Non è solo Futebol, il Brasile.
E’ musica, ovviamente. E spesso, anche se qui da noi se ne sa poco, è poesia e poesia con musica. Ed ha autori di grandezza immensa, quelli che, a giudicare a distanza di tempo, hanno visto prima e più lungo, più delle Neo-avanguardie europee, più dei Beat americani.
Già negli anni ’50 – con una naturalezza inimmaginabile in Europa e in Nord America – certi poeti brasiliani riprendevano a declamare ad alta voce, sposavano i loro testi con la musica, sperimentavano video clip di poesia.
Erano tre e si chiamavano Noigandres: Haroldo de Campos, Augusto De Campos, Decio Pignatari.
Erano gli anni di Juscelino Kubitschek, del grande Piano Pilota per Brasilia, firmato
Neymeier, Costa e Burle Max.
Il Brasile, stretto tra una dittatura appena terminata, quella di Getulio Vargas, e una che era appena dietro l’angolo del futuro, quella dei generali, da Castelo Branco fino a Garrastazu Médici, che dal 1964 proseguirà sino al 1989, provava a sognare un domani diverso, a riconoscere orgogliosamente le sue radici e a guardare il mondo fuori, per farne tutt’uno.
E loro, i tre poeti, facevano la medesima cosa in poesia, riscoprivano radici dimenticate, i Trovatori, Hopkins, il Dante delle Rime Petrose e li mescolavano con Joyce, con il Concretismo e le avanguardie, con Oswald De Andrade e la sua poetica ‘cannibale’, con le nuove tecnologie, con la nuova musica popolare brasiliana, quella di Caetano e di tanti altri. «Non c’è altro modo di rispettare una Tradizione, se non rinnovarla». Parola di Noigandres.
Haroldo il più noto, anche qui da noi, è stato definito da Eco il più grande traduttore contemporaneo (Joyce e Dante, Cavalcanti e la poesia tradizionale giapponese), ha scritto e declamato poesia di immensa bellezza, a tempo di bossa, o deponendola sulla lieve ragnatela di un sitar.
Suo fratello Augusto è stato un pioniere della poesia multimediale e i suoi videoclip, come l’ipnotico Rever, o quel piccolo capolavoro realizzato con Caetano e intitolato Pulsar, aprono già dai primi anni 80 orizzonti ancora oggi largamente inesplorati.
Decio Pignatari, poeta e designer svilupperà opere di cine-poesia di qualità indiscutibile, come il celebre LIFE.
Ma non vivevano fuori dalla realtà del Brasile, questi poeti apparentemente d’avanguardia, anzi, provavano a mutarla, mettevano a confronto la poesia del Brasile con la fame del Brasile: «poesia in tempi di fame / fame in tempi di poesia / (…) nomino il nome / nomino l’uomo / nel mezzo la fame // nomino la fame». Sono versi di Haroldo, 1961.
E contro la dittatura dei Generali lottarono con ostinazione, come contro l’ipocrisia, anche liberal, che impediva di riconoscerà le diversità, quella di Caetano, per esempio, che solo Haroldo difese quando taluni farisei provarono a strozzare la sua arte con la loro omofobia.
Ma se parlo di loro, dei Noigandres non è solo perché davvero non avrei saputo a chi, altri che a loro, dedicare il post iniziale di questo mio blog di poesia.
Se l’ho fatto è perché mi piace pensare, e ne ho qualche motivo, che tutti quanti sono oggi nelle strade e nelle piazze del Brasile a protestare con saggezza, dignità ed intelligenza contro gli sprechi, le violenze, gli immensi profitti di Blatter e complici, siano in qualche modo il Brasile immaginato dai Noigandres: un Brasile capace di rispondere oggi al più importante dei partner della Fifa, la Coca Cola, nello stesso modo nel quale, in un indimenticabile clip-poesia degli anni 60, gli faceva il verso Decio, allitterando il nome della multinazionale in un assai più esplicito e veritiero: cloaca!
Perché non è solo Futebol il Brasile, è molto di più. E oggi si ribella anche per questo.