Ora che ce l’hai non resta che avvolgerla nello scotch e buttarti nel traffico. Pensi d’aver comprato la soluzione ai tuoi problemi ma presto scopri d’aver parcheggiato nel box un piccolo grande imbroglio, che non farà risparmiare la famiglia come promesso dallo spot ma costerà più caro a te, alla collettività e perfino all’ambiente. Può anche essere l’ultimo prodigioso modello – ibrido, con dispositivo start&stop, l’alternatore intelligente – ma il risultato sarà sempre lo stesso: a bordo salgono due terzi di verità e un terzo di balle. Lo sospettiamo tutti da tempo, ci abbiamo fatto anche il callo. Ma l’inganno costa sempre più caro e in tempo di crisi, anche gli automobilisti (nel loro piccolo) s’arrabbiano.
Succede in Germania, dove il caso è riesploso poche settimane fa, con una eco mediatica su vasta scala ed esplicite accuse di truffa ai produttori. Anche in Italia la questione preme da tempo tra denunce inascoltate. I due terzi di verità sono i dati dichiarati dai costruttori su consumi ed emissioni. Il resto è semplicemente falso. Lo si scopre sempre troppo tardi, una volta girata la chiave. “C’è la crisi dell’auto”, lamentano i produttori. Ma le vittime, a quanto pare, siamo noi. Sul banco degli imputati ancora il ciclo di omologazione, sempre più lontano dall’uso reale del mezzo, e tutta una serie di trucchi appena scoperti per manipolare i dati d’efficienza di un buon 25-30%. E drogare così anche l’economia delle nostre vite, facendoci spendere di più. Ecco come fanno.
1. Risparmi benzina. Anzi no, ne consumi dal 10 al 34% più del dichiarato
“I consumatori hanno il diritto di sapere la verità”. Inizia così un rapporto-denuncia della Deutsche Umwelhilfe, potente associazione ambientalista tedesca che già aveva fatto parlar di sé per la battaglia su filtri antiparticolato dei Diesel. Nelle scorse settimane la Duh ha lanciato una nuova campagna, ripresa dai tg nazionali tedeschi, per chiedere all’Europa di cambiare marcia, dotandosi finalmente di un sistema di omologa più realistico e sanzioni per chi dichiara dati falsi. Si torna sempre lì, a quella normativa europea che prescrive un “ciclo di riferimento” figlio del secolo scorso, quando prestazioni e tecnologie erano preistoria dell’auto e sembrava verosimile farla correre su rulli e vedere l’effetto che fa.
Col diffondersi di motori ibridi, dispositivi start&stop, alternatori di ultima generazione la procedura ha prodotto valori sempre più lontani dalla realtà e dai consumi riscontrati nella vita di tutti giorni dagli automobilisti. Quanto lontani, ha provato a misurarlo l’Adac, il più grande club automobilistico d’Europa con oltre 18 milioni di membri. Dal 2003 l’associazione ha messo a punto un sistema di eco-test certificato basato su percorsi e condizioni di misura il più possibile realistici ed omogenei, utili a fornire parametri di scelta ai consumatori e controllare il sistema di incentivi e tasse legato alle emissioni di Co2. Integrano ai test d’omologazione del ciclo Ue anche quelli del futuro Wltp, compreso un ciclo in autostrada con velocità fino a 130 km/h e a pieno carico.
Incredibili i risultati: su 144 modelli oltre la metà, 84 per la precisione, registrano valori superiori del 10% al dichiarato, con punte fino al 34% (l’elenco è sul sito www.adac.de). Solo otto consumano quanto è riportato nel libretto. Secondo l’Istituto indipendente International Council on Clean Transportation (Icct) questa differenza nelle vetture nuove è mediamente del 25% (con punte fino al 47%) e comporta ogni anno una spesa di 300 euro in più per ogni automobilista. A ben vedere sono dati molto simili a quelli pubblicati in passato da autorevoli testate, dalla tedesca Bild nel 2005 e a più riprese da Quattroruote in Italia. La domanda però è sempre la stessa: come diavolo è possibile? Una spiegazione, per quanto sorprendente, arriva direttamente da Bruxelles.
