Già da aprile, (ma la notizia viene rilanciata solo ora), all’Università di Lipsia, una delle più autorevoli in Germania, è in uso il femminile, anche per gli uomini, per indicare i ruoli svolti negli atenei, e i biglietti da visita, i siti web e la carta intestata dovranno essere aggiornati alla luce di questa rivoluzione linguistica: la professora (o professoressa), la ricercatrice, la rettora o rettrice sono le parole usate per individuare chiunque, docenti maschi compresi.
E’ il primo caso al mondo di sessuazione del linguaggio che adotta il femminile per indicare l’umanità, (da noi si usa il cosiddetto neutro maschile), un ossimoro evidente perché la neutralità, se è maschile, non è neutra.
Di norma in Italia anche all’Università si dice uomo per intendere il genere umano, ci si esprime davanti a platee miste, o a maggioranza femminile, usando termini e aggettivi maschili, e tutto questo senza che i giornali ne parlino.
E’ estremamente interessante, e importante, che la decisione tedesca, che non mancherà di far discutere in Italia e nel mondo, nasca proprio nel cuore del sapere formativo, in una istituzione antica che osa dove altre realtà non mettono in discussione il sistema di educazione e comunicazioni fin qui adottati.
‘Guten Tag, Herr Professorin’, ‘Buongiorno, signor professoressa’, va ironizzando una recente edizione lo Spiegel, iniziando il dileggio. Il giornale riporta l’unica contestazione fin qui arrivata per l’iniziativa. E’ del giurista Bernd-Ruediger Kern, che ha dichiarato: ”Questo è femminismo, una lingua che non fa bene al rigore del sapere e non porta contenuti buoni”.
Sembra però che a proporre questo esperimento di rivoluzione linguistica concreta (e anche fortemente simbolica) sia stato proprio un uomo, il fisico Kosef Kaes. Non è un caso che la proposta parta dal paese europeo nel quale da anni il governo è affidato ad una donna, Frau Bundeskanzlerin, la signora Cancelliera, come è naturale qui chiamarla, mentre in Italia sentiamo ai tg definirla il Cancelliere tedesco senza che ci siano obiezioni.
In Italia, è bene ricordarlo, fino agli anni ’80 nei libri di grammatica scolastica si poteva leggere che la regola di usare il genere maschile, anche in presenza di un solo uomo o elemento maschile, era giustificata dal fatto che “il maschile è il genere più nobile”. Viene da chiedersi: chissà perché nel terzo millennio è così difficile adeguare al genere il linguaggio, e definire quindi le persone, a seconda se uomini o donne, con aggettivi e parole adeguate al sesso di appartenenza. Il perché è semplice, e allo stesso modo complesso: si tratta di una questione di potere.
Potere di essere nominate, di essere memorabili, di differenziarsi, di avere autorevolezza a pari merito con il maschile, se si è donne. Potere di assorbire e neutralizzare l’altra da sé, di incarnare il modello unico di riferimento, di negare la parzialità, se si è uomini.
‘Sindaca’ suona male come del resto anche ‘ministra’, ‘architetta’ non ne parliamo, ‘direttora’ è brutto, direttrice evoca fantasmi di signorine rigide alla testa di asili nidi, segretaria indica colei che attende ordine dal boss o quella che si siede sulle ginocchia del capo, meglio segretario: potremmo continuare nella elencazione delle motivazioni contrarie alla sessuazione del linguaggio (e non stiamo nemmeno parlando di sostituire il maschile con il femminile, come nel caso tedesco, ma solo di usare il femminile per le donne e il maschile per gli uomini).
Come per la questione del cognome materno, da aggiungere a quello paterno per i figli e le figlie, si tratta di potere, peso e rilevanza sociale.
Si tratta di parole, eppure sono pesanti e fanno paura: in Spagna Zapatero terremotò la Costituzione sostituendo la parola coniugi a quella di marito e moglie, per dare dignità e visibilità anche alla famiglia omosessuale accanto a quella etero, ed è stata una rivoluzione che di lì a poco ha contagiato altri paesi.
