Paolo Borsellino e Giovanni FalconeCaro Paolo,
q
uando sono arrivato la prima volta in via D’Amelio ero un ragazzo che aveva da poco compiuto i 18 anni. Nella mia città, nella mia scuola, in casa mia, nessuno mi aveva parlato di mafia. Non mi avevano mai raccontato di Placido Rizzotto, di Peppino Impastato, di Portella della Ginestra.

La mafia e la lotta alla mafia non facevano parte del dizionario con il quale ero cresciuto in un piccolo paese della Lombardia. Mentre nella tua Palermo la gente veniva uccisa per strada, qualcuno al Nord diceva “si ammazzano tra loro. Non ci riguarda”, come se fossimo due Paesi diversi.

In via D’Amelio mi ritrovai a suonare a quel citofono al civico 19, a fare quello che probabilmente fu il tuo ultimo gesto. Tua sorella Rita, che si era spesa instancabilmente per tutt’Italia, per portare il tuo nome in ogni scuola, parrocchia, associazione o comune, mi accolse nella tua città, mi prese per mano accompagnandomi da giovane giornalista a conoscere la tua storia, raccontandomi del “suo” Paolo.

Sono tornato tante volte in via D’Amelio, accompagnando scolaresche e amici arrivati dal Nord. Sono tornato ogni 19 luglio. Ho visto troppe corone d’alloro, troppi minuti di silenzio.

In quella strada, dove tu sei passato per l’ultima volta, ho visto Salvatore Cuffaro renderti omaggio. A quel citofono nel 1994 Silvio Berlusconi, chiese a tua sorella che aveva con coraggio scelto di non farlo salire in casa: “Cosa possiamo fare per sconfiggere la mafia?”.

Ventuno anni dopo, caro Paolo, in questo Paese che tu hai servito senza essere un eroe ma svolgendo il tuo mestiere con dedizione e passione, il tuo nome rischia di essere impresso solo nei libri di storia o sulle lapidi di qualche strada o piazza.

Quando chiedo ai miei ragazzi nelle classi quinte delle scuole primarie del Nord: “Chi sono Paolo Borsellino e Giovanni Falcone?”, spesso non sanno rispondermi. Magari hanno scuole intitolate a te e al tuo fraterno amico, ma nessun insegnate si è fermato con questi ragazzi a parlare di te, a leggere con loro le parole che ci hai lasciato. Ecco perché nelle mie classi, il primo giorno di scuola, appendo accanto alle cartine e al crocifisso la tua fotografia con Giovanni.

Tua sorella Rita, 18 anni fa mi passò il testimone e ora da maestro ho il dovere di passarlo ai miei bambini. E’ il compito di ogni insegnante perché il 19 luglio, il 23 maggio non restino delle date che consentano ai politici di centrodestra e di centrosinistra, di fare passerella.

Stamattina li rivedremo: per un giorno la lotta alla mafia sarà lo slogan di turno. Mi tornano alla mente le parole che il magistrato Franca Imbergamo mi ha insegnato: “A volte l’antimafia non fa meno schifo della mafia”.

Oggi caro Paolo, in questa Italia non ci serve a nulla avere politici che si fregiano di essere onesti, di portare sulle spalle le vostre idee. Li abbiamo già visti. Abbiamo bisogno di bambini che un giorno, molto presto, potranno essere magistrati, sindaci, parlamentari, ingegneri, operai che conosceranno la storia di questo paese, vivendo ogni giorno la vostra battaglia e non solo il 19 luglio.


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