“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno. Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io”. La condanna di Papa Francesco all’indifferenza davanti alla tragedia degli immigrati morti in mare è arrivata puntuale e durissima, stamane, nell’omelia della messa celebrata a Lampedusa, nel suo primo viaggio apostolico. “Oggi – ha affermato il Papa – nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del buon samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, – ha aggiunto Francesco – ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro. Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”. [brightcove]2534428774001[/brightcove]
Francesco ha incalzato tutti i presenti con un esame di coscienza collettivo. “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società – ha spiegato il Papa – che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza”. Un vero e proprio mea culpa quello pronunciato a Lampedusa da Francesco. “Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito”. “Domandiamo al Signore – è la preghiera del Papa – la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo”.
Francesco ha voluto esprimere anche “gratitudine” e “incoraggiamento” agli abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza che hanno mostrato attenzione agli immigranti. “Voi – ha detto loro il Papa – siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà“. Un altro pensiero di gratitudine Bergoglio lo ha rivolto ai “cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa – ha detto loro – vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie”.
Per un giorno un’anonima Fiat Campagnola targata 081268 MI, offerta da un milanese che da vent’anni è di casa a Lampedusa, è diventata la celebra papamobile SCV1. Nelle mani di Papa Francesco, del Pontefice argentino che vuole “una Chiesa povera e per i poveri” e che da arcivescovo di Buenos Aires celebrava spesso messe in strada con gli ultimi della sua grande diocesi, un calice e una croce astile realizzati con il legno dei barconi che trasportano a Lampedusa migliaia di immigrati. Ma molto spesso trovano la morte durante il lungo viaggio della speranza prima di arrivare alla “Porta d’Europa“. Dal 1999 al 2012 nell’isola siciliana sono sbarcate 200mila persone. Dall’inizio del 2013 a oggi gli arrivi sono stati 4mila.
“Il Papa è andato a Lampedusa per piangere i morti”, ha spiegato ai giornalisti il suo segretario particolare, il maltese monsignor Alfred Xuereb. Francesco, infatti, profondamente toccato dal recente naufragio di un’imbarcazione che trasportava migranti provenienti dall’Africa, ultimo di una serie di analoghe tragedie, ha voluto pregare per coloro che hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi presenti, incoraggiare gli abitanti dell’isola e fare appello alla responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e sorelle in estremo bisogno. “Quando alcune settimane fa – ha confidato ai presenti Bergoglio – ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta”.
Una visita discreta senza i vescovi della Sicilia e i rappresentati del Governo italiano: è lo stile di Francesco che vuole davvero abbracciare gli ultimi. Nella sua vita Bergoglio non aveva mai messo piede in Sicilia. “Conosco la vostra isola – aveva confidato qualche settimana fa ai vescovi della Regione – solo attraverso il film Kaos dei fratelli Taviani“. Non è un caso, dunque, se Francesco ha voluto che fosse Lampedusa il suo primo viaggio da Papa. Un segno che nel suo pontificato gli ultimi saranno davvero primi.
Twitter: @FrancescoGrana