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Se l’Italia fosse veramente il paese più stupido della Terra?

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Un malinteso senso dello sviluppo ha portato da tempo gli italiani ad adottare modelli a noi profondamente estranei, convinti come eravamo che fosse giusto e moderno cancellare tutto ciò che poteva essere considerato “vecchio”, per un “nuovo” culturalmente distante. Ricordo uno scritto che lessi – ma non ricordo di chi – che diceva pressappoco così: “negli anni settanta qualcosa si è rotto, i padri hanno smesso di parlare, le mamme di cucinare e i figli di mangiare”. Di conseguenza in Italia, come nel mondo, abbiamo iniziato disinvoltamente a nutrirci nei Fast Food. Ma com’è stato possibile per noi italiani? Il nostro è un popolo con una straordinariamente ricca cultura alimentare, tramandata da generazioni. E’ depositario della Dieta Mediterranea riconosciuta recentemente come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, un immenso serbatoio di biodiversità vegetale e animale. Siamo gli inventori della pizza e del più variegato sistema di alimentazione veloce rappresentato dalla cucina di strada. Come possiamo accettare, com’è accaduto, come può essere considerato normale tutto ciò?

Credo che i primi a essersene meravigliati siano stati proprio gli ideologi del Fast Food.

Anni fa una mia amica giapponese, grande conoscitrice dell’Italia più nascosta, m’inviò da leggere un suo articolo dal titolo controverso “l’Italia: il paese più stupido del pianeta”. Ad un primo approccio ne fui colpito negativamente, ma infine leggendolo, quanto aveva ragione! Il nostro dovrebbe essere un paese felice, esente da crisi, ma per varie ragioni purtroppo così non è.

In un mondo che legge sempre meno, avviare un ulteriore spazio di riflessione può sembrare un inutile esercizio ma spero proprio non sia così. Non lo sarà per i contenuti e per le forme di linguaggio con cui tenterò di raccontare un altro mondo, non un mondo possibile o futuribile, ma un mondo che c’è e opera quotidianamente, a tutte le latitudini, al nord e al sud, a est come a ovest, che rende grande, nonostante tutto, questo straordinario paese intellettualmente e culturalmente offeso.

Con qualche perplessità dovuta all’impegno che comporta, ho accettato di avviare questo blog su ilfattoquotidiano.it. La passione per gli argomenti di cui mi è stato chiesto di discutere, dal mio osservatorio di Oste, è stata determinante e superiore per forza alla ritrosia di parlare che spesso mi prende, sempre preferibilmente portato ad agire e a far parlare i fatti e le cose concrete.

Questo blog vuole comunicare, informare, parlare del nostro territorio e dei suoi artefici, delle scelte e dei consumi che vorremo sempre più consapevoli.

L’Italia è formata da territori e da persone che nonostante tutto resistono, e ancora oggi comunicano con la loro cura e attenzione, una ricetta di felicità, una possibile soluzione ai mali che credo siano profondamente all’origine della nostra crisi nazionale, ma guardando bene anche a quella planetaria.

Sono profondamente convinto che dando al Cibo e all’Agricoltura la centralità che meritano, diamo una speranza a noi stessi e all’ambiente che ci circonda. La mia lunga e piacevolissima esperienza al servizio di un movimento come l’Arcigola prima e poi Slow Food, ha rappresentato il godimento di un punto di vista, un osservatorio particolare su un mondo fatto di uomini e donne di buona volontà che hanno dato e continuano a dare onore e orgoglio al nostro paese. Il più delle volte è la gente semplice, anonima e sconosciuta che ha avuto ed ha grandi meriti per la conservazione del nostro “Paese delle Meraviglie”, nella difesa di elementi unici del nostro ambiente e del nostro paesaggio, della nostra cultura e della nostra tradizione alimentare.

Amerei parlare di territori, di storie umane e produttive, di esempi virtuosi che hanno saputo creare modelli di moderna “Felicità Interna Lorda”, comunicando la più intima cultura del territorio e radicando a questo il lavoro e l’occupazione. Lavoro agricolo che non può migrare, che non può avere fortuna altrove e che tutti avremmo invece il dovere di difendere e conservare, insieme alla biodiversità e alla saggezza di cui è depositario.

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