Dai primi passi dentro le mura vaticane (con accesso diretto all’appartamento di Pio XII) ai rapporti con Sindona. Dal caso di Wilma Montesi ai presunti contatti con Licio Gelli. E poi Salvo Lima e i boss, Ciarrapico e gli appalti. Una storia politica lunghissima, tutta vissuta nei più importanti palazzi del potere, vedendo scorrere i più clamorosi e misteriori eventi della storia del Paese. Dal dopoguerra agli anni ’90. Ecco il primo degli appuntiamenti con “Andreotti, potere e misteri”: la storia e i segreti del Divo raccontati in quattro puntate dal direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez
Nato a Roma sotto il segno del Capricorno, il 14 gennaio del 1919, al terzo piano di via dei Prefetti 18, a un passo dalla Camera dei Deputati, Giulio Andreotti inizia in salita. Il padre, maestro elementare, muore di pleurite quando Giulio ha due anni lasciando senza redditi e pensione la famiglia. Elementari alla “Gianturco”, liceo al Tasso dove studiano anche i figli del duce, Andreotti da ragazzo si mantiene lavorando come claqueur nei teatri romani. Deciso a diventare medico s’iscrive invece a giurisprudenza e si laurea con una tesi sulla “Personalità del delinquente nel diritto della Chiesa”.
«Non scrivo la storia, mi accontento della cronaca», è una delle sue frasi più citate. Ma la sua vita, sempre sospesa tra la cronaca politica e quella giudiziaria, rappresenta il pezzo più ingombrante degli ultimi 70 anni di storia italiana.
E’ stato per sette volte presidente del Consiglio. Per trentatré volte ministro. Ha retto per anni dicasteri importanti come quelli delle Finanze, della Difesa, degli Esteri, del Bilancio e del Tesoro. Tra il 1969 e l’84 ha visto il suo nome finire per 26 volte davanti alla commissione inquirente. Ma tutte le denunce sono state archiviate. Poi è stato processato. Per mafia a Palermo. Per omicidio a Perugia. Dall’accusa di omicidio l’hanno prima assolto, poi condannato e infine ancora assolto. Da quella di mafia l’hanno in parte assolto e in parte prescritto, ma solo uno degli oltre 35 collaboratori di giustizia che lo accusavano è stato indagato per calunnia.
Non è un caso. Come non è un caso che i giudici siciliani nella loro sentenze abbiano utilizzato il secondo comma dell’articolo 530, una norma che, secondo gli esperti di diritto, equivale alla vecchia insufficienza di prove. Nel 1989 aveva detto: “Chi non vuole far sapere una cosa, in fondo non deve confidarla neanche a se stesso”. La sua biografia dimostra come questa sia stata l’unica legge che ha sempre rispettato.
IL SOLDATO DEL PAPA – L’Andreotti politico muove i primi passi subito dopo il liceo. Appena diciottenne entra a far parte della Fuci, la federazione degli universitari dell’azione cattolica. Qui trova come guida un giovane monsignore: Giovan Battista Montini, poi salito al Soglio pontificio con il nome di Papa Paolo VI. La Fuci, tollerata a fatica dal regime, era allora il centro dell’antifascismo culturale appoggiato dalla chiesa. Nel 1938, durante un convegno tenuto da Giorgio La Pira, Andreotti vede Adriano Ossicini prendere la parola per sostenere che compito del cristiano “é quello di combattere il fascismo con tutte le forze concrete”. Giulio, seduto in prima fila, rimane sbalordito e a fine intervento lo avvicina chiedendo: “Vorrei capire bene che cosa hai detto”.
I due diventano amici. Cominciano a discutere sulla conciliabilità di marxismo e cristianesimo, a scriversi e a giocare a ping-pong: interminabili tornei cui partecipavano oltre a Ossicini, futuro capogruppo degli indipendenti di sinistra, Luciano Barca, futuro responsabile economico del Pci, e Franco Rodano, l’uomo che più di ogni altro spingerà Enrico Berlinguer verso il compromesso storico. Qualche mese dopo l’incontro con Ossicini, Andreotti conosce anche Alcide De Gasperi, perseguitato dai fascisti e ospitato dal Vaticano per evitargli il carcere. Non é un colpo di fulmine, ma poco ci manca. Giulio entra nella biblioteca della Santa Sede alla caccia di volumi che gli dovevano servire per una tesina sulla marina pontificia. Il bibliotecario, un uomo di mezza età dalla faccia ossuta, lo guarda storto e gli chiede: “Ma lei non ha di meglio da fare?”. Era De Gasperi.
