Il 23 luglio, a Milano, poco dopo lo sgombero dell’ex-cinema Maestoso (di proprietà privata, abbandonato all’incuria e recentemente occupato come spazio sociale comune per un riuso civico), è stato siglato un accordo tra Cgil-Cisl-Uil, il Comune di Milano ed Expo 2015 S.p.A.. Un accordo per favorire l’assunzione a termine di 800 lavoratori e l’utilizzo di 18.500 volontari per garantire la forza-lavoro necessaria a Expo 2015.
Prima di entrare nel merito dell’accordo, alcune considerazioni:
1. Expo 2015 è stato presentato come una grande opportunità occupazionale nella crisi, un volano per favorire la crescita economica e l’occupazione. Oggi ci vengono forniti i dati: 800 contratti precari, una goccia nel mare della disoccupazione giovanile, a costo ridotto e con deroga alla deroga della giungla precaria già esistente, a fronte di 18.500 prestazione lavorative di fatto gratuite. Una settimana fa era già stato siglato un accordo tra la Camera di Commercio di Milano e Politecnico per l’assunzione, sempre in vista di Expo 2015, di un numero imprecisato di stagisti al costo di 1 euro all’ora!
2. In questi giorni, è in discussione il DL Giovannini, all’interno del “Decreto del Fare” del governo Letta-Alfano, approvato alla Camera con voto di fiducia. Riguardo la parte sul mercato del lavoro, due sono i provvedimenti che più ci interessano. Il primo riguarda i contratti di apprendistato. Viene proposta una deroga – che guarda caso termina il 31 dