Due telecamere, tre computer fissi e due portatili, microfoni, strumenti per il montaggio e altre dotazioni professionali. Il furto che ha subito Alberto Nerazzini, il giornalista di origine modenese che dal 2008 è uno degli inviati della trasmissione Report di Milena Gabanelli, non sembra un lavoro da semplici topi d’appartamento perché chi si è introdotto nella sua abitazione bolognese, una villa indipendente sui colli della città priva di telecamere di sorveglianza, ha portato via di certo materiale di valore, ma non ha toccato niente che non fosse suo. L’attrezzatura del suo coinquilino filmaker, infatti, per quanto altrettanto rilevante dal punto di vista economico se non superiore, non è stata presa, ma solo spostata e rimessa a posto, come se si volesse verificare qualcosa. E il sospetto degli agenti della squadra mobile, al lavoro insieme a quelli della scientifica, è che si tratti di qualcuno che ce l’aveva con il giornalista e con le sue inchieste. Insomma, un furto a scopo intimidatorio.
“È un fatto che sconvolge”, dice Nerazzini. “Non è un colpo classico, non ci sono cassetti rovesciati o i libri gettati a terra. Chi è entrato in casa mia sapeva cosa cercare, quasi avesse una lista della spesa. Si pensi solo che il mio coinquilino ha uno zaino di lavoro identico al mio, ma quello non è stato preso. Il materiale prelevato è stato scelto e fa pensare che volessero colpire me”. Il furto, avvenuto probabilmente nella notte tra sabato e domenica, lo ha lasciato nell’impossibilità fisica di partire con nuovi servizi e lo ha privato anche dell’archivio degli ultimi 6 anni durante i quali, di argomenti scottanti, ne ha toccati tanti. Tra questi la vicenda San Raffaele e la gestione della sanità in Lombardia, gli affari che gravitano intorno all’Expo 2015, gli interessi di Comunione e Liberazione nel mondo della politica e della finanza e il riciclaggio di denaro tra l’Italia e San Marino con la compiacenza di banche e di professionisti.
Ma tra i suoi lavori più recenti ce n’è uno, andato in onda il 28 giugno, per il Toronto Star e Radio Canada-Cbs che chiama in causa la ‘ndrangheta. Attraverso i documenti che Nerazzini ha trovato a Locri, nel reggino, e i filmati che ha girato tra il 23 e il 27 dello scorso giugno, è stato infatti stato possibile ricostruire la carriera tra i due continenti del 66enne Giuseppe Bruzzese, arrestato nel 2011 per associazione mafiosa e ritenuto in esponente di spicco della locale di Thunder Bay, in Canada. Il presunto malavitoso italo-americano, imputato con altre 35 persone nell’ambito del processo Crimine andato a rito ordinario e in corso a Locri, ha sentito i pubblici ministeri della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Musarò e Antonio De Bernardo chiedere per lui una condanna a 19 anni di reclusione. “Sono stato l’unico a entrare nell’aula di tribunale con una telecamera e ho ripreso tutto, volti compresi”, dice ancora Nerazzini. “La mia inchiesta ha avuto grande eco in Canada, dove abbiamo dimostrato che la mafia calabrese è più potente di quella siciliana e lì gli affari vanno a gonfie vele. Peraltro, fatto assolutamente nuovo per quel Paese, nei giorni scorsi ci sono stati due delitti di ‘ndrangheta a Toronto”. Inoltre l’inchiesta finita sui giornali canadesi ha dimostrato come proprio le locali della regione dell’Ontario siano una “colonia penale” per personaggi in fuga da eventuali pendenze giudiziarie.
“Ora”, aggiunge il cronista derubato, “viene da chiedersi a cosa stavo effettivamente lavorando, per quanto non possa affermare con certezza che la mia inchiesta e il furto siano collegati”. È infatti tutto da dimostrare che una vicenda c’entri l’altra. Ma Nerazzini, che già nel 2002 aveva subito un altro evento preoccupante (allora la sua abitazione romana aveva preso fuoco, ma sulle cause non si giunse a una conclusione certa), ha rivissuto quei momenti domenica sera, quando, dopo un week end trascorso fuori Bologna, ha scoperto quanto era avvenuto. Allora ha avvertito la polizia che si è ripresentata più volte nelle ore successive rilevando impronte parziali con le quali adesso si andrà alla ricerca di riscontri. Anche le modalità del furto, oltre alla scelta della refurtiva, fanno pensare che ad agire siano stati dei professionisti, che sarebbero passati dal retro forzando appena la finestra di bagno di servizio e andando a colpo sicuro. “È bizzarro prendere dei computer, che sul mercato dei ricettatori hanno poco valore, e lasciare un televisore al plasma da 27 pollici”, conclude il giornalista. “È però un fatto che fa pensare a un gesto simbolico. Se non altro perché, se domani volessi ricominciare a lavorare, e devo farlo, non potrei”.
(foto di Carlotta Arrivabene)