Sarà lui ad offrire a Andreotti la possibilità di collaborare con il “Popolo”, il giornale clandestino che sarebbe poi diventato l’organo ufficiale della Dc. Così nel 1940 Andreotti si trova catapultato alla testa della Fuci, diventandone però ufficialmente presidente solo nel febbraio del ‘42. Prende il posto di Aldo Moro che, più vecchio di tre anni, deve partire militare. Andreotti invece non va in guerra. Per insufficienza toracica è assegnato ai servizi sedentari e poi riesce a farsi trasferire in Vaticano come “guardia palatina”. In pratica è un soldato di Pio XII.
Con Moro sotto le armi, Andreotti ha il campo libero. Papa Eugenio Pacelli apprezza la sua pacatezza. Giulio può andare da lui senza appuntamento e restare nel suo studio per ore. Pio XII lo utilizza come un occhio sul mondo cattolico e gli chiede notizie sui ragazzacci della sinistra cristiana che intrattenevano segretamente rapporti con i pericolosi comunisti.
Adesso per loro in Vaticano tira una gran brutta aria. Andreotti fin che può cerca di proteggerli, poi li abbandona al loro destino. Ormai ha quasi 25 anni. De Gasperi per coptazione gli affida incarichi sempre più importanti. Prima lo mette al vertice dei “Gruppi di studio e propaganda della Dc”, poi lo fa nominare delegato al congresso nazionale della democrazia cristiana. Accanto a sé adesso Giulio ha un nuovo amico, Franco Evangelisti, destinato a diventare il suo braccio destro.
IL DOMENICANO VENUTO DA WASHINGTON – In Italia tutto sta cambiando. Il fascismo é sconfitto. Gli alleati sono sbarcati nella penisola. Sul finire della guerra l’Oss, l’antenata della Cia, aveva preso a finanziare segretamente, in funzione antifascista e anticomunista, la neonata Dc. Dopo i primi contatti con don Luigi Sturzo, l’ex leader dei popolari, un agente segreto americano aveva aperto un canale anche con De Gasperi. Con i fondi di Washington s’inaugura così a Roma il centro universitario Pro Deo, la cui direzione è affidata a un domenicano. Si chiama padre Felix. A. Morlion. Si devono a lui i rapporti sulla situazione italiana che a partire dal ’44 arrivano a Washington. Morlion é, di fatto, una spia. E come scriverà lui stesso accanto a sé “ad assisterlo nella pubblicità c’é un giovane mandatogli da De Gasperi di nome Giulio Andreotti”. Da quel momento gli americani cominceranno ad inviare fondi allo scudocrociato. Nel corso degli anni, secondo il Congresso Usa, arriveranno in Italia circa 100 milioni di dollari.
Sempre i servizi segreti americani, come é pacificamente documentato dai dispacci dell’Oss, per risolvere la questione del fronte sud e riuscire finalmente a sbarcare in Italia, avevano preso accordi con Cosa Nostra. Nel ‘42 avevano trattano con Lucky Luciano organizzando uno sbarco di agenti prima e di truppe alleate poi nella Sicilia occupata dai nazisti. I primi mafiosi e i primi 007 arriveranno nell’isola nel gennaio e nel febbraio del ‘43. Dopo la liberazione gli amministratori locali legati al vecchio regime saranno sostituiti da uomini d’onore. A guerra finita molti di loro diventeranno democristiani e formeranno la base elettorale dei Dc seguaci di Bernardo Mattarella. La vicenda è fondamentale per comprendere i fenomeni successivi rappresentati da Vito Ciancimino e Salvo Lima (pupillo proprio di Mattarella).
Nell’aprile del ‘45 gli anglo-americani dilagano nell’Italia settentrionale. E in maggio, con l’aiuto delle brigate partigiane, costringono i tedeschi a capitolare. L’Italia é finalmente libera. Il 2 giugno del 1946 Andreotti viene eletto deputato all’assemblea costituente. Un anno prima si era sposato con Livia Danese, figlia di un funzionario delle ferrovie. I rapporti con De Gasperi, presidente del consiglio dal ‘45 al ‘53, e gli americani sono sempre più intensi. Tanto che quando il 10 giugno del ‘47 De Gasperi, dopo un viaggio negli Usa, pone fine al periodo dei governi di “Unità antifascista”, Giulio Andreotti diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il suo grande sponsor, l’uomo che spinge per la nomina è Giovan Battista Montini. Andreotti ha 28 anni. Ricoprirà l’incarico fino al gennaio del 1954.
