Sono arrivate in 300 fin dentro a Palazzo d’Accursio, le insegnanti delle scuola d’infanzia comunali scese in piazza per manifestare contro la decisione del comune di Bologna di unire i servizi educativi a quelli socio-assistenziali all’interno di una Asp unica, “svendendo così la scuola pubblica e svilendo la professionalità degli insegnanti”. Ad aprire il corteo, partito da via San Felice 11 con lo scopo di intervenire in consiglio comunale per pretendere un colloquio con la Giunta, “che dal referendum che bocciò questo progetto non si è più fatta sentire”, c’erano loro, i bimbi: Emma, Matteo, Stefano e Luca, di 5 e 6 anni, tra le mani uno striscione che recita “Bologna deve sapere. No Asp. Giù le mani dalla scuola”. Bimbi che “a settembre – spiegano le maestre – non sapranno chi sono le loro dade”. Ma che per primi “subiranno gli effetti di una follia: quella perpetrata dal Comune, che pretende di trattare la scuola come fosse un servizio alla persona, quando invece la scuola è scuola. Le maestre non sono badanti, e questa Giunta dovrebbe salvaguardare la loro professionalità, non sminuirla”.
I tempi per una consultazione, però, sono stretti. Secondo quanto riportato dall’assessore alla Sanità Luca Rizzo Nervo, il progetto, che prevede l’unificazione delle quattro Asp cittadine che gestiscono i servizi socio sanitari in un’unica Asp, “un’azienda pubblica” per il 97% di partecipazione comunale, 2% della Fondazione Carisbo e 1% provinciale, dovrebbe partire dal 1° gennaio 2014, compresa la filiera educativa da 0 a 6 anni. Ma le scuole dell’infanzia, nonostante il parere negativo espresso dagli insegnanti tramite referendum, quest’inverno, entreranno subito in Asp Irides, prima di confluire nella nuova Asp: già dal prossimo anno scolastico. E i cambiamenti che tale progetto comporterà sono diversi, anche se non del tutto chiari: aumento delle ore lavorative, modifiche contrattuali. Ma soprattutto incertezza.
“A oggi – spiega Valeria, insegnante da 35 anni – non sappiamo cosa ne sarà dei progetti extracurriculari, delle risorse per realizzarli. Non sappiamo nemmeno cosa ne sarà di noi”. Delle insegnanti precarie, le prime a essere assorbite dall’Asp con un nuovo contratto, quello utilizzato negli enti pubblici e non più nelle scuole statali, un contratto da “36 ore frontali contro le 25 attuali, da 150 monte ore per riunioni, contro le 40 – 80 a disposizione oggi, il tutto a fronte dello stesso stipendio”. Che per una maestra, in media è di 1.000 – 1.200 euro. Ma anche di quelle di ruolo, o delle dade che, dopo due concorsi pubblici e tanto lavoro avevano avuto accesso alle graduatorie permanenti, “attraverso le quali si accede all’assunzione, finalmente”, solo per vedersele cancellare. “Perdendo ogni diritto alla stabilizzazione”. In tutto sono più di 500 le maestre che aspettano di sapere cosa ne sarà del loro lavoro.
“La cosa peggiore – spiegano i manifestanti dell’Adi, l’associazione docenti italiani che ha organizzato la protesta – è che in tutti questi mesi nessuno ci ha consultate. Non sappiamo cosa succederà a settembre. Eppure la scuola la facciamo noi, non il Comune, che al massimo tiene i conti. Non Virginio Merola, il sindaco che aveva promesso che non ci avrebbe mai cambiato il contratto e che l’altra sera, a un incontro sul referendum per abolire i finanziamenti alle scuole private ha detto che qualunque sarà l’esito della consultazione non ne terrà conto perché è un referendum consultivo. Questa non è la nostra giunta, e lui non è il nostro sindaco”.
Per questo, dopo numerosi appelli, l’associazione dei docenti ha deciso di scendere in piazza e prendere la parola, “perché un precariato come quello che c’è a Bologna non c’è da nessun’altra parte”, e perché “nessuno ha dato mandato a questa Giunta di dismettere la scuola pubblica”. “Non è una semplice rivendicazione sindacale – spiegano le maestre – ma è una questione di tutela di un bene, quello legato all’istruzione, che va salvaguardato e non ceduto, o privatizzato per una questione di bilanci”.
Il corteo ha sfilato per Via San Felice e Via Ugo Bassi prima di raggiungere Piazza Maggiore e decidere di salire a Palazzo D’Accursio, dove era riunito il Consiglio Comunale. Ad accogliere i manifestanti, entrati in Sala D’Ercole, anticamera della Sala di Consiglio, con striscioni e fischietti, l’assessore alla Sanità Luca Rizzo Nervo, alla Scuola, Marilena Pillati, e agli Affari Istituzionali, Matteo Lepore. “Il Comune non vuole dismettere la scuola – hanno dichiarato alla folla, bloccata all’ingresso della sala consiliare – L’Asp è un ente pubblico, vogliamo solo mettere in sicurezza le scuole”. Anzi, ha chiarito Rizzo Nervo, c’è una ragione per cui l’Asp è, almeno secondo il Comune, l’unica strada possibile, libera dai vincoli che legano le mani dell’amministrazione comunale, uno fra tutti, il patto di stabilità: “La Corte dei Conti ha stabilito che questo soggetto pubblico è più svincolato”. Quindi, ha aggiunto, “non vogliamo tagliare i servizi ma migliorarli: il Comune sarà committente e controllore, l’Asp produrrà i servizi. Una scelta politicamente rilevante perché l’alternativa sarebbe stata privatizzare, invece noi creeremo un sistema pubblico maturo, rivolto al miglioramento della qualità dei servizi alla persona”.
Ma per gli insegnanti questa non è una garanzia. Anzi, “se questa proposta l’avessero fatta in merito alle scuole statali, in strada ora ci sarebbe la Rivoluzione – attacca Alessandra Cenerini, presidente dell’Adi – la realtà è che la possibilità di migliorare la scuola pubblica l’hanno già abbandonata da tempo. Ma se questo progetto passerà, se davvero la scuola sarà equiparata ai servizi socio assistenziali, come quelli per gli anziani, sarà il caos”.
A chiudere la partita, però, ci pensa l’assessore Lepore, che ha stoppato le proteste promettendo un incontro: “ci impegneremo per incontrarvi con tutti i dati relativi alle assunzioni, e le risposte che chiedete. Mi sono rotto le palle di sentir dire che Bologna non difende la scuola pubblica”. Nemmeno a dirlo, le maestre se ne sono andate scontente: “abbiamo interrotto la protesta solo per rispetto, perché è prevista la commemorazione in ricordo di Maurizio Cevenini”, commenta una dada. Ma questo, aggiunge la Cenerini, “è solo l’inizio. È ora che Merola faccia qualcosa di sinistra e se credono che ci daremo per vinte si sbagliano di grosso. Ci trattano come il nemico, inciuciano solo con i sindacati confederali, ma ci siamo anche noi. Sappia il sindaco che da qui a giugno, finchè la scuola sarà aperta, non avranno pace”.