La studiosa Mary Bateson nel suo bellissimo Comporre una vita scrive che “il carattere distintivo della vita contemporanea è il cambiamento”. E nessun cambiamento, né culturale, politico, sociale o esistenziale è immune dall’attraversare dei conflitti.
“Non si usa la sessuazione del linguaggio perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare degne di entrare nella storia in quanto donne, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo dell’oscurità della propria. Questo infatti è il potere simbolico del nome, dell’esercizio della parola: trasmettere la storia sessuando il linguaggio è narrarsi, dirsi, obbligare ad essere dette con il proprio nome di genere. Se non abbiamo nome e siamo possesso di un uomo, dell’etnia, della nazione, della religione, possiamo essere violentate nei molti modi in cui ciò avviene: se abbiamo nome e potestà di noi stesse la cosa è più difficile”. Così Lidia Menapace nella postfazione di Parole per giovani donne – 18 femministe parlano alle ragazze d’oggi, scritto nel 1990.
L’esigenza di sessuare il linguaggio, incrinando con la pratica linguistica la onnipresente cultura del neutro non è un dunque vezzo di poche intransigenti femministe: quando era ministra per le Pari opportunità Anna Finocchiaro emanò una direttiva, circolata nelle scuole italiane e negli uffici pubblici, nella quale si affermava la doverosità, sia nell’istruzione di base come nella politica, di usare maschile e femminile nel linguaggio. Alcuni piccoli cambiamenti si cominciano a notare, (il primo Consiglio comunale che ha introdotto il linguaggio sessuato nel regolamento è stato Imola tre anni fa, non senza fatica da parte della Presidente Paola Lanzon) e la strada è ancora tutta in salita. Il nostro insistere sulla formazione di genere e puntualizzare sul linguaggio appare un’impresa anacronistica, a tratti ridicola. Ma mi conforta il pensiero di una grande autrice, Ursula K. Le Guin, che amando i paradossi e scrivendo di fantasy e fantascienza afferma: “Nel mondo solo gli uomini e le donne che accettano di essere coperti di ridicolo possono davvero cambiarlo”. Come dire, una risata seppellirà il neutro.
Monica Lanfranco
Giornalista femminista, formatrice sui temi della differenza di genere
Donne di Fatto - 6 Giugno 2013
Università di Lipsia: quando si dice ‘donna’ per dire ‘umanità’
Già da aprile, (ma la notizia viene rilanciata solo ora), all’Università di Lipsia, una delle più autorevoli in Germania, è in uso il femminile, anche per gli uomini, per indicare i ruoli svolti negli atenei, e i biglietti da visita, i siti web e la carta intestata dovranno essere aggiornati alla luce di questa rivoluzione linguistica: la professora (o professoressa), la ricercatrice, la rettora o rettrice sono le parole usate per individuare chiunque, docenti maschi compresi.
E’ il primo caso al mondo di sessuazione del linguaggio che adotta il femminile per indicare l’umanità, (da noi si usa il cosiddetto neutro maschile), un ossimoro evidente perché la neutralità, se è maschile, non è neutra.
Di norma in Italia anche all’Università si dice uomo per intendere il genere umano, ci si esprime davanti a platee miste, o a maggioranza femminile, usando termini e aggettivi maschili, e tutto questo senza che i giornali ne parlino.
E’ estremamente interessante, e importante, che la decisione tedesca, che non mancherà di far discutere in Italia e nel mondo, nasca proprio nel cuore del sapere formativo, in una istituzione antica che osa dove altre realtà non mettono in discussione il sistema di educazione e comunicazioni fin qui adottati.
‘Guten Tag, Herr Professorin’, ‘Buongiorno, signor professoressa’, va ironizzando una recente edizione lo Spiegel, iniziando il dileggio. Il giornale riporta l’unica contestazione fin qui arrivata per l’iniziativa. E’ del giurista Bernd-Ruediger Kern, che ha dichiarato: ”Questo è femminismo, una lingua che non fa bene al rigore del sapere e non porta contenuti buoni”.