Per conto di De Gasperi Andreotti svolge missioni delicate. Quando nel ‘48 il governo italiano si trova tra le mani il documento costitutivo del Cominform, l’ufficio d’informazione creato un anno prima dai paesi del blocco sovietico, Andreotti va a Parigi e consegna il carteggio al governo francese perché lo faccia pubblicare. Il rapporto sul Cominform provoca sdegno in Italia e assieme all’emozione causata dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia contribuisce alla vittoria della Dc nelle elezioni del successivo 18 aprile.
ARCHIVI E MINI-ASSEGNI – Il giovane Andreotti, insomma, comincia da subito a imparare l’importanza degli archivi, dei servizi segreti e della stampa. De Gasperi gli affida in custodia l’elenco segreto degli intellettuali italiani che erano stati, finanziati dal Miniculpop, il ministero della cultura popolare fascista. Le potenzialità ricattatorie di quei documenti sono evidenti.
Ma non basta. Andreotti, con l’ormai inseparabile Evangelisti, si occupa anche di propaganda elettorale. E’ un mago della politica clientelare a tutti i livelli letta, a suo dire, con l’ottica della carità cristiana. E’ lui per esempio a decidere a chi intestare buona parte delle migliaia di assegni da 2000 lire inviati come sussidio dalla presidenza del Consiglio nei primi anni della Repubblica a famiglie di elettori bisognosi. E sarà lui ad organizzare periodicamente ricevimenti per dipendenti pubblici sulla via della pensione che potranno tornare a casa vantandosi di essere stati “invitati da Andreotti”.
Nasce così in Ciociaria la sua prima base elettorale. A Frosinone, la fabbrica di materassi Permaflex apre una propria succursale. La dirigerà, a partire da metà degli anni ’50 un ex fascista, il futuro capo della P2 Licio Gelli. La Permaflex gode dei finanziamenti della Cassa per il mezzogiorno. Sul finire degli anni ’60, Gelli consegnerà ai servizi segreti un appunto nel quale sostiene che fu Andreotti ad attivarsi per far arrivare i fondi pubblici alla sua impresa. Gelli, secondo il documento, si sarebbe sdebitato allungando al politico, tra il ‘56 e il ’60, mazzette per 20 milioni. Nel ’58 a Frosinone, Gelli diventerà amico anche di Giuseppe Ciarrapico, destinato a essere, negli anni 80 e 90, il più andreottiano di tutti gli imprenditori andreottiani. Nel 1983, la commissione inquirente, archivierà una denuncia presentata contro Andreotti per aver favorito la Permaflex in una gara per la fornitura di 40.000 materassi alla Nato.
Fedele alla chiesa e agli americani Andreotti negli anni ’50 guarda a destra per allargare l’elettorato. Mentre in parlamento e sui giornali infuria la polemica sulla legge truffa (un premio di maggioranza del 15 per cento dei seggi che doveva essere garantito al partito che superasse il 50 per cento dei consensi), Andreotti tiene un comizio ad Arcinazzo in Ciociaria dove, equipaggiate di cestini merenda forniti dall’organizzazione, accorrono 5000 persone. Tra di loro c’é anche l’ex maresciallo d’Italia, il repubblichino Rodolfo Graziani. Il maresciallo, che proprio ad Arcinazzo qualche mese prima aveva organizzato un campo di simpatizzanti missini (definito “paramilitare” dalla stampa), davanti ad Andreotti, dice “se qualcosa abbiamo ottenuto in questa valle, l’abbiamo avuto da quando De Gasperi é al governo”. I due al termine del discorso si abbracciano. Scoppia lo scandalo.
Giulio é dunque un conservatore. E non solo in politica, dove si colloca decisamente più a destra di De Gasperi. Anche nel mondo della cultura. Nelle sue vesti di sottosegretario presidenza del Consiglio con delega alla Spettacolo e allo Sport, non si limita a ricostruire il cinema italiano, ma tenta anche di condizionarlo. Nel ‘52 manda una lettera a Vittorio De Sica in cui critica il pessimismo di “Umberto D”, la storia di un orfano, e gli chiede di far brillare “un raggio di sole in più”. Secondo i giornali ad Andreotti non piace il neorealismo perché “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Lui, come spesso é accaduto, negherà di aver pronunciato la frase.
