Un ‘no’ (forte di 226 voti contrari su 294) per ‘salvare‘ il ministro Alfano, di cui è stata dimostrata, ha detto Enrico Letta,”la totale estraneità alla vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva“. Ma anche e soprattutto per “consentire al governo di proseguire nella sua azione, per il bene del Paese”. È stato lo stesso presidente del Consiglio a esplicitare nel suo intervento la natura spiccatamente politica del voto odierno a Palazzo Madama sulla mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle e da Sinistra Ecologia e Libertà nei confronti del vicepremier per il suo coinvolgimento nel caso kazako. E pazienza che M5s e Sel abbiano più volte ricordato come si trattasse di una mozione di sfiducia individuale, e non al Governo. Così evidentemente non era. Non a caso tutti i vertici della maggioranza si sono presentati compatti in Aula: il premier Letta a fianco di Alfano. E poco più in là anche Silvio Berlusconi, per sostenere il suo luogotenente all’interno dell’Esecutivo. E, com’era prevedibile, al termine della mattinata Alfano è stato riconfermato al suo posto. Respinta la mozione di sfiducia con 226 voti contrari, 55 favorevoli e 13 astenuti (leggi la cronaca ora per ora).
Ma, come certificano anche questi numeri (e in particolare i 13 astenuti), il Partito Democratico si è spaccato. Ancora una volta. È stata Laura Puppato ad annunciare che non tutti i senatori Pd si sarebbero adeguati alla decisione presa ieri dalla riunione interna: “Alcuni di noi non voteranno in ossequio al governo”, ha annunciato, scatenando grandi proteste in aula. E in un certo qual modo ha cominciato a palesarsi una scollatura anche fra il Partito Democratico ‘regolare’ (non quello dei dissidenti) ed il Governo Letta. Nel corso del suo intervento, infatti, il presidente del Consiglio aveva difeso a spada tratta il suo ministro: “L’espulsione di Alma Shalabayeva è per l’Italia motivo di imbarazzo e discredito, da cui dobbiamo sgomberare il campo. Per farlo abbiamo scelto la linea della totale trasparenza, con un’inchiesta che ha ricostruito la vicenda e chiarito la totale estraneità di Alfano”, aveva detto il premier. Liquidando rapidamente anche la questione della ‘responsabilità oggettiva‘: “Su questo rinvio a quanto detto dal Presidente della Repubblica“, ha ribadito Letta.
A ricompattare il Pd, allora, è stato proprio l’appello di Letta ad interpretare la mozione di sfiducia ad Alfano come una fiducia al governo stesso: “Quello che chiedo oggi – ha detto il premier – è un nuovo atto di fiducia al governo che ho l’onore di presiedere. Il ‘no’ alla sfiducia oggi consentirà al governo di proseguire nella sua opera”. E così è stato. Anche se la dichiarazione di voto della Puppato ha reso palese tutto il malessere all’interno del Pd. E alla fine si sono contati 13 astenuti ‘di troppo’. Polemico anche l’intervento del senatore piddino Felice Casson, che aveva spiegato di votare no alla sfiducia solo per “vincolo di partito“. Citando persino Cicerone: “Quo usque tandem…”, “A che punto siamo arrivati…”, aveva concluso. Proprio Casson è stato protagonista di un curioso errore di voto, schierandosi per sbaglio in favore del sì. Il suo voto è stato poi modificato, sono altri i dissidenti su cui si è scatenata la polemica nel post voto.
Tutt’altra aria si respira invece in casa Pdl. “Soddisfatti” si sono detti sia il diretto interessato, il ministro Alfano, sia l’ex premier Silvio Berlusconi. Che ha speso parole di apprezzamento nei confronti del discorso di Letta: “Mi è piaciuto molto”. Meno apprezzato, invece, è stato l’intervento di Zanda, che, non scagionando Alfano dalla responsabilità oggettiva della vicenda, e citando le dimissioni di qualche settimana fa di Josefa Idem, ha invitato il ministro a “riflettere” sull’opportunità di un passo indietro: “Respingiamo la sfiducia, ma il ministro dovrebbe riflettere se nelle 24 ore della sua giornata c’è sufficiente tempo per svolgere le funzioni di ministro, segretario di partito e vicepremier. Lasciare il proprio incarico in determinate circostanze rientra nei doveri di servitore dello Stato”, ha detto, quasi a lasciare ancora aperto uno spiraglio sulla vicenda. Parole che hanno infastidito tutto il Pdl, a partire proprio da Berlusconi. Ma l’obiettivo era ‘salvare‘ Alfano e il Pdl l’ha portato a casa. Il governo, a questo punto, “deve andare avanti”, come ha sottolineato Guglielmo Epifani, segretario del Pd.
Inutili, quindi, i voti favorevoli alla sfiducia di Movimento 5 stelle e Sinistra Ecologia e Libertà. “Ancora una volta viene invocato lo stato di necessità come soluzione per uscire da una vicenda problematica, che non è stata affrontata nella maniera naturale: chiedere ed ottenere le dimissioni di Alfano. Con che coraggio continuerà a fare il Ministro dopo quello che è successo?”, ha chiesto all’aula Loredana De Petris, senatrice di Sel. Per Nicola Morra, invece, capogruppo al Senato del M5s, “quanto accaduto porta disonore a tutta l’Italia e gli italiani”, e la presenza di Berlusconi “ha svelato chi davvero regge il governo”. Particolarmente discusso un passaggio del suo intervento, in cui Morra è stato “censurato” dal presidente del Senato, Pietro Grasso, mentre faceva riferimento a Giorgio Napolitano: “Non sono ammessi riferimenti al capo dello Stato”, ha detto Grasso. “Mi dispiace che il mio intervento sia stato interpretato come una censura. Tengo a precisare che non volevo censurare nessuno”, ha poi detto il presidente del Senato Pietro Grasso. “Ho solo voluto distinguere tra le citazioni delle cose dette dal presidente Napolitano da quelle considerazioni che non devono trovare spazio in un confronto tra Parlamento e governo. Comunque – ha aggiunto – l’ho fatto convinto di fare una cosa giusta. Poi ho fatto completare a Nicola Morra la citazione che aveva iniziato. Ne ho parlato poi anche con il Movimento Cinquestelle e penso che lo abbiano compreso”.