’art. 319 – quater cod. pen. vorrebbe, nelle intenzioni del legislatore, fungere da norma propulsiva di un nuovo modo di porsi del privato nel rapporto con la pubblica amministrazione; costui non può più cedere nei confronti di una blanda spinta a pagare, se non vuole essere coinvolto nella responsabilità penale“.
Ma soprattutto perde la veste di concussore l’incaricato di pubblico servizio: “Già a una rapidissima lettura risulta evidente come, nel confronto delle disposizioni precedente ed attuali, non si è proceduto a una scissione pura e semplice; nell’attuale concussione è “scomparso” il riferimento, quale possibile soggetto attivo del reato, all’incaricato di pubblico servizio (per esempio Berlusconi, ndr); nella nuova ipotesi di induzione è “apparsa” la punibilità di quella che, fino al 28 novembre 2012, era soltanto la parte offesa del delitto (i poliziotti, ndr)”. Quindi è ben chiaro che se i protagonisti della storia hanno cambiato ruolo è la stessa storia che risulta modificata. E lo sarà probabilmente anche il finale. Perché i giudici devono interpretare leggi ed eventuali cambiamenti. In questo modo “le evidenti differenze delle norme incriminatici, in assenza di disposizioni transitorie, rimbalzano sull’interprete e sulla giurisprudenza” che avrà ” il compito di stabilire se le modifiche normative hanno modificato l’area del penalmente rilevante“. Questo il cuore del documento redatto dall’ex pm anticamorra Raffaele Cantone, che non cita altro che processi arrivati nella sede di piazza Cavour. Insomma questa disparità va valutata e giudicata con il rischio che non ci sia rilievo penale da contestare.
Scatta la punibilità per il concusso: chi prima era vitima ora è complice. Le conclusioni generali, arrivate dopo l’analisi di numerose sentenze, fanno intuire una prognosi infausta per il processo Ruby, che non viene mai citato. “Bisogna (…) prendere atto che il criterio adottato in passato per distinguere induzione e costrizione, fondato sul minore grado di coartazione morale, ha dato luogo a difficoltà interpretative e ha finito per ampliare la portata applicativa della precedente disposizione codicistica. Quel criterio oggi può essere rivisto alla luce del fatto nuovo introdotto dalla norma dell’art. 319 – quater e cioè la punibilità dell’indotto. E’ necessario, quindi, individuare una ragione ulteriore per spiegare perché colui che fino al 28 novembre era solo vittima oggi comunque diventa compartecipe del reato, sia pure con una pena ben diversa e minore di quella prevista per colui che induce ma anche per il corruttore”, si legge nella relazione. Il logico porta quindi a stabilire che chi subisce, a meno che non sia minacciato in maniera esplicita, possa rifiutare: “Tale ragione può essere reperita nella possibilità che egli ha di opporsi alla pretesa illegittima e tale possibilità va individuata nella conservazione di un margine di autodeterminazione, che esiste sia quando la pressione del pubblico agente è più blanda sia quando egli ha un interesse a soddisfare la pretesa del pubblico funzionario, perché ne consegue per lui un indebito beneficio”. I poliziotti che ricevettero la telefonata da Parigi delll’allora premier Berlusconi avevano quindi la possibilità di opporsi e certamente non hanno conseguito un beneficio nell’aver assecondato la richiesta del Cavaliere. E’ come se gli avessero fatto un favore che è cosa ben diversa da un reato. Ragionamento che sembrerebbe, quindi, far evaporare nel penalmente irrilevante l’ipotesi di concussione per Berlusconi.
Inoltre mentre le pene per la concussione per costrizione sono state inasprite le pene per l’induzione sono diminuite, anche la “la novità più rilevante di quest’ultima norma è, però, contenuta nel suo capoverso, laddove prevede che “nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità, è punito con la reclusione fino a tre anni”. I reati contestati a Berlusconi sono stati, naturalmente, commessi prima della sola ideazione della legge e il principio di irretroattività vieta l’applicazione di una norma penale a reati commessi prima della sua entrata in vigore, ma questo principio trova applicazione solo per quanto riguarda le norme penali in malam partem, cioè sfavorevoli all’imputato: se la legge penale varia in modo favorevole (e questo è un caso visto la riduzione della pena rispetto al passato, ndr), essa si applica anche in via retroattiva in ossequio al più ampio principio del favor rei. Come è accaduto due mesi fa quando la legge ha “salvato” le coop rosse nel procedimento sul “Sistema Sesto con la prescrizione.
Le polemiche e le proteste di Csm e Anm dopo l’approvazione. Quando la legge anti corruzione fu approvata la norma aveva scontentato molti, Csm e Anm in primis ma non la Cassazione. Che in una delle prime motivazioni di sentenza dopo l’introduzione della nuova norma – nel caso del sindaco di un paese nel Lazio accusato di tentata concussione – aveva affermato che i nuovi articoli di legge erano “in rapporto di perfetta continuità” con quelli precedenti e che il cosiddetto spacchettamento del reato di concussione “corrisponde anche ad un razionale assetto dei valori in gioco che non puo’ essere trascurato”, ed è “comprensibile punire più gravemente chi prospetta un male ingiusto ” rispetto a “chi prospetti un danno che derivi dalla legge”.
La polemica, ormai dello scorso inverno, sulle possibili ripercussioni in termini di affossamento di importanti processi da quello sul sistema Sesto e a Ruby e della morte per prescrizione della metà dei procedimenti, è diventata un’eco lontanissima. A distanza di quattro mesi dalle prime motivazioni però sul sito degli ermellini è comparsa questa breve, ma densa relazione in cui si evidenziano le generali debolezze della norma e ci si affida alle sezioni Unite. L’ex procuratore nazionale antimafia, fresco di nomina a Palazzo Madama, aveva messo al primo posto la riforma della legge: “La mia proposta parte dalla legge varata nei mesi scorsi dal ministro Severino e punta a migliorarla sotto il profilo repressivo, allungando anche i tempi di prescrizione” aveva detto Pietro Grasso. C’è tempo: il processo si prescrive nel 2020 e, grazie ai numerosi rinvii per legittimo impedimento, la Procura di Milano non è ancora riuscita a completare la requisitoria.