2. Come ti ritocco: l’auto in 20 mosse
Nell’ambito del lecito si sa da tempo che il percorso di prova che simula l’uso medio dell’auto è molto lontano dalla realtà. E che la normativa concede ai costruttori alcuni accorgimenti, come la mappatura della centralina motore a misura del ciclo di omologazione o lo spegnimento delle dotazioni elettriche di bordo, così da ridurre i consumi il più possibile. Ma c’è chi si spinge oltre e la voce è giunta anche a Bruxelles. Lo scorso dicembre la Commissione Europea ha acquisito i risultati di un rapporto dal titolo emblematico: “L’impatto della flessibilità delle procedure di omologazione dei veicoli leggeri sulle emissioni di Co2”. Dallo studio, 148 pagine e 17 rapporti, emergono tutta una serie di espedienti attraverso i quali i costruttori riescono a manipolare i test di efficienza sfruttando le falle della legislazione europea.
La ong belga Transport&Enviroment (T&E) li ha divulgati alcuni mesi dopo, indicandoli più chiaramente come i venti “trucchi”, tutti molto “creativi” ma perfettemente legali (vedi grafico superiore). Si va dal sigillare l’auto con del nastro adesivo per minimizzare la resistenza all’aria all’uso di lubrificanti e pneumatici speciali. C’è perfino chi si premura di regolare il freno per ridurre l’attrito tra disco e pastiglia. Diversi gli accorgimenti per ridurre il peso: l’eliminazione di tutti gli accessori dell’auto di serie può far calare il consumo dal 2 all’11%. Anche sulle tollerenze d’errore si può marciare, approfittando del fatto che i test non avvengono su un unico banco di prova, come negli Usa o in Giappone, ma direttamente in quello della singola Casa, certificato e alla presenza delle istituzioni (magari solo distratte).
E allora “la variabilità degli strumenti di misura rende necessarie soglie di tolleranza all’errore più alte”. Gratta qui, gratta là e alla fine il prototipo taroccato consente di dichiarare consumi ed emissioni mediamente inferiori del 25%. Le repliche per il mercato avranno una sola differenza, che non si vede ma si sente: nel loro ciclo di vita costeranno fino a 2mila euro in più di carburante. “Non è solo un problema di portafoglio – puntualizza Marco Ponti, esperto di economia dei trasporti – ma di inquinamento occulto, perché non calcolato, ma pur sempre superiore fino a un terzo”. E visti gli ecoincentivi statali piovuti sul settore, potrebbe anche suonare come una truffa.
3. In Germania c’è chi dice “no”. Ma in Italia l’automobilista deve subire
All’estero inchieste e denunce fanno scalpore, diventano tormentoni, a volte sortiscono effetti. In Germania particolarmente, perché il motore muove davvero l’economia con 800mila occupati e perché la legge tedesca permette al proprietario di restituire la vettura che riveli consumi maggiori del 10%. Nessuno corre però: ci vogliono anni prima di sbrigare le pratiche e 3mila euro per il test. In Italia le possibilità di rivalsa sono praticamente zero in partenza. Il Codice del Consumo in teoria prevede il diritto a riavere un mezzo conforme ai parametri indicati (tramite riparazione, sostituzione o alla peggio la risoluzione del contratto).
Ma è una strada tutta in salita che può sfociare in una causa tra il gigante e la formica, e quindi scoraggia i più. E questo induce le case automobilistiche a far leva su dati d’omologa come fossero reali per attrarre il cliente. Il Garante per la concorrenza (Agcm) ha ricevuto negli anni diverse segnalazioni di privati e associazioni ma non è abbastanza per aprire una pratica che tiri in ballo la regolamentazione comunitaria, investa un settore strategico e le potenze industriali dell’auto. Loro, del resto, si sono ampiamente tutelate precisando sul materiale promozionale che i dati di consumo dichiarati “non sono vincolanti e non fanno parte dell’offerta”. E a questo punto, se l’auto nuova beve troppo, non resta che lo scotch.
da Il Fatto Quotidiano del 17 giugno 2013