In un’azienda emiliana il contratto di solidarietà espansivo ha permesso di assumere ventinove precari, in cambio di una minima riduzione di orario e di stipendio per i lavoratori già a tempo indeterminato. Perché imprese e sindacato non utilizzano di più questo strumento previsto da trenta anni?
di Andrea Suppino*
Un contratto espansivo
Le vicende politiche seguite alle elezioni di febbraio hanno prodotto, fra le altre cose, alcuni segnali di maggiore attenzione ai problemi lavorativi delle giovani generazioni e non si tratta solo del dibattito sul reddito minimo. Sulla perdita di rappresentatività tra i giovani, si interroga anche il movimento sindacale, che anziché inseguire gli schemi politici, potrebbe trovare risposte proprio nel rinnovamento delle prassi contrattuali.
Qualche settimana fa, ad esempio, all’Ifoa di Reggio Emilia è stato siglato un accordo aziendale che offre qualche spunto di riflessione: con un contratto di solidarietà espansivo si sono assunti definitivamente ventinove precari in cambio di una riduzione minima degli stipendi e dell’orario dei lavoratori a tempo indeterminato.
L’Ifoa è un istituto di formazione aziendale con sedi in varie Regioni. In base all’accordo, i suoi 84 impiegati in organico hanno accettato una riduzione di orario da 40 a 38 ore e un taglio dello stipendio di circa il 5 per cento (cioè una media di 80 euro mensili in meno in busta paga). Ciò ha permesso di assumere ventinove persone a tempo indeterminato, mentre altri venti lavoratori diventano “somministrati” ed entrano in un bacino di precedenza per le prossime assunzioni; venti altri collaboratori hanno deciso di rimanere autonomi (anche perché sono pluricommittenti) e resta infine ancora da analizzare e contrattare il caso di undici collaboratori di commesse esterne.
Uno strumento da utilizzare di più
Per stipulare l’accordo, Ifoa e sindacati hanno fatto ricorso alla legge 863 del 1984, che prevede all’articolo 1 il contratto di solidarietà difensivo (riduzione degli stipendi in cambio di mantenimento degli organici nel periodo di crisi) e all’articolo 2 il contratto di solidarietà esterno o espansivo (riduzione degli stipendi, in cambio di nuove assunzioni).
Mentre la solidarietà difensiva è stata spesso utilizzata anche in questi anni di crisi economica, gli esempi del secondo tipo sono rarissimi. Talvolta si cita l’accordo dell’Alitalia del 2009, anche se in quella vicenda l’intervento pubblico aveva assunto caratteristiche più generali. Negli anni precedenti, alcuni accordi aziendali di questo tipo erano stati stipulati nel settore bancario e in quello della grande distribuzione. Ma prima le ristrutturazioni industriali e poi, dal 2008, la crisi hanno contribuito ad archiviare un istituto che vorrebbe promuovere rimodulazioni di orario per favorire nuova occupazione. Proprio per queste ragioni, l’accordo dell’Ifoa è particolarmente significativo.
Sul piano contributivo e previdenziale, la riduzione dell’orario di lavoro è priva di effetti per il lavoratore, in quanto in base all’articolo 5 comma 5 della legge 236 del 1993, interviene l’Inps coprendo il periodo con l’accredito di contributi figurativi.
D’altra parte, per tre anni l’azienda (che usciva da un periodo di cassa integrazione) non potrà attivare né cassa né mobilità, pena la perdita dell’incentivo Inps per la solidarietà.
A monte della decisione di ricorrere al contratto di solidarietà espansivo, c’è anche la necessità di adeguarsi alla riforma Fornero. Oggi, la grande maggioranza delle aziende che non possono più rinnovare i contratti co.co.pro, chiedono semplicemente ai propri collaboratori di aprire una partita Iva. E a chi ha fatto notare lo scarsissimo uso dell’istituto della solidarietà espansiva, si è risposto che è ancora poco conosciuto dalle aziende (dopo trenta anni…).
In realtà, nonostante già dal 2003 la legge Biagi obblighi le aziende a comunicare il numero dei lavoratori somministrati, molte non lo fanno e continuano ad assumere con contratti precari anche nei periodi in cui usufruiscono della cassa integrazione. Da aprile è scattata anche una sanzione pecuniaria da 250 a 1.250 euro per ogni lavoratore somministrato che l’azienda non comunica. Tuttavia, come sempre, perché le sanzioni previste si mostrino efficaci sono necessari controlli adeguati attraverso una attività ispettiva che invece non è sempre possibile, vista la situazione degli organici.
Il sindacato dovrebbe quindi promuovere maggiormente l’utilizzo di accordi come quello dell’Ifoa. Certo, non tutte le situazioni aziendali sono adatte o propizie, ma uno strumento contrattuale che può alleviare la difficile condizione giovanile, merita maggiore diffusione.
*Dirigente della Regione Emilia-Romagna. Si occupa prevalentemente di welfare, esclusione sociale ed immigrazione. Negli anni novanta ha diretto l’Agenzia regionale per l’impiego dell’ER. Rappresentante delle regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione. Annualmente redige per il Dossier Immigrazione di Caritas-Migrantes un rapporto sull’impatto fiscale del fenomeno migratorio in Italia, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa di Mestre. Fa parte del comitato editoriale della rivista ‘Autonomie locali e servizi sociali’ Negli anni novanta ha diretto l’Agenzia regionale per l’impiego dell’ER. Rappresentante delle regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione. Annualmente redige per il Dossier Immigrazione di Caritas-Migrantes un rapporto sull’impatto fiscale del fenomeno migratorio in Italia, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa di Mestre. Fa parte del comitato editoriale della rivista ‘Autonomie locali e servizi sociali’