Ilaria, Alessandra, Chiara, Maria, Letizia. Fino a Fabiana, la sedicenne di Corigliano Calabro uccisa dal suo fidanzato in maniera atroce, accoltellata e poi bruciata viva. Sono solo alcuni dei nomi delle quasi quaranta donne uccise “in quanto donne” dall’inizio dell’anno. È una Spoon River tanto quotidiana quanto provvisoria, un lungo elenco di donne violate e private della loro vita. La violenza di genere è tra le peggiori vergogne della nostra società e un attacco continuo al sistema di valori su cui si fonda. Eticamente, politicamente ed economicamente non è più accettabile che questi fenomeni siano combattuti solo a parole. Serve una politica attiva contro le discriminazioni con campagne che partano dalla scuola.
Ma oggi, di fronte alla mattanza, occorrono subito gesti concreti e questi gesti devono partire da noi. Per questo ho salutato con enorme soddisfazione il passaggio alla Camera della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Nella speranza che l’approvazione definitiva da parte del Senato avvenga quanto prima e che siano poi messi in campo strumenti per la prevenzione e la repressione di questo fenomeno. A cominciare dagli episodi – la maggior parte – che avvengono tra le mura domestiche: “la violenza sulle donne non ha confini… e spesso ha le chiavi di casa”.
In questo senso occorre rompere il silenzio delle vittime, incentivare la denuncia delle violenze, lavorare sulla prevenzione, oggi gravemente trascurata, che va attuata con misure adeguate, dalla comunicazione ai servizi. Vanno inoltre garantiti interventi incisivi di tutela tramite la repressione dello stalking e degli autori di violenza da parte degli organi di polizia e della magistratura. Il supporto alle vittime deve essere il più ampio e duraturo possibile, anche mediante l’incremento su tutto il territorio nazionale dei centri anti-violenza e delle case rifugio, oggi in numero decisamente inferiore rispetto alle indicazione che provengono dall’Unione Europea. Ma assieme alla prevenzione bisogna intervenire con misure di repressione. In Italia sono tantissime le donne vittime di violenze fisiche e psicologiche e troppo spesso i loro aguzzini restano impuniti. Se la certezza della pena, in un Paese dove manca la certezza del diritto, è un miraggio, serve rafforzare la legislazione esistente. Le risorse per la prevenzione e la repressione si devono trovare.
Oltre a questo bisogna continuare in maniera incessante l’opera di sensibilizzazione culturale attraverso le iniziative sul territorio. Ad esempio, il 1° giugno si terrà a Ostia la manifestazione “Mai più”, contro la violenza sulle donne, organizzata dall’associazione Punto D, promotrice del flash mob “Un fiore per Michela e le altre” del 21 aprile scorso e dalla rete di donne del territorio. Da Ostia, che è un luogo simbolo, è partita una mobilitazione che intende estendersi a tutte le città romane in una vera e propria staffetta. Un testimone che deve essere raccolto in primo luogo dalle donne in politica, che mai come in questo caso possono stringere un patto contro la violenza di genere e il femminicidio.