“Ma davvero è in crescita il numero delle donne uccise per mano di un uomo o sono i media ad aver amplificato il fenomeno? Qualche anno fa di femminicidio non si parlava, quindi sono aumentati i casi?” ,queste domande  un mio amico mi rivolgeva,  giorni fa, sapendo che mi occupo di violenza e questioni di genere.

Quanti uomini avranno le stesse perplessità in proposito? Un maschile fortemente sotto accusa, negli ultimi tempi, che può  faticare ad avere una reale percezione del fenomeno e che rischia, per questo, di arroccarsi su posizioni di chiusura, rendendo uno dei punti più critici delle questioni di genere, ossia il disinteresse maschile in proposito, ancora più critico.

Innanzitutto possiamo e dobbiamo migliorare la qualità dei dati sul femminicidio in nostro possesso. Attualmente a farsi carico della loro raccolta sono i Centri Antiviolenza e il sito Bollettino di Guerra e questa  avviene attraverso la conta delle uccisioni di donne riportate dalla cronaca. Questa rilevazione  è certamente indicativa di come la stampa tratti  la tematica, ma non è necessariamente coincidente con la sua effettiva realtà. Dobbiamo muoverci su criteri scientifici ed è auspicabile che ad occuparsi di questo lavoro siano non (o almeno non solo) i centri antiviolenza, già oberati di lavoro senza un adeguato finanziamento dietro, ma gli organi istituzionali come il Ministero degli Interni, il Ministero delle Pari Opportunità, l’Istat o altri enti pubblici le cui risorse possono essere ben diverse.

Qualche sera fa sono stato invitato, come semplice partecipante, ad una assemblea universitaria dove, su spinta di un gruppo di studentesse, venivano affrontate le questioni di genere e ho osservato come le ragazze e i ragazzi si facevano molta forza dell’esperienza personale per argomentare le loro tesi sulle differenze di genere e stereotipi connessi sempre in bilico tra chi li minimizzava e chi li enfatizzava. Ad un certo punto sono intervenuto sottolineando, da una parte l’importanza della propria esperienza, ma dall’altra anche la necessità di fare riferimento ad un esame di realtà che, superando il singolo, si muovesse verso il collettivo. Tradotto in parole povere ho dato alcuni dati Istat del 2007 sulla violenza di genere attraverso i quali volevo aiutarli ad analizzare la situazione, non solo per come la vivevano individualmente, ma anche per come risulta dalle ricerche in nostro possesso.

Il rapporto tra media e femminicidio può essere molto delicato, non di rado la cronaca ha i suoi vantaggi dall’esacerbare alcune realtà o dipingerle in modo da suscitare morbosità o banalizzazione. Se il contenuto è buono, ma non attira la notizia può anche passare in secondo piano, se il contenuto non è un granché, ma può essere presentato con modalità che suscitano una certa emotività, l’emotività vende. Scopro l’acqua calda. E’ vero, fino a qualche anno fa di femminicidio non si parlava e  le donne uccise per mano di un uomo non trovavano lo spazio mediatico quasi quotidiano che oggi trovano (logicamente che non trovassero spazio non significa che non ci fossero).

Questo basta per mettere in dubbio l’esistenza del femminicidio? Certamente no. Va analizzato  quanto l’interesse dei media sia strumentale a creare e a cavalcare un’onda emotiva  per aumentare le copie da vendere o le visualizzazioni in rete. Un tipo di interesse di questa fatta non è che una forma di maltrattamento aggiuntivo, molto subdolo perché ben nascosto dietro una parvenza di una denuncia in aiuto delle donne,ed invece neanche morte possono trovare pace, sfruttate fino all’ultimo ed anche oltre.  Non interessa che la donna sia stata ammazzata, ma che la donna ammazzata faccia notizia.

Per capire e affrontare l’uccisione delle donne da parte degli uomini non basta l’interesse, ma  urge una reale partecipazione perché si possa operare una sensibilizzazione non fine a sé stessa. Abbiamo bisogno di un giornalismo partecipante e non solo interessato. L’interesse senza partecipazione è solo una moda e come tutte le mode è destinato ad esaurirsi.

Le donne uccise per mano di uomini esistono, non sono un’invenzione dei media, detto questo è sicuramente necessaria una maggiore scientificità nella raccolta dati e sarebbe auspicabile un interesse dei giornalismo più partecipato e meno opportunistico.

E ricordiamoci che, se  l’espressione femminicidio ha trovato una sua diffusione relativamente recente, ce ne è un’altra che ha qualche secolo in più ed è violenza, la violenza che tante donne hanno dovuto sopportare solo per il fatto di essere tali. Il femminicidio non deve mettere in ombra la violenza sulle donne e la violenza sulle donne non si esaurisce con il femminicidio.

Ora non mi rimane che chiedere al mio amico se gli ho risposto.
 

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