Cairo, un giorno qualunque. Una ragazza senza velo cammina per le trafficatissime strade della città. Nel suo breve tratto viene seguita da un uomo che mentre parla al telefono le chiede la tariffa per una prestazione sessuale. Passano pochi minuti e altri due ragazzi si accostano in auto e fanno dei complimenti pesanti. Seconda scena, una ragazza velata passeggia per le vie del centro della capitale egiziana. Anche in questa situazione diversi uomini si avvicinano alla donna e le sussurrano commenti osceni. Il tutto viene filmato dalle telecamere del canale egiziano OnTv, ma di fiction c’è ben poco perché le due donne sono in realtà un uomo, Waleed Hammad, un attore che si è prestato a un esperimento per il programma d’inchiesta “Awel el Khayt” (“Il primo filo”).
“Ho realizzato che per una donna camminare per le strade è uno sforzo notevole, sia fisico sia psicologico” – spiega Hammad all’agenzia Reuters. “E’ come se fossero continuamente sotto assedio”. I producer del programma hanno dovuto fare diversi provini prima di trovare un attore disposto a ricoprire il ruolo. “Il nostro scopo era raccontare il fenomeno ma anche far immedesimare gli uomini in una situazione che difficilmente riescono a capire” – racconta Ramy Aly, consulente editoriale della trasmissione.
Il video, andato in onda a inizio maggio sull’emittente egiziana, ha immediatamente fatto il giro del web. Moltissimi utenti hanno postato sui social network “l’avventura” di Hammad, riportando l’attenzione su un fenomeno che dopo la rivoluzione egiziana è in aumento ma che, a differenza degli anni del regime di Mubarak, comincia a essere raccontato anche dai mezzi di comunicazione tradizionale, come la radio e la tv, ossia le molestie, verbali o sessuali, nei confronti delle donne.
Secondo gli ultimi dati pubblicati lo scorso aprile dalle Nazioni unite, il 99.3% delle donne in Egitto è stata molestata. Il 96,5% è stata almeno una volta nella sua vita toccata nelle parti intime mentre camminava per strada mentre il 95,5% del campione è stata molestata verbalmente. Numeri che, secondo i gruppi a tutela dei diritti delle donne, mostrano il disagio di una buona parte della popolazione, dovuto alla povertà e alla disoccupazione, ma allo stesso tempo evidenziano l’accettazione sociale del fenomeno.
“Nel codice penale egiziano non esiste un reato che punisce le molestie, ma soprattutto le donne hanno paura di denunciare – dice a ilfattoquotidiano.it Nihal Saad Zaghoul, attivista dell’Imprint movement, gruppo che si occupa di combattere l’harassment. “Reagire o ricorrere a vie legali può essere un’arma a doppio taglio perché le vittime rischiano di essere accusate, anche dalla loro stessa famiglia, di ‘essersela cercata’ con abiti o atteggiamenti provocanti”.
Dopo la rivoluzione, sono nate nuove associazioni e iniziative come i corsi gratuiti di autodifesa o dei gruppi di volontari, come ‘Tahrir bodyguard’, che si occupano di proteggere le donne durante le manifestazioni. Un passo avanti per un fenomeno che, per il momento, sembra essere entrato di diritto nel discorso mediatico, ma che non accenna a calare per le strade egiziane.