Hanno denaro e rapporti. Sostengono politici e capi di Stato. Concludono affari miliardari in tutto il mondo. Si fanno chiamare businessman, ma possiedono il piglio, l’autorità, la violenza dei padrini. Sono i boss della mafija georgiana. Potenti, ricchissimi, letali e molto più affamati dei clan russi saziati dalla grande abbuffata consumata assieme agli oligarchi. Oggi il Caucaso detta legge. Ceceni, ma soprattutto georgiani. Seguono un codice e un linguaggio (la fenya). Per loro l’Italia è l’ultima frontiera. Qui riciclano, qui vivono, qui programmano le shodke (summit) in residenze da sogno come il Borgo della Merluzza a Roma. Arrivano a bordo di berline lussuose e dormono negli alberghi più costosi della città. S’incontrano nella Capitale, ma anche a Dubai, in Grecia, negli Usa. Sono un’autentica spa del crimine internazionale con una cassa comune (obshak) che oggi vale un numero indeterminato di miliardi di dollari. Il loro è un mix di alta finanza e violenza brutale. Una storia inedita raccontata nell’inchiesta della procura di Bari che il 19 giugno scorso ha portato in carcere 14 persone.
Piombo pesante per il georgiano
Una storia che inizia da un omicidio. Quattro colpi. Uno letale alla testa. Sparato da mezzo metro. Bari, piazza Aldo Moro. E’ il 6 gennaio 2012. Per quell’uomo che fuma fuori dall’agenzia di spedizioni Italiano srl, il giorno della Befana porta solo piombo pesante. I killer sono professionisti. Così muore il cittadino georgiano Revez Tchuradze. Poche ore dopo, la vittima sta sul tavolo del medico legale. Ha il corpo pieno di tatuaggi. Sul dorso del piede un’abbreviazione in cirillico significa “poliziotto ucciso”. Un altro sulla caviglia ricorda “vendetta consumata”. Quello sul deltoide sinistro racconta di una condanna a quattro anni. Gli investigatori dello Sco di Bari iniziano a capire. Revez Tchuradze, detto Rezo, è uomo della mafija dei vory v zakone, letteralmente “ladri in legge”, potenti e ricchissimi custodi del codice criminale nato nei gulag sovietici. Segni particolari: due stelle tatuate sul petto.
Rezo non le aveva perché era affiliato al potente clan Kutaisi con la carica minore di “autorità criminale”. La storia inizia così. E un anno dopo dalla Puglia si sposta nel centro di Mosca. E’ il 16 gennaio 2013. In via Povarskaya, a due passi dai palazzi del potere, un cecchino colpisce e uccide il boss Aslan Usoyan. Conosciuto come nonno Hasan, era il capo incontrastato del clan Tbilisi-Rustavi. Nato nella capitale georgiana 75 anni prima, il padrino ha ricoperto il ruolo di garante nella polveriera mafiosa esplosa dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Era protetto dal governo di Vladimir Putin. E così sotto l’ombrello di Stato, nonno Hasan ha potuto tessere i suoi affari. Era membro del Brothers’ circle, un network criminale segretissimo che è finito nel mirino del Dipartimento del Tesoro americano. Negli ultimi anni però Usoyan aveva visto indebolito il suo potere a causa dell’intraprendenza di Tariel Oniani, detto Taro (in carcere dal 2009) capo del clan Kutaisi. Una guerra, quella tra le due cosche, iniziata nel 2005 e che trova nell’omicidio barese il suo penultimo atto. E’ partendo dall’agguato di piazza Aldo Moro che gli uomini della squadra Mobile di Bari in collaborazione con l’Interpol ricostruiscono ruoli, assetti e affari di uno dei clan più potenti della mafija caucasica. Un lavoro riassunto in 400 pagine di ordinanza cautelare con la quale il gip Giulia Romanazzi ha disposto l’arresto di 24 persone (10 sono ancora latitanti), compresi i killer di Rezo. Tra i fermati c’è anche Merab Dzhangveladze alias Jango, capo del clan Kutaisi dopo l’arresto di Oniani. Secondo la ricostruzione degli investigatori, infatti, il mandante dell’omicidio di nonno Hasan è proprio Jango. Una tesi supportata dalle intercettazioni successive all’omicidio di Rezo.
Una faida da Mosca a Bari
“L’assassinio equivale a una dichiarazione di guerra (…) ora conteranno i loro morti”. E così, seguendo le tracce della faida, la procura di Bari scatta un’inedita fotografia del risiko criminale nato sulle ceneri dell’impero sovietico, riportando in primo piano la figura dei vory v zakone, padrini violenti e spregiudicati che da tempo, ormai, hanno lanciato un’opa mafiosa all’economia occidentale. “Noi – dice un affiliato – non siamo una piccola forza! Noi siamo dei ladri! Ragioniamo come si deve, la verità è dalla nostra parte”. La trasnazionalità è la loro peculiarità. I reati vanno dalla corruzione al riciclaggio, senza dimenticare estorsioni, droga, armi. In agenda conservano i numeri di importanti politici. Le intercettazioni confermano contatti con l’amministrazione di Mosca. Hanno rapporti con società inglesi e puntano all’affare delle Olimpiadi invernali del 2014 che saranno organizzate nella cittadina russa di Sochi. E poi c’è l’Italia, meta prediletta per investire. I boss riciclano lungo la costiera Romagnola, tra Rimini e Riccione, acquistando alberghi, locali, discoteche. Da poco, poi, stanno puntando sulle rinomate località sciistiche delle Dolomiti da Canazei alla Val Gardena.
