Sarà un caso, ma tra gli incarichi affidati ai 15 componenti la nuova segreteria del Pd non ricorre neanche una volta la parola “diritti”. Omissis, o lapsus che sia, comunque sintomatico di un calo di attenzione e iniziativa politica rispetto a questioni che investono e mobilitano la società. Tanto più alla vigilia di un Gay Pride (oggi a Palermo) che nel Belpaese accende passione. Anche se Roberta Agostini, che nella nuova segreteria del Nazareno porta i colori del Coordinamento donne, sottolinea come “nel partito delle unioni civili abbiamo discusso molto apertamente assumendo poi una posizione precisa con Bersani”. Ovvero: no al matrimonio, sì al riconoscimento giuridico. Posizione fatta propria dalla ministra delle Pari opportunità Josefa Idem, secondo cui “il paese non sarebbe pronto ai matrimoni”; mentre “c’è un sentire largamente condiviso” circa la necessità “di dare diritti alle coppie di fatto, garantire diritti a persone legate da un filo d’amore, con tutti gli aspetti ad esso legati”.

Le “riserve indiane” dei diritti – Dal sentire al legiferare però ce ne corre, mentre all’estero molti diritti sono già riconosciuti e sull’Italia fioccano le sanzioni europee. E l’indolenza del Pd in proposito non aiuta davvero un Parlamento che dall’inizio del nuovo millennio si è distinto solo per la contestata legge 40 sulla procreazione assistita, lasciando cadere puntualmente ogni iniziativa in tema di riconoscimento di libertà e diritti della persona: dalle unioni civili al fine vita. “E’ ormai da un qualche tempo che le questioni dei diritti non suscitano più la dovuta attenzione nel Pd e nel centrosinistra – commenta da Strasburgo Sergio Cofferati – Anche questo governo, invece, dovrà presto o tardi porsi il problema non solo delle unioni omosessuali come nel resto d’Europa, ma di come garantire diritti di cittadinanza agli immigrati di seconda generazione”. Ovvero quello ius soli che nel Pd invoca a gran voce sopratutto il sindaco di Firenze Matteo Renzi, ma che invece è materia scivolosa per il governo di Enrico Letta.

Il fatto è che “la libertà è stata lasciata sequestrare a Berlusconi – osserva Cofferati – E questioni di diritto come il matrimonio gay o l’immigrazione sono state lasciate scivolare nell’agenda politica, delegandole di fatto alle sole persone interessate”. Così assecondando la compartimentazione per lobby o riserve indiane che dir si voglia. Per non dire del fatto che “al momento di fare la nuova segreteria si sono voluti privilegiare gli equilibrismi tra correnti e correntine rispetto alla scelta delle capacità e delle competenze”, aggiunge Pietro Folena, secondo cui “questo ha portato a un calo di attenzione su questioni chiave per un partito come il Pd, come le libertà e i diritti in primo luogo, ma anche quelle ambientali; per citarne un altro argomento su cui, nonostante la presenza del ministro Orlando, c’è un passo indietro in termini di elaborazione e proposta”.

L’iniziativa del Pdl – Il silenzio e l’immobilismo del Pd risultano tanto più evidenti quanto nel Pdl le tematiche dei diritti prendono quota. A far notizia in proposito sono state le parole di Sandro Bondi e del presidente della commissione cultura della camera, Giancarlo Galan, che ha annunciato un disegno di legge bipartisan sulle unioni gay, sostenendo che “è giunta l’ora che si riconosca il diritto di essere cittadini italiani anche agli omosessuali, garantendogli quei diritti civili che tutt’oggi si vedono negati”. Una legge di “equiparazione al matrimonio per quanto riguardo diritti e doveri”, ma ovviamente senza la parola “matrimonio”. Né la possibilità di adozione, per quanto Galan si dichiari favorevole. E all’ex governatore veneto non manca compagnia, “potendo contare nel Pdl su molti che la pensano come me e Bondi, come Mara Carfagna e Laura Ravetto”.