SCANDALI E RICATTI – La sua abilità, i suoi contatti, la sua capacità di raccogliere decine di miglia di preferenze, la sua giovane età, gli attirano addosso odi e malumori. Anche nel suo partito molti lo vorrebbero fare fuori. L’occasione sembra arrivare nel ‘53, quando con De Gasperi malato, nella Dc si scatena la guerra per la successione. In pole position c’é l’ex segretario della Dc Attilio Piccioni, vice-presidente del Consiglio in carica. L’11 aprile del ’53, però, sulla spiaggia di Torvaianica viene trovata morta – senza né calze, né reggicalze – una ragazza poco più che ventenne: Wilma Montesi. Inizialmente si parla di disgrazia. Poi salta fuori una storia oscura, fatta di festini e cocaina, che sembra coinvolgere direttamente un figlio del vice-primo ministro. Emergono una serie di coperture politiche democristiane attivate per soffocare lo scandalo. Piccioni esce di scena distrutto.
Ancor oggi non é chiaro chi abbia manovrato l’intera vicenda. Tutti gli storici sono comunque concordi nell’asserire che l’affaire fu utilizzato da correnti interne alla Dc per evitare che Piccioni succedesse a De Gasperi. Molti puntano il dito su Amintore Fanfani. Andreotti dal canto suo ha dimostrato di sapere benissimo come andarono realmente le cose. E nel marzo del ‘74, quando si vedrà minacciato dal primo scandalo dei petroli, dirà in un’intervista all’amico giornalista Lino Jannuzzi: “Se veramente ci fosse qualcuno che mi vuole tirare dentro […] ha sbagliato i suoi calcoli. Proprio in questo periodo stavo cercando di ricostruire come nacque veramente l’affare Montesi, e chi lo manovrò”. L’abitudine di andare a rivangare il passato e di minacciare, quando attaccato, rivelazioni clamorose sarà una costante della sua vita. All’epoca dello scandalo Montesi risale anche il primo grande mistero della storia della Repubblica.
E’, infatti, il 1954 quando Fanfani diventato presidente del consiglio, nomina Andreotti ministro degli Interni in un governo destinato a durare, proprio a causa della vicenda Montesi, solo 23 giorni. Il 9 febbraio, 24 ore prima, che Fanfani rassegnasse le dimissioni Gaspare Pisciotta, l’assassino del bandito Salvatore Giuliano, viene ucciso in carcere da un caffè avvelenato. Con sé Pisciotta porta tutti i suoi segreti. Durante un processo aveva ammesso di aver ucciso Giuliano (smentendo così la versione ufficiale che voleva il bandito morto in un conflitto a fuoco con i carabinieri), e aveva sostenuto di aver contrattato l’uccisione direttamente con il ministro siciliano degli Interni, Mario Scelba. La Dc, infatti, secondo Pisciotta, voleva morto il bandito perché Bernardo Mattarella e i deputati monarchici Alliata e Leone di Marchesano, lo avevano coperto ed erano stati mandanti di una serie di delitti politici da lui commessi.
Dopo la morte di Pisciotta sarà proprio Scelba ad andare al governo tenendo per sé ad interim anche la carica di ministro degli Interni. Il giovane Andreotti invece resta fuori. In giugno parte per gli Stati Uniti e al ritorno fonda una corrente tutta sua. Si chiama “Primavera”. E’ collocata su posizioni di destra, ma ha seguito solo nel Lazio e nel mondo del Vaticano. Gli andreottiani, infatti, saranno, per anni destinati ad essere una forza minoritaria della Dc, finché nel ’69 non viene stretto un accordo con il fanfaniano Salvo Lima, ex sindaco di Palermo, figlio di un uomo d’onore e citato 149 volte nelle conclusioni della commissione antimafia. Nel 1956 Carlo Alberto Dalla Chiesa, ancora colonnello, aveva parlato per la prima volta di lui in un’intervista a Giorgio Bocca “La mafia non c’è”, aveva detto con amara ironia, “Ci sono solo delle strane combinazioni. Per esempio c’è un tale Salvatore Lima. Lo hanno votato in massa tutti i dipendenti dell’azienda tranviaria diretta da un amico di Vassallo. Non conosce Vassallo? Faceva il carrettiere, poi ha costruito mezza Palermo”.