Dice un membro del clan Kutaisi: “In Russia non ti fanno vivere tranquillo, qui (in Italia, ndr), invece abbiamo la libertà”. E ancora: “Così tanti ladri insieme uscivamo mai a Mosca?”. Nel nostro paese la mafija caucasica dispone di basi logistiche alla periferia di Milano, ma anche appartamenti controllati militarmente. Alcuni sono stati trovati nel complesso residenziale “Le ville di Marco Simone”, a Guidonia, dove due investigatori dello Sco subiscono un posto di blocco da parte degli uomini di Jango. E’ il 15 maggio 2012. Uno degli agenti gira a piedi. Scatta l’allarme. Tre auto lo fermano. Il mafioso chiede indicazioni stradali, quindi con toni minacciosi gli domanda se abita qua. La situazione si scalda. L’uomo del clan ordina a un altro di andare “a prendere il ferro (pistola, ndr)”. Tutto viene pacificato dall’intervento di Jango che, seduto sul sedile posteriore di una Mercedes, gli occhiali abbassati sul naso, una cartella sulle ginocchia, fa un rapido cenno all’amico: “Sono italiani, lasciateli stare, non fate casino”.
Restiamo in Italia. E riprendiamo le fila del conflitto tra i due clan. Una via del centro di Milano. E’ il primo dicembre 2011. All’hotel Zurigo un gruppo di georgiani si confonde con i turisti. Indossano vestiti firmati e si muovono a bordo di berline scure. In città sono arrivati per una shodka. Tra i partecipanti c’è il braccio destro di Jango e c’è anche Rezo che da lì a pochi giorni sarà ucciso a Bari. Si deve discutere di un accoltellamento avvenuto nel luglio 2011. L’aggressore è lo stesso Rezo, la vittima è Kvicha Kakalashvili uomo di fiducia di Lasha Shushanashvili, vory v zakone del clan Tbilisi-Rustavi e membro del Brothers’ circle assieme a nonno Hasan. Il ferimento è legato a contrasti per la gestioni degli affari nel capoluogo pugliese. Contrasti che la shodka milanese tenterà, inutilmente, di sanare.
La faida arriva in Costa Azzurra
Eppure, prima ancora del summit lombardo, molto era successo. Per capire bisogna riandare all’estate 2008, quando Tariel Oniani organizza una shodka a bordo di un maxi-yacht. Obiettivo: favorire l’entrata del clan a Mosca. La riunione sarà interrotta da un blitz spettacolare delle forze dell’ordine. Molti vory finiranno in carcere. Nel 2009, prima di essere arrestato, Oniani cerca l’alleanza con il potente boss moscovita Vyacheslav Kirillovich Ivankov detto il giapponese (Yaponchik) che negli anni Novanta dettò legge a Brighton Beach, lo storico quartiere russo di New York. Yaponchik rifiuta. Morirà nell’ottobre 2009 dopo essere stato colpito da un cecchino a luglio. La colpa ricade sul clan Kutaisi. La faida si sposta in un appartamento di Nizza in rue Andrioli 8. Nel mirino finisce un membro del clan di Oniani. Il 14 febbraio 2010 la sparatoria lascia sul pavimento 33 bossoli. L’agguato, però, fallisce. Un mese dopo Vladimir Janashia viene ucciso a Marsiglia. Giustiziato con un colpo di pistola alla testa. La reazione di Jango e dei suoi vory v zakone arriva il 16 settembre 2010, quando nonno Hasan cade vittima di un primo agguato. Si salverà. Quel giorno, dall’altra parte di Mosca, Jango tiene una riunione con alcuni influenti vory v zakone. Con lui c’è anche il fratello, importante diplomatico e influente oligarca che può vantare rapporti diretti con l’establishment politico di Putin. Sangue e affari. La storia è questa. Politica, anche. Tanto che l’attuale presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, ha accusato il neo capo del governo Bidzina Ivanishvili, il tycoon di Chorvila tra gli uomini più ricchi del mondo, di aver rapporti con i boss. La mafija, dunque, tesse la sua tela. E intanto il messaggio dei vory v zakone gira per le carceri e le città di mezzo mondo: “Lunga vita ai ladri, prosperità e pace a nostra casa comune, movimento dei ladri e di tutte le persone!”.
da Il Fatto Quotidiano del 1 luglio 2013