Galan ha firmato anche la proposta di legge di iniziativa popolare per “Eutanasia legale e testamento biologico” promossa dall’Associazione Luca Coscioni insieme ai radicali. E non va trascurato neanche l’impatto del sostegno berlusconiano ai referendum radicali. Se infatti il Pdl guarda ai 6 quesiti in materia di giustizia (dalla responsabilità civile dei magistrati all’abolizione dell’ergastolo), non si può ignorare che gli altri 6 referendum riguardano questioni di diritto come divorzio breve, depenalizzazione del consumo di stupefacenti, abrogazione del reato di immigrazione clandestina.

Dai Pacs ai Di.Do.Re. – La formula Pacs (patto civile di solidarietà) viene introdotta dalla legislazione francese nel 1999 in modo da consentire a una coppia etero come omosessuale di convivere e registrare la propria unione, accettando una serie di diritti e di doveri, senza ricorrere al matrimonio. Mentre la Francia ha proceduto poi verso il matrimonio e l’adozione per le coppie gay, in Italia non si è mai trovata una maggioranza parlamentare nemmeno per i Pacs.

Nel 2007 il governo Prodi propone i cosiddetti Di.Co. (diritti dei conviventi) sulla falsa traccia dei Pacs, nell’intento di rispondere alle richieste più pressanti delle persone interessate: diritto all’eredità in caso di morte di un partner, diritto all’assistenza in caso di malattia (la legge sulla privacy consente infatti solo a coniugi o figli di parlare con i medici), il diritto alla reversibilità pensionistica. Ma la proposta naufraga (con le altre 12 analoghe) insieme alla maggioranza dell’Unione. Nella scorsa legislatura sono poi presentate cinque proposte, tra cui quella nota come Di.Do.Re. (diritti e doveri dei residenti) a firma, tra gli altri, dei ministri Renato Brunetta e Gianfranco Rotondi. Gli altri quattro testi sono invece a firma Pd: tre da Paola Concia e una da Mimmo Lucà. Anche i timidi Di.Do.Re. (che non comprendono la reversibilità pensionistica) vengono lasciati cadere col concorso della minoranza di centrosinistra.

Fanno eccezione quegli stessi che non riescono a varare una legge. Su proposta del democratico Ivan Scalfarotto, il mese scorso l’ufficio di presidenza della Camera ha infatti riconosciuto a larga maggioranza l’estensione della copertura assicurativa medica già in vigore per i conviventi eterosessuali anche ai conviventi omosessuali dei deputati. Contraria la Lega, si sono astenuti Scelta Civica, Fratelli d’Italia e 5 Stelle (in polemica col privilegio di “Casta”).

Dalle aule parlamentari a quelle di giustizia – Nel 2010 la Consulta ha emanato una sentenza (numero 138) che esclude l’incostituzionalità delle norme che impediscono il matrimonio a persone dello stesso sesso, ma affermando che l’unione omosessuale ha il diritto al “riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” secondo quanto sancito dall’articolo 2 della Carta, esortando perciò il Parlamento a “individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette”. Il che significa che se il Parlamento non legifera, le coppie omosessuali potranno rivolgersi ai giudici ordinari per rivendicare un trattamento omogeneo con le coppie eterosessuali sposate. Dalla Consulta si attende inoltre un pronunciamento in merito all’incostituzionalità del “divorzio automatico” previsto nel caso in cui uno dei coniugi cambia sesso.

D’altronde la Cassazione ha già pronunciato una sentenza in cui afferma che un matrimonio contratto all’estero non può produrre effetti in Italia perché manca una disciplina sulle coppie omosessuali, ma i coniugi, “quali titolari del diritto alla vita familiare” garantito dalla Convenzione europea dei diritti umani, possono rivolgersi “ai giudici comuni per far valere il diritto a un trattamento omogeneo”. E i fronti sono molti: a cominciare dalla tutela giuridica per i figli nati con la procreazione assistita da matrimoni contratti all’estero.

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