(1/4 – continua)
Politica
Andreotti, potere e misteri/1. Gli sponsor vaticani portano il giovane Giulio in alto
Ai tempi di Pio XII era definito "il soldato del papa". Poi l'incontro con De Gasperi che gli chiede: "Ma lei non ha di meglio da fare?". E in pochi anni lo vuole come braccio destro nel governo. La prima base elettorale in Ciociaria, lo scandalo Wilma Montesi usato per tagliar fuori gli avversari. Poi la prima corrente nella Dc: "Primavera". E l'accordo (pesante) con il fanfaniano Salvo Lima
Dai primi passi dentro le mura vaticane (con accesso diretto all’appartamento di Pio XII) ai rapporti con Sindona. Dal caso di Wilma Montesi ai presunti contatti con Licio Gelli. E poi Salvo Lima e i boss, Ciarrapico e gli appalti. Una storia politica lunghissima, tutta vissuta nei più importanti palazzi del potere, vedendo scorrere i più clamorosi e misteriori eventi della storia del Paese. Dal dopoguerra agli anni ’90. Ecco il primo degli appuntiamenti con “Andreotti, potere e misteri”: la storia e i segreti del Divo raccontati in quattro puntate dal direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez
Nato a Roma sotto il segno del Capricorno, il 14 gennaio del 1919, al terzo piano di via dei Prefetti 18, a un passo dalla Camera dei Deputati, Giulio Andreotti inizia in salita. Il padre, maestro elementare, muore di pleurite quando Giulio ha due anni lasciando senza redditi e pensione la famiglia. Elementari alla “Gianturco”, liceo al Tasso dove studiano anche i figli del duce, Andreotti da ragazzo si mantiene lavorando come claqueur nei teatri romani. Deciso a diventare medico s’iscrive invece a giurisprudenza e si laurea con una tesi sulla “Personalità del delinquente nel diritto della Chiesa”.
«Non scrivo la storia, mi accontento della cronaca», è una delle sue frasi più citate. Ma la sua vita, sempre sospesa tra la cronaca politica e quella giudiziaria, rappresenta il pezzo più ingombrante degli ultimi 70 anni di storia italiana.
E’ stato per sette volte presidente del Consiglio. Per trentatré volte ministro. Ha retto per anni dicasteri importanti come quelli delle Finanze, della Difesa, degli Esteri, del Bilancio e del Tesoro. Tra il 1969 e l’84 ha visto il suo nome finire per 26 volte davanti alla commissione inquirente. Ma tutte le denunce sono state archiviate. Poi è stato processato. Per mafia a Palermo. Per omicidio a Perugia. Dall’accusa di omicidio l’hanno prima assolto, poi condannato e infine ancora assolto. Da quella di mafia l’hanno in parte assolto e in parte prescritto, ma solo uno degli oltre 35 collaboratori di giustizia che lo accusavano è stato indagato per calunnia.
Non è un caso. Come non è un caso che i giudici siciliani nella loro sentenze abbiano utilizzato il secondo comma dell’articolo 530, una norma che, secondo gli esperti di diritto, equivale alla vecchia insufficienza di prove. Nel 1989 aveva detto: “Chi non vuole far sapere una cosa, in fondo non deve confidarla neanche a se stesso”. La sua biografia dimostra come questa sia stata l’unica legge che ha sempre rispettato.
IL SOLDATO DEL PAPA – L’Andreotti politico muove i primi passi subito dopo il liceo. Appena diciottenne entra a far parte della Fuci, la federazione degli universitari dell’azione cattolica. Qui trova come guida un giovane monsignore: Giovan Battista Montini, poi salito al Soglio pontificio con il nome di Papa Paolo VI. La Fuci, tollerata a fatica dal regime, era allora il centro dell’antifascismo culturale appoggiato dalla chiesa. Nel 1938, durante un convegno tenuto da Giorgio La Pira, Andreotti vede Adriano Ossicini prendere la parola per sostenere che compito del cristiano “é quello di combattere il fascismo con tutte le forze concrete”. Giulio, seduto in prima fila, rimane sbalordito e a fine intervento lo avvicina chiedendo: “Vorrei capire bene che cosa hai detto”.
I due diventano amici. Cominciano a discutere sulla conciliabilità di marxismo e cristianesimo, a scriversi e a giocare a ping-pong: interminabili tornei cui partecipavano oltre a Ossicini, futuro capogruppo degli indipendenti di sinistra, Luciano Barca, futuro responsabile economico del Pci, e Franco Rodano, l’uomo che più di ogni altro spingerà Enrico Berlinguer verso il compromesso storico. Qualche mese dopo l’incontro con Ossicini, Andreotti conosce anche Alcide De Gasperi, perseguitato dai fascisti e ospitato dal Vaticano per evitargli il carcere. Non é un colpo di fulmine, ma poco ci manca. Giulio entra nella biblioteca della Santa Sede alla caccia di volumi che gli dovevano servire per una tesina sulla marina pontificia. Il bibliotecario, un uomo di mezza età dalla faccia ossuta, lo guarda storto e gli chiede: “Ma lei non ha di meglio da fare?”. Era De Gasperi.
