La fame colpisce anche il Regno Unito, una delle nazioni più ricche al mondo, stando agli indicatori internazionali. Negli ultimi dodici mesi, più di 500mila britannici hanno fatto ricorso, almeno una volta, a una banca del cibo, che distribuisce regolarmente alimenti per contrastare denutrizione e deprivazione. Un numero praticamente triplicato rispetto ai dodici mesi precedenti, indice di una crisi dell’economia e del welfare che sta mettendo a dura prova lo spirito e il corpo di chi abita fra Londra, Manchester ed Edimburgo. In media, ogni cittadino che vi ha fatto ricorso ha usufruito di almeno tre pasti in dodici mesi, ma, avvertono ora le associazioni di queste istituzioni, cresce sempre più il numero di coloro che vi fanno ricorso abitualmente. E ora Oxfam e Church Action of Poverty, fra le principali associazioni di volontariato, chiamano direttamente in causa il governo di coalizione fra conservatori e liberaldemocratici guidato dal primo ministro David Cameron. “Questa è una fame nascosta”, dicono, “il governo deve smetterla con questo taglio al welfare”.
Eppure, non è solo una questione di tagli agli aiuti di Stato. I numeri, del resto, lo dimostrano: negli ultimi cinque anni, il costo degli alimenti di base è aumentato del 35% e quello del riscaldamento domestico del 63%, a fronte di stipendi e pensioni cresciuti di pochissimo. A questo si unisce la disoccupazione, la sottoccupazione (lavoratori part time o pagati a “minimum wage”, la paga minima di Stato) e profitti sempre minori per lavoratori indipendenti e piccoli commercianti. C’è quindi chi scivola sempre più verso una povertà senza apparente possibilità di ritorno, anche nel Paese della City di Londra e della grande finanza, che al prossimo G8 in Irlanda del Nord, a metà giugno, non potrà di certo nascondere sotto il tappeto problemi e drammi di una parte crescente della sua popolazione. Cameron, al momento, ha fatto sua una campagna contro l’evasione e l’elusione fiscale, e anche di questo si parlerà al G8. A Londra si spera che nuove risorse per lo Stato possano rilanciare un welfare sempre più asfittico. Che sì, prevede contributi ai disoccupati e a chi non può lavorare, ma si parla comunque di cifre minime che non garantiscono più la sussistenza.
David Cameron, a febbraio, si fece fotografare mentre visitava, con tutto il suo entourage, una banca del cibo nella sua circoscrizione elettorale. Ora le charity (le associazioni di volontariato) accusano: “Fu solo un’occasione per una foto di famiglia”. E il Trussel Trust, che solo l’anno scorso ha aiutato 350mila britannici, dice che è giunto il tempo di un cambio di passo, “la politica se ne deve interessare”. Secondo Cameron, le banche del cibo fanno parte di quella sua visione di “Big Society” tanto propagandata, una “grande” società in cui la sussidiarietà e la solidarietà funzionino alla perfezione, ognuno con le sue responsabilità. Sempre più difficile dirlo a quei 500mila britannici che spesso non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, dicono ora gli operatori del settore del primo aiuto. Fra le politiche di taglio al welfare, negli ultimi mesi, si è visto un aumento dei benefit di gran lunga inferiore rispetto all’inflazione, nuove sanzioni per quanto riguarda gli assegni ai disoccupati nel caso di mancata volontà di cercare e trovare un lavoro e una rimodulazione degli aiuti agli invalidi e ai disabili. Ora l’Organizzazione mondiale della sanità (WHO, World Health Organization) avverte: nel Regno Unito l’approccio del welfare è sempre più “dickensiano”, intendendo che si tratta sempre più di una concessione data dai ricchi ai poveri e non di un sistema egualitario e solidale.