Sono circa le 20.50 del 27 giugno 1980 e Domenico Gatti, il comandante dell’aereo Dc9 I-Tigi decollato dall’aeroporto di Bologna e diretto a Punta Raisi, dove dovrebbe atterrare alle 21.13, pronuncia le ultime parole dirette ai 77 passeggeri, che viaggiano insieme a lui e ad altri 3 componenti dell’equipaggio. L’audio originale, 2 minuti e 10 secondi, lo pubblica Stragi80.it, l’archivio storico-giornalistico creato dai giornalisti Daniele Biacchessi eFabrizio Colarieti e che riunisce i documenti sulla strage di Ustica, giunta quasi alla vigilia del trentatreesimo anniversario.
“Signore e signori, buonasera”, dice Gatti, “brevi informazioni sul volo dalla cabina di pilotaggio. Stiamo procedendo a una quota di 7500 metri e circa due minuti fa abbiamo lasciato l’isola di Ponza per volare in linea retta su Palermo, dove stimiamo di atterrare tra circa mezz’ora. Il tempo, procedendo verso sud, è in miglioramento. Per cui a Palermo è previsto tempo buono e visibilità ottima, temperatura di 22 gradi e leggero vento”. La registrazione è disturbata, ma le parole sono chiare, anche quelle ripetute in inglese dopo il primo messaggio in italiano. Nessun problema sembra in vista, dunque, dopo il ritardo di un paio d’ore con cui quel volo è iniziato poco prima.
Nessun problema nemmeno nella comunicazione di poco precedente al centro di controllo di Ciampino. È una comunicazione che dura 13 secondi e che, come quella successiva ai passeggeri, viene ascoltata da Enzo Fontana, il primo pilota che si trova nella cabina di comando accanto a Domenico Gatti. “Abbiamo lasciato Ponza”, annuncia chi sta portando quell’aereo a Palermo. “Molto gentile, grazie”, gli risponde l’operatore all’altro capo della comunicazione. E Gatti aggiunge: “È assolutamente a posto”. Risponde a un addetto alla manutenzione dell’Itavia che lo contatta via charlie, la frequenza dedicata agli equipaggi, per chiedergli conto delle condizioni dell’aereo.
Poi, al termine di questi dialoghi, il Dc9 entra in quello che è diventato noto come punto Condor, nel tratto sopra il mare tra l’isola di Ponza e quella di Ustica. Sono le 20.58, l’ultimo minuto di volo dell’aereo dell’Itavia, che scompare dai radar alle 20.59. Condor, proprio il punto che molti anni dopo, nel settembre 2011, farà pronunciare in sede di giudizio una sentenza civile pesantissima alla terza sezione civile di Palermo: il ministero della Difesa e dei Trasporti non hanno garantito la sicurezza di quel volo soprattutto in quella tratta, lungo la quale si svolgevano esercitazioni militari potenzialmente pericolose per il trasporto aereo civile.
E se quella sentenza con relativo risarcimento record ai parenti delle vittime – 100 milioni di euro più interessi e oneri accessori – è bloccata dal ricorso presentato dai dicasteri condannati (il processo d’appello è fissato per il 2015), più di recente un’altra sentenza – questa volta definitiva – è giunta a porre una parola giudiziariamente rilevante nella vicenda della strage di Ustica: quell’aereo fu abbattuto, ha stabilito la Corte di Cassazione nel gennaio 2013, da un’azione di guerra. Una verità ormai nota fin dall’agosto 1999, quando il giudice istruttore romano Rosario Priore presentò il risultato della sua inchiesta.
Ma era una verità a cui mancava ancora il suggello della Corte Suprema e a cui manca oggi un ultimo tassello, nonostante le recenti risposte della Francia alle rogatorie inviate nel 2008 dalla procura di Roma: la nazionalità dell’aereo militare da cui partì il missile che attraversò l’aereo provocando la morte di 81 persone. Una strage, quella di Ustica, che ancora oggi, dopo quasi 33 anni, qualcuno vorrebbe attribuire a una bomba esplosa a bordo, malgrado le perizie abbiano escluso questa ipotesi così come un’altra, il cedimento strutturale, da anni uscito alla rosa dei motivi per il 27 giugno 1980 l’aereo dell’Itavia sparì dai radar.