Sarà lui ad offrire a Andreotti la possibilità di collaborare con il “Popolo”, il giornale clandestino che sarebbe poi diventato l’organo ufficiale della Dc. Così nel 1940 Andreotti si trova catapultato alla testa della Fuci, diventandone però ufficialmente presidente solo nel febbraio del ‘42. Prende il posto di Aldo Moro che, più vecchio di tre anni, deve partire militare. Andreotti invece non va in guerra. Per insufficienza toracica è assegnato ai servizi sedentari e poi riesce a farsi trasferire in Vaticano come “guardia palatina”. In pratica è un soldato di Pio XII.
Con Moro sotto le armi, Andreotti ha il campo libero. Papa Eugenio Pacelli apprezza la sua pacatezza. Giulio può andare da lui senza appuntamento e restare nel suo studio per ore. Pio XII lo utilizza come un occhio sul mondo cattolico e gli chiede notizie sui ragazzacci della sinistra cristiana che intrattenevano segretamente rapporti con i pericolosi comunisti.
Adesso per loro in Vaticano tira una gran brutta aria. Andreotti fin che può cerca di proteggerli, poi li abbandona al loro destino. Ormai ha quasi 25 anni. De Gasperi per coptazione gli affida incarichi sempre più importanti. Prima lo mette al vertice dei “Gruppi di studio e propaganda della Dc”, poi lo fa nominare delegato al congresso nazionale della democrazia cristiana. Accanto a sé adesso Giulio ha un nuovo amico, Franco Evangelisti, destinato a diventare il suo braccio destro.
IL DOMENICANO VENUTO DA WASHINGTON – In Italia tutto sta cambiando. Il fascismo é sconfitto. Gli alleati sono sbarcati nella penisola. Sul finire della guerra l’Oss, l’antenata della Cia, aveva preso a finanziare segretamente, in funzione antifascista e anticomunista, la neonata Dc. Dopo i primi contatti con don Luigi Sturzo, l’ex leader dei popolari, un agente segreto americano aveva aperto un canale anche con De Gasperi. Con i fondi di Washington s’inaugura così a Roma il centro universitario Pro Deo, la cui direzione è affidata a un domenicano. Si chiama padre Felix. A. Morlion. Si devono a lui i rapporti sulla situazione italiana che a partire dal ’44 arrivano a Washington. Morlion é, di fatto, una spia. E come scriverà lui stesso accanto a sé “ad assisterlo nella pubblicità c’é un giovane mandatogli da De Gasperi di nome Giulio Andreotti”. Da quel momento gli americani cominceranno ad inviare fondi allo scudocrociato. Nel corso degli anni, secondo il Congresso Usa, arriveranno in Italia circa 100 milioni di dollari.
Sempre i servizi segreti americani, come é pacificamente documentato dai dispacci dell’Oss, per risolvere la questione del fronte sud e riuscire finalmente a sbarcare in Italia, avevano preso accordi con Cosa Nostra. Nel ‘42 avevano trattano con Lucky Luciano organizzando uno sbarco di agenti prima e di truppe alleate poi nella Sicilia occupata dai nazisti. I primi mafiosi e i primi 007 arriveranno nell’isola nel gennaio e nel febbraio del ‘43. Dopo la liberazione gli amministratori locali legati al vecchio regime saranno sostituiti da uomini d’onore. A guerra finita molti di loro diventeranno democristiani e formeranno la base elettorale dei Dc seguaci di Bernardo Mattarella. La vicenda è fondamentale per comprendere i fenomeni successivi rappresentati da Vito Ciancimino e Salvo Lima (pupillo proprio di Mattarella).
Nell’aprile del ‘45 gli anglo-americani dilagano nell’Italia settentrionale. E in maggio, con l’aiuto delle brigate partigiane, costringono i tedeschi a capitolare. L’Italia é finalmente libera. Il 2 giugno del 1946 Andreotti viene eletto deputato all’assemblea costituente. Un anno prima si era sposato con Livia Danese, figlia di un funzionario delle ferrovie. I rapporti con De Gasperi, presidente del consiglio dal ‘45 al ‘53, e gli americani sono sempre più intensi. Tanto che quando il 10 giugno del ‘47 De Gasperi, dopo un viaggio negli Usa, pone fine al periodo dei governi di “Unità antifascista”, Giulio Andreotti diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il suo grande sponsor, l’uomo che spinge per la nomina è Giovan Battista Montini. Andreotti ha 28 anni. Ricoprirà l’incarico fino al gennaio del 1954.
