Jorge Mario Bergoglio si era dimesso il 17 dicembre 2011. Al compimento del settantacinquesimo anno di vita, come prevede il Codice di Diritto Canonico, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires aveva scritto e inviato a Benedetto XVI la sua lettera di dimissioni. Ma il Papa tedesco l’aveva accantonata. Trascorso un anno, alla fine del 2012, da Roma al cardinale Bergoglio ormai settantaseienne non era arrivato ancora nessun segnale in merito alla nomina del suo successore. Poi avvenne quello che rimarrà nella storia come l’11 febbraio della Chiesa cattolica: l’annuncio choc di Benedetto XVI di rinunciare al pontificato.
Appena un mese dopo, il 12 marzo, Bergoglio entrerà in conclave ma non da arcivescovo emerito, come si sarebbe verificato se Ratzinger avesse rispettato scrupolosamente la legge della Chiesa. E dopo poco più di ventiquattr’ore, a dispetto di tutti i pronostici della vigilia, ne uscirà Papa. “Sono venuto a Roma – ha confessato Bergoglio divenuto Francesco – solo con pochi vestiti, li lavavo di notte, e all’improvviso questo… ma se io non avevo alcuna possibilità. Nelle scommesse di Londra stavo al quarantaquattresimo posto, immaginatevi. Chi ha scommesso su di me ha guadagnato moltissimo denaro…”.
Pauperista e populista? Si possono archiviare con questi due aggettivi i primi cento giorni del pontificato di Papa Francesco? Decisamente no. In poco più di tre mesi Jorge Mario Bergoglio, abbandonato l’abito cardinalizio ma non la sua croce di metallo, ha dettato un programma di governo per la Chiesa con i suoi gesti emblematici. Un programma, già condensato nelle nove lettere del nome scelto per il pontificato, che partendo dall’attenzione alla povertà umana, materiale e spirituale, prevede per l’istituzione ecclesiale una seria purificazione che la allontani dal dio denaro, dal carrierismo, dalla piaga della pedofilia, e che porti la Chiesa verso le periferie esistenziali.
Le catechesi, le udienze, gli angelus, le omelie, i discorsi, quasi sempre integrati a braccio, dei primi cento giorni di Francesco si possono racchiudere in un solo punto chiave: la credibilità della Chiesa. È qui che si gioca la sfida del ventunesimo secolo della bimillenaria istituzione ecclesiale. “L’incoerenza dei fedeli e dei pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere – ha sottolineato subito Francesco – mina la credibilità della Chiesa”. Papa Bergoglio non vuole guidare un’istituzione che va avanti per inerzia o, ancora peggio, una “ong pietosa”. Vuole, come ha ripetuto più volte ai pastori, una Chiesa che esca dalle sagrestie. “Quando la Chiesa diventa chiusa si ammala. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura”.
Del programma di governo, in questi primi cento giorni di pontificato, si è capito il punto che sta più a cuore a Bergoglio: la riforma della Curia romana. Lui stesso ha rivelato di essere stato tra i cardinali che, durante le dieci congregazioni generali dei porporati che hanno preceduto il conclave, hanno sollevato con insistenza questo aspetto ineludibile. Ed è stata proprio in questa direzione la prima grande decisione di Francesco: la nomina di una commissione di otto cardinali che dovrà consigliare il Papa e aiutarlo nel riformare la Curia romana.
Ma da Bergoglio si attendono altre due decisioni chiave: la riforma dello Ior, la banca vaticana, e la nomina del Segretario di Stato. Sul primo fronte la commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior presieduta da Tarcisio Bertone, con l’approvazione del Papa, ha nominato ad interim come prelato della banca vaticana il “padrone di casa” di Bergoglio, ovvero il direttore di Casa Santa Marta, monsignor Battista Mario Salvatore Ricca. Non è il commissariamento dell’Istituto per le Opere di Religione atteso da molti osservatori, ma è certamente il segnale che lo Ior è ben presente nella mente del Papa. Appare, invece, abbastanza scontato che Bertone, che il prossimo 2 dicembre compirà 79 anni, rimarrà al vertice della Segreteria di Stato almeno fino a settembre. Per la sua successione il nome più accreditato è quello di Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, unico porporato con incarico a Roma presente nella commissione cardinalizia nominata da Bergoglio.
“È difficile capire Francesco senza partecipare ad almeno una sua Messa del mattino”, sostiene don Giuseppe Costa, dal 2007 direttore della Libreria Editrice Vaticana che festeggia i primi cento giorni di pontificato pubblicando, insieme a Jaca Book, il volume “In Lui solo la speranza”, un ciclo di esercizi spirituali tenuto nel 2006 dall’allora cardinale di Buenos Aires ai vescovi spagnoli. “Se il suo nome rievoca la forza innovatrice della povertà francescana – prosegue il sacerdote salesiano – il Papa che celebra in grande raccoglimento e commenta con semplicità e radicalità le letture del giorno ci ridà il senso del mistero. Se poi si va alla breve presentazione, ci si accorge che questo Pontefice fa sentire chiunque a suo agio. Qui domina l’ascolto e l’accoglienza, e quel ‘preghi per me, ne ho bisogno’ ti conquista per sempre. Diverso – sottolinea ancora Costa – è l’approccio ai suoi scritti e insegnamenti. Solidarietà, comunione, poveri, libertà, bambini e anziani sono termini di grande frequenza e che corrispondono ad altrettanti appelli. Come sfondo a tutto – conclude l’editore del Papa – resta il costante e ripetuto impegno a non intristirsi e isolarsi: occorre annunciare Cristo”.
Twitter: @FrancescoGrana