Perfetto ancora non lo è, e a dirlo è la stessa Alta rappresentante Onu per il disarmo, Angela Kane. Il Trattato internazionale sul commercio di armi convenzionali firmato lunedì a New York è però già considerato storico. È il primo accordo vincolante che regola un mercato stimato in 85 miliardi di dollari. In calce ci sono già 67 firme, oltre un terzo dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. Al momento i componenti permanenti del Consiglio di sicurezza che hanno sottoscritto il documento sono soltanto due: la Francia e la Gran Bretagna. Gli Stati Uniti, il più grande esportatore di armi al mondo, firmeranno il documento soltanto più avanti.

“I governi sono ora responsabili per ogni trasferimento di armamenti che entrano o escono dai loro territori. Dovranno mettere i diritti umani e il diritto umanitario, non i profitti al centro delle decisioni”, ha commentato Anna MacDonald, di Oxfam International, parlando a nome della campagna Control Arms, uno dei principali sostenitori del trattato. Il documento non ha avuto vita facile. Il sì dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite è arrivato lo scorso aprile, con 154 voti a favore, 23 astenuti -tra cui i russi- e tre contrari: Siria, Corea del Nord e Iran. Il passaggio in assemblea fu però reso necessario per la mancanza di unanimità nell’approvare il testo che decretò il sostanziale nulla di fatto delle due Conferenze diplomatiche dell’estate scorsa e dello scorso marzo. Il testo è stato un compromesso tra diversi interessi, su cui hanno pesato ragioni strategiche e geopolitiche. Né mancano le lacune. Come sottolinea un’analisi di Archivio Disarmo, riguarda soltanto le armi leggere e di piccolo calibro e i principali sistemi d’arma: carri armati, veicoli corazzati da combattimento, sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei da combattimento, elicotteri d’attacco, navi da guerra e sottomarini, missili e missili lanciatori. Ci sono però regole più deboli per quanto riguarda le munizioni e restano fuori le armi che non hanno un esclusivo uso militare e quelle elettroniche come radar, satelliti o droni telecomandati.

Il segretario di Stato americano, John Kerry, spiega ora di attendere una traduzione ufficiale che soddisfi Washington. Dopo dovrà passare per la ratifica del Senato e lì bisognerà vedere come si comporterà la potente lobby delle armi statunitensi, sebbene nel comunicato Usa si sottolinei come il documento non avrà ripercussioni sul secondo emendamento, leva usata dalla National Rifle Association per paventare restrizioni ai cittadini statunitensi. All’appello mancano ancora sia la Cina, che ha recentemente superato i britannici come quinto esportatore al mondo, sia la Russia. Le due potenze sono però su posizioni differenti. Più possibilista Pechino, più scettica Mosca. Nello scorrere la lista dei Paesi che hanno aderito al trattato si nota la mancanza di alcuni dei principali importatori come l’India e l’Arabia Saudita. C’è invece la Germania, terzo esportatore al mondo con il 7 per cento del mercato globale e un giro d’affari di 76 milioni di euro in armi leggere nel 2012, i cui commerci proprio con i sauditi, ma anche con il Libano e l’Iraq, sono stati argomento di dibattito all’inizio dell’anno per le ripercussioni sulla tutela dei diritti umani.

Berlino dovrà ora prestare maggiore attenzione alle esportazioni, nel rispetto dello spirito dell’accordo, ha spiegato Matthias John, esperto di difesa per Amnesty International, citato dalla Deutsche Welle, perché “i diritti umani hanno la priorità”. Altri criteri come la “dottrina Merkel”, che pone in primis questioni internazionali e di sicurezza, dovranno lasciare il passo. E c’è anche l’Italia. La firma italiana del testo “è un momento storico importante per chi da anni si batte contro la diffusione indiscriminata di armamenti nel mondo, e soprattutto per tutte le vittime (una al minuto) che subiscono violenza e morte per causa delle armi”, si legge nel comunicato della Rete Disarmo. Il trattato diventerà effettivo appena sarà ratificato da almeno 50 Paesi. Una volta in vigore vieterà il trasferimento di armi convenzionali in Paesi dove potrebbero essere usate per crimini di guerra e contro l’umanità o genocidi. Gli Stati dovranno inoltre regolare il trasferimento di armamenti e pesare i rischi di eventuali commesse.

di Andrea Pira

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