Per conto di De Gasperi Andreotti svolge missioni delicate. Quando nel ‘48 il governo italiano si trova tra le mani il documento costitutivo del Cominform, l’ufficio d’informazione creato un anno prima dai paesi del blocco sovietico, Andreotti va a Parigi e consegna il carteggio al governo francese perché lo faccia pubblicare. Il rapporto sul Cominform provoca sdegno in Italia e assieme all’emozione causata dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia contribuisce alla vittoria della Dc nelle elezioni del successivo 18 aprile.
ARCHIVI E MINI-ASSEGNI – Il giovane Andreotti, insomma, comincia da subito a imparare l’importanza degli archivi, dei servizi segreti e della stampa. De Gasperi gli affida in custodia l’elenco segreto degli intellettuali italiani che erano stati, finanziati dal Miniculpop, il ministero della cultura popolare fascista. Le potenzialità ricattatorie di quei documenti sono evidenti.
Ma non basta. Andreotti, con l’ormai inseparabile Evangelisti, si occupa anche di propaganda elettorale. E’ un mago della politica clientelare a tutti i livelli letta, a suo dire, con l’ottica della carità cristiana. E’ lui per esempio a decidere a chi intestare buona parte delle migliaia di assegni da 2000 lire inviati come sussidio dalla presidenza del Consiglio nei primi anni della Repubblica a famiglie di elettori bisognosi. E sarà lui ad organizzare periodicamente ricevimenti per dipendenti pubblici sulla via della pensione che potranno tornare a casa vantandosi di essere stati “invitati da Andreotti”.
Nasce così in Ciociaria la sua prima base elettorale. A Frosinone, la fabbrica di materassi Permaflex apre una propria succursale. La dirigerà, a partire da metà degli anni ’50 un ex fascista, il futuro capo della P2 Licio Gelli. La Permaflex gode dei finanziamenti della Cassa per il mezzogiorno. Sul finire degli anni ’60, Gelli consegnerà ai servizi segreti un appunto nel quale sostiene che fu Andreotti ad attivarsi per far arrivare i fondi pubblici alla sua impresa. Gelli, secondo il documento, si sarebbe sdebitato allungando al politico, tra il ‘56 e il ’60, mazzette per 20 milioni. Nel ’58 a Frosinone, Gelli diventerà amico anche di Giuseppe Ciarrapico, destinato a essere, negli anni 80 e 90, il più andreottiano di tutti gli imprenditori andreottiani. Nel 1983, la commissione inquirente, archivierà una denuncia presentata contro Andreotti per aver favorito la Permaflex in una gara per la fornitura di 40.000 materassi alla Nato.
Fedele alla chiesa e agli americani Andreotti negli anni ’50 guarda a destra per allargare l’elettorato. Mentre in parlamento e sui giornali infuria la polemica sulla legge truffa (un premio di maggioranza del 15 per cento dei seggi che doveva essere garantito al partito che superasse il 50 per cento dei consensi), Andreotti tiene un comizio ad Arcinazzo in Ciociaria dove, equipaggiate di cestini merenda forniti dall’organizzazione, accorrono 5000 persone. Tra di loro c’é anche l’ex maresciallo d’Italia, il repubblichino Rodolfo Graziani. Il maresciallo, che proprio ad Arcinazzo qualche mese prima aveva organizzato un campo di simpatizzanti missini (definito “paramilitare” dalla stampa), davanti ad Andreotti, dice “se qualcosa abbiamo ottenuto in questa valle, l’abbiamo avuto da quando De Gasperi é al governo”. I due al termine del discorso si abbracciano. Scoppia lo scandalo.
Giulio é dunque un conservatore. E non solo in politica, dove si colloca decisamente più a destra di De Gasperi. Anche nel mondo della cultura. Nelle sue vesti di sottosegretario presidenza del Consiglio con delega alla Spettacolo e allo Sport, non si limita a ricostruire il cinema italiano, ma tenta anche di condizionarlo. Nel ‘52 manda una lettera a Vittorio De Sica in cui critica il pessimismo di “Umberto D”, la storia di un orfano, e gli chiede di far brillare “un raggio di sole in più”. Secondo i giornali ad Andreotti non piace il neorealismo perché “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Lui, come spesso é accaduto, negherà di aver pronunciato la frase.