Sembra però che a proporre questo esperimento di rivoluzione linguistica concreta (e anche fortemente simbolica) sia stato proprio un uomo, il fisico Kosef Kaes. Non è un caso che la proposta parta dal paese europeo nel quale da anni il governo è affidato ad una donna, Frau Bundeskanzlerin, la signora Cancelliera, come è naturale qui chiamarla, mentre in Italia sentiamo ai tg definirla il Cancelliere tedesco senza che ci siano obiezioni.
In Italia, è bene ricordarlo, fino agli anni ’80 nei libri di grammatica scolastica si poteva leggere che la regola di usare il genere maschile, anche in presenza di un solo uomo o elemento maschile, era giustificata dal fatto che “il maschile è il genere più nobile”. Viene da chiedersi: chissà perché nel terzo millennio è così difficile adeguare al genere il linguaggio, e definire quindi le persone, a seconda se uomini o donne, con aggettivi e parole adeguate al sesso di appartenenza. Il perché è semplice, e allo stesso modo complesso: si tratta di una questione di potere.
Potere di essere nominate, di essere memorabili, di differenziarsi, di avere autorevolezza a pari merito con il maschile, se si è donne. Potere di assorbire e neutralizzare l’altra da sé, di incarnare il modello unico di riferimento, di negare la parzialità, se si è uomini.
‘Sindaca’ suona male come del resto anche ‘ministra’, ‘architetta’ non ne parliamo, ‘direttora’ è brutto, direttrice evoca fantasmi di signorine rigide alla testa di asili nidi, segretaria indica colei che attende ordine dal boss o quella che si siede sulle ginocchia del capo, meglio segretario: potremmo continuare nella elencazione delle motivazioni contrarie alla sessuazione del linguaggio (e non stiamo nemmeno parlando di sostituire il maschile con il femminile, come nel caso tedesco, ma solo di usare il femminile per le donne e il maschile per gli uomini).
Come per la questione del cognome materno, da aggiungere a quello paterno per i figli e le figlie, si tratta di potere, peso e rilevanza sociale.
Si tratta di parole, eppure sono pesanti e fanno paura: in Spagna Zapatero terremotò la Costituzione sostituendo la parola coniugi a quella di marito e moglie, per dare dignità e visibilità anche alla famiglia omosessuale accanto a quella etero, ed è stata una rivoluzione che di lì a poco ha contagiato altri paesi.
La studiosa Mary Bateson nel suo bellissimo Comporre una vita scrive che “il carattere distintivo della vita contemporanea è il cambiamento”. E nessun cambiamento, né culturale, politico, sociale o esistenziale è immune dall’attraversare dei conflitti.
“Non si usa la sessuazione del linguaggio perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare degne di entrare nella storia in quanto donne, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo dell’oscurità della propria. Questo infatti è il potere simbolico del nome, dell’esercizio della parola: trasmettere la storia sessuando il linguaggio è narrarsi, dirsi, obbligare ad essere dette con il proprio nome di genere. Se non abbiamo nome e siamo possesso di un uomo, dell’etnia, della nazione, della religione, possiamo essere violentate nei molti modi in cui ciò avviene: se abbiamo nome e potestà di noi stesse la cosa è più difficile”. Così Lidia Menapace nella postfazione di Parole per giovani donne – 18 femministe parlano alle ragazze d’oggi, scritto nel 1990.
