Dalla Città della Salute al Centro di ricerca biomedica avanzata (Cerba), passando per l’Istituto europeo di oncologia, il triangolo d’oro “banche-mattone-sanità” lombarda si sta rivelando un triangolo delle Bermude per Intesa e Unicredit. La partita, che vale oltre 1 miliardo di euro di vecchi crediti, negli ultimi tempi si è trasformata in una bomba a orologeria che potrebbe esplodere in queste settimane. Molto dipende da come la gestirà Roberto Maroni, al suo primo vero esame da governatore della Lombardia.
L’ago della bilancia, come sempre, è la politica che, viste le ristrettezze, potrebbe essere costretta a scegliere un solo progetto da portare avanti, favorendo in maniera indiretta o Intesa o Unicredit, con la prima maggiormente esposta sulla Città della Salute e la seconda sul Cerba. Nel mezzo Bpm che vanta crediti minori sui terreni legati a entrambi, ma che gioca in casa con la Lega alla Regione. Non è secondario, poi, il ruolo del Tribunale fallimentare che dovrà dire la sua sul destino del fallimento Ligresti su cui ruota il Cerba, a sua volta legato allo Ieo di Umberto Veronesi che ha conti tutt’altro che brillanti e un azionariato con molti punti in comune con la disastrata Rcs. Banche ed editrice del Corriere della Sera inclusi. Insomma, un bel pasticcio. E pensare che quando Veronesi, nel 2004, aveva convinto i suoi finanziatori a seguirlo anche nell’avventura del Cerba da far sorgere accanto allo Ieo, uno dei punti cardine era proprio la collaborazione con la futura Città della Salute.
Oggi, però, la concorrenza sembra obbligata. Da una parte c’è un progetto già approvato, la Città della Salute, che dovrebbe sorgere sull’ex area Falck di Sesto San Giovanni e, con un costo pubblico di 370 milioni, valorizzerebbe il piano d’intervento previsto per l’area, consentendo alle banche di recuperare parte dei crediti nati dai finanziamenti accordati a piene mani a Luigi Zunino ai tempi d’oro. A fine 2011 il totale superava i 400 milioni, oltre 300 dei quali in capo a Intesa.
Sul Cerba, invece, ballano quasi 600 milioni tra banche e assicurazioni a loro volta indebitate con le banche, come Fondiaria Sai. Qui la parte del leone la fa Unicredit cui fanno capo 180 milioni di crediti (su un totale di oltre 340) verso le holding dei Ligresti, Imco e Sinergia, proprietarie dell’area destinata al Centro di Veronesi. Senza contare che il Tribunale fallimentare ha già respinto al mittente la richiesta di Piazza Cordusio di riavere altri 124 milioni. E che FonSai è tuttora fortemente indebitata con Mediobanca, il cui primo azionista è sempre Unicredit.
La questione giudiziaria è spinosa, dato che nell’escludere alcuni crediti bancari il Tribunale ha parlato di “una più ampia operazione depauperatoria del patrimonio dell’impresa fallita” e si è riservato di far valere i profili di responsabilità risarcitoria dell’istituto di credito nel dissesto dell’impresa fallita”. Ma Unicredit e Bpm sono andate avanti ugualmente con la proposta di un concordato fallimentare e su questo fronte è ancora tutto da vedere. Come è ancora tutta da vedere la stipula della convenzione del programma integrato di intervento sull’area, già sollecitata dal Comune di Milano, senza la quale i terreni torneranno al Parco Sud, facendo saltare tutti i piani.
Una partita complessa che le parti in causa non sono riuscite a chiudere prima delle elezioni regionali. Ora, perfino la nuova giunta sembra aver chiaro che il mito della sanità lombarda non è poi così brillante come lo dipingeva Roberto Formigoni, grande sponsor della Città della Salute. Tanto è bastato a far riaprire entrambi i dossier, come riportato nei giorni scorsi dal Corriere della Sera che ha riportato i dubbi del presidente della Commissione regionale Sanità, Fabio Rizzi.
In attesa delle prossime mosse del Comune, poi, ha convocato i vertici delle strutture interessate a partire da oggi. Con la garanzia che Maroni “vuole fare una programmazione sulla base di dati sanitari e scientifici e non correndo dietro alle singole botteghe”. Bisognerà vedere se le insegne bancarie dell’una e dell’altra non faranno la differenza.
Dal Fatto Quotidiano dell’ 8 maggio 2013