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Decreto del Fare, “salta il tetto allo stipendio dei super manager pubblici”

Alcuni deputati della commissione Bilancio denunciano che il testo del decreto del Fare esclude l'estensione del limite ai compensi degli amministratori di aziende come Poste, Ferrovie dello Stato e Anas. All'interno dell'emendamento è stato infatti aggiunto un "non" che annulla quanto scritto inizialmente
Decreto del Fare, “salta il tetto allo stipendio dei super manager pubblici”
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Dietrofront sul tetto agli stipendi d’oro dei manager pubblici. “Il testo del decreto del Fare, sul quale oggi il governo ha posto la fiducia alla Camera, esclude l’estensione del tetto agli emolumenti agli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica come Poste, Ferrovie dello Stato, Anas“, denunciano i deputati della commissione Bilancio Simonetta Rubinato, Angelo Rughetti, Andrea Romano e Lello Di Gioia.

“Ci siamo accorti”, spiegano, “che nell’ambito dell’attività di coordinamento del testo effettuato ieri sera in Commissioni è stato inserito alla lettera a) del comma 1 dell’art. 12bis, un ‘non’ che vanifica l’effettiva volontà dei commissari che, nel testo approvato in commissioni riunite I e V ed arrivato lunedì in aula, riportava la volontà di estendere il tetto agli emolumenti già fissato dalla spending review del governo Monti anche ai manager pubblici di tali società”. I deputati dichiarano che “si tratta di un errore materiale dovuto alla concitazione per l’approvazione in tempi brevi di un testo molto complesso, alla quale va posto sicuramente rimedio”.

I commissari, preso atto della posizione della fiducia alla Camera annunciata dal ministro Franceschini, confidano che al Senato la norma venga corretta per conformarla alla volontà espressa dai componenti delle Commissioni. “Noi riteniamo – spiegano – che tutti i manager, anche quelli delle società non quotate che erogano servizi ai cittadini come appunto Poste, Ferrovie dello Stato e Anas, debbano avere un tetto ai loro compensi, come avviene per gli altri amministratori delle società non quotate che possono arrivare al massimo al trattamento economico del primo presidente della Cassazione (circa 300mila euro)”.

E aggiungono: “Sarebbe paradossale che in una fase in cui famiglie e imprese lottano per arrivare alla fine del mese si facciano delle eccezioni che non fanno altro che alimentare un clima sociale difficile. Si tratta di un mero errore che il Senato dovrà modificare”.

Così recita ora il testo, dopo il passaggio dalla Commissione all’aula:

“Il compenso stabilito ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile, dai consigli di amministrazione delle società non quotate, nonché delle società che non svolgono servizi di interesse generale, anche i rilevanza economica, di cui all’articolo 4, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135 direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione”.

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