L’esigenza di sessuare il linguaggio, incrinando con la pratica linguistica la onnipresente cultura del neutro non è un dunque vezzo di poche intransigenti femministe: quando era ministra per le Pari opportunità Anna Finocchiaro emanò una direttiva, circolata nelle scuole italiane e negli uffici pubblici, nella quale si affermava la doverosità, sia nell’istruzione di base come nella politica, di usare maschile e femminile nel linguaggio. Alcuni piccoli cambiamenti si cominciano a notare, (il primo Consiglio comunale che ha introdotto il linguaggio sessuato nel regolamento è stato Imola tre anni fa, non senza fatica da parte della Presidente Paola Lanzon) e la strada è ancora tutta in salita. Il nostro insistere sulla formazione di genere e puntualizzare sul linguaggio appare un’impresa anacronistica, a tratti ridicola. Ma mi conforta il pensiero di una grande autrice, Ursula K. Le Guin, che amando i paradossi e scrivendo di fantasy e fantascienza afferma: “Nel mondo solo gli uomini e le donne che accettano di essere coperti di ridicolo possono davvero cambiarlo”. Come dire, una risata seppellirà il neutro.
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Gli Stati Uniti hanno già inviato in Italia le nuove bombe atomiche: le B61-12 nelle basi di Aviano e Ghedi
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“Lavori dequalificati e invisibili? Quasi sempre alle donne. Così il loro sciopero può bloccare la società”. Poche operaie e pagate meno degli uomini – i dati
Città del Vaticano, 8 mar. - (Adnkronos) - Papa Francesco, dopo aver trascorso una notte tranquilla, prosegue le terapie per curare la polmonite bilaterale e la fisioterapia motoria. Lo fa sapere oggi 8 marzo la Sala stampa del Vaticano nel consueto aggiornamento della mattina sulle condizioni di salute del Pontefice, ricoverato al Gemelli dallo scorso 14 febbraio per una polmonite bilaterale.
Ieri i medici non hanno diramato alcun bollettino. L’aggiornamento tornerà stasera. La Sala stampa del Vaticano ieri ha comunque fatto sapere che le condizioni cliniche erano rimaste stabili pure in un quadro complesso per cui la prognosi resta riservata.
Intanto si va verso la quarta domenica nella quale l'Angelus domenicale del Papa sarà solo con il testo scritto. Lo fa sapere la Sala stampa vaticana che spiega che l'Angelus - per la quarta domenica di fila - dovrebbe avvenire in linea di massima come accaduto le altre domeniche con il testo solo scritto del Papa.
Domani poi - alle 10.30 - il cardinale Michael Czerny celebrerà la messa per il Giubileo del mondo del volontariato e leggerà il testo di un'omelia preparata dal Pontefice.
Ieri è arrivato un messaggio a sorpresa di Papa Francesco. Un audio con la voce del Ponteficeè stato diffuso nella serata di oggi 6 marzo in piazza San Pietro, dove i fedeli erano riuniti in preghiera. "Ringrazio di cuore per le vostre preghiere per la mia salute dalla Piazza, vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e che la Vergine vi custodisca. Grazie", le parole del Papa nel messaggio pronunciato con voce flebile e sofferente (Ascolta).
Ancona , 8 mar. (Adnkronos) - "Dobbiamo investire garantendo al contempo che la transizione verde sia sostenibile per le imprese e per le nostre comunità". Lo ha affermato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, intervenendo al convegno organizzato da Forza Italia ad Ancona, 'Le radici cristiane. Il futuro dell'Europa'.
Ancona, 8 mar. (Adnkronos) - "Se l'Europa vuole essere protagonista deve agire con unità e determinazione: questo significa investire in difesa, potenziarne la spesa, per puntare a mobilitare risorse che rafforzino la nostra sicurezza e la collaborazione con la Nato". Lo ha affermato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, intervenendo al convegno organizzato da Forza Italia ad Ancona 'Le radici cristiane. Il futuro dell'Europa'.
Hiroshima, 8 mar. (Adnkronos) - "La Repubblica italiana condanna fermamente queste derive pericolose" di chi come la Federazione Russa minaccia il ricorso alle armi nucleari. "Roma riconosce l'urgenza di un'azione condivisa che coinvolga necessariamente tutte le potenze nucleari, con profonda consapevolezza continuiamo a sostenere questi processi e le attività delle organizzazioni internazionali: non è, come qualcuno vorrebbe pretendere, un confronto tra illuse anime belle e realisti, bensì tra le ragioni della vita e le ragioni della morte, tra le ragioni della pace e quelle dello scontro". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando ad Hiroshima l'Associazione dei sopravvissuti ai bombardamenti nucleari.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - "In occasione dell’8 marzo desidero rivolgere la mia riconoscenza e la mia gratitudine a tutte le donne. Da sempre, il loro ruolo e il loro contributo nella società risultano fondamentali per la crescita e lo sviluppo della Nazione. Molto è stato fatto in questi anni per ridurre le differenze culturali e salariali con gli uomini, per bandire una inaccettabile mentalità retrograda che seppur a fatica la nostra società sta finalmente debellando. Ciononostante, molto dobbiamo ancora fare per arrivare ad una vera parità di diritti". Lo scrive su Facebook il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
"Il rispetto delle donne, inoltre, non può e non deve mai -aggiunge- limitarsi a parole di circostanza durante una seppur importante ricorrenza, ma è fondamentale un quotidiano impegno di tutti: dalle istituzioni fino al singolo, passando per le scuole e le famiglie. Il mio deferente e commosso pensiero, infine, va alle tante, troppe donne rimaste vittime di femminicidi e alle loro famiglie che portano nel cuore il dolore di questa perdita".
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - "Oggi celebriamo la Giornata internazionale della donna, un momento di riflessione e di impegno per contrastare le tante disuguaglianze che ancora attraversano la nostra società e che penalizzano in modo particolare le donne, soprattutto nel mondo del lavoro. Le disparità salariali, le difficoltà di accesso ai ruoli di vertice e il mancato riconoscimento di diritti fondamentali, come quello all’autodeterminazione sul proprio corpo, rappresentano ostacoli per moltissime donne. Quelle donne che la prima presidente del Consiglio donna continua a ignorare". Lo afferma Chiara Braga, capogruppo del Pd alla Camera.
“Il Partito democratico –aggiunge- è in prima linea con le proprie proposte che vanno in questa direzione: dal salario minimo per garantire un lavoro dignitoso e meno precario, all’aumento della disponibilità degli asili nido e di una sanità di qualità su tutto il territorio nazionale, fino all’introduzione dei congedi parentali paritari e obbligatori per entrambi i genitori. Sono interventi necessari per permettere alle donne di conciliare davvero i tempi di vita e di lavoro e migliorare la qualità della vita di tutti".
“Dobbiamo agire con determinazione -conclude Braga- per contrastare ogni forma di violenza di genere. Per questo, ci impegniamo a modificare la legge introducendo il principio del consenso come elemento fondamentale nel reato di violenza sessuale. È una battaglia di civiltà che non possiamo più rimandare. La giornata dell’8 marzo non è solo una celebrazione, ma un’occasione per rinnovare un impegno quotidiano. Il Partito democratico continuerà a lavorare dentro e fuori le istituzioni per una società più giusta, equa e libera da ogni discriminazione di genere”.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - “L’8 marzo non è una ritualità da calendario, ma un giorno in cui dobbiamo fare il punto su come lavorare, senza sosta, per risolvere la questione femminile. Il Governo, proprio ieri, ha approvato un ddl che sancisce il femminicidio reato autonomo. Si tratta di un’innovazione normativa importante, per la dignità delle donne. Per noi si tratta di un valore universale, da applicare in tutte le dimensioni della vita. Dalla garanzia di sicurezza fino alla piena inclusione sociale, in condizioni di parità rispetto agli uomini. E anche alla piena possibilità di esprimersi. Per questo il nostro pensiero oggi va a quelle donne cui, sotto regimi autoritari, viene negato il diritto allo studio, il diritto di svolgere alcuni lavori o di poter sposare chi vogliono. La comunità internazionale non deve mai dimenticarsi di loro”. Così in una nota la deputata Deborah Bergamini, vicesegretario nazionale di Forza Italia.