SCANDALI E RICATTI – La sua abilità, i suoi contatti, la sua capacità di raccogliere decine di miglia di preferenze, la sua giovane età, gli attirano addosso odi e malumori. Anche nel suo partito molti lo vorrebbero fare fuori. L’occasione sembra arrivare nel ‘53, quando con De Gasperi malato, nella Dc si scatena la guerra per la successione. In pole position c’é l’ex segretario della Dc Attilio Piccioni, vice-presidente del Consiglio in carica. L’11 aprile del ’53, però, sulla spiaggia di Torvaianica viene trovata morta – senza né calze, né reggicalze – una ragazza poco più che ventenne: Wilma Montesi. Inizialmente si parla di disgrazia. Poi salta fuori una storia oscura, fatta di festini e cocaina, che sembra coinvolgere direttamente un figlio del vice-primo ministro. Emergono una serie di coperture politiche democristiane attivate per soffocare lo scandalo. Piccioni esce di scena distrutto.
Ancor oggi non é chiaro chi abbia manovrato l’intera vicenda. Tutti gli storici sono comunque concordi nell’asserire che l’affaire fu utilizzato da correnti interne alla Dc per evitare che Piccioni succedesse a De Gasperi. Molti puntano il dito su Amintore Fanfani. Andreotti dal canto suo ha dimostrato di sapere benissimo come andarono realmente le cose. E nel marzo del ‘74, quando si vedrà minacciato dal primo scandalo dei petroli, dirà in un’intervista all’amico giornalista Lino Jannuzzi: “Se veramente ci fosse qualcuno che mi vuole tirare dentro […] ha sbagliato i suoi calcoli. Proprio in questo periodo stavo cercando di ricostruire come nacque veramente l’affare Montesi, e chi lo manovrò”. L’abitudine di andare a rivangare il passato e di minacciare, quando attaccato, rivelazioni clamorose sarà una costante della sua vita. All’epoca dello scandalo Montesi risale anche il primo grande mistero della storia della Repubblica.
E’, infatti, il 1954 quando Fanfani diventato presidente del consiglio, nomina Andreotti ministro degli Interni in un governo destinato a durare, proprio a causa della vicenda Montesi, solo 23 giorni. Il 9 febbraio, 24 ore prima, che Fanfani rassegnasse le dimissioni Gaspare Pisciotta, l’assassino del bandito Salvatore Giuliano, viene ucciso in carcere da un caffè avvelenato. Con sé Pisciotta porta tutti i suoi segreti. Durante un processo aveva ammesso di aver ucciso Giuliano (smentendo così la versione ufficiale che voleva il bandito morto in un conflitto a fuoco con i carabinieri), e aveva sostenuto di aver contrattato l’uccisione direttamente con il ministro siciliano degli Interni, Mario Scelba. La Dc, infatti, secondo Pisciotta, voleva morto il bandito perché Bernardo Mattarella e i deputati monarchici Alliata e Leone di Marchesano, lo avevano coperto ed erano stati mandanti di una serie di delitti politici da lui commessi.
Dopo la morte di Pisciotta sarà proprio Scelba ad andare al governo tenendo per sé ad interim anche la carica di ministro degli Interni. Il giovane Andreotti invece resta fuori. In giugno parte per gli Stati Uniti e al ritorno fonda una corrente tutta sua. Si chiama “Primavera”. E’ collocata su posizioni di destra, ma ha seguito solo nel Lazio e nel mondo del Vaticano. Gli andreottiani, infatti, saranno, per anni destinati ad essere una forza minoritaria della Dc, finché nel ’69 non viene stretto un accordo con il fanfaniano Salvo Lima, ex sindaco di Palermo, figlio di un uomo d’onore e citato 149 volte nelle conclusioni della commissione antimafia. Nel 1956 Carlo Alberto Dalla Chiesa, ancora colonnello, aveva parlato per la prima volta di lui in un’intervista a Giorgio Bocca “La mafia non c’è”, aveva detto con amara ironia, “Ci sono solo delle strane combinazioni. Per esempio c’è un tale Salvatore Lima. Lo hanno votato in massa tutti i dipendenti dell’azienda tranviaria diretta da un amico di Vassallo. Non conosce Vassallo? Faceva il carrettiere, poi ha costruito mezza Palermo”.
(1/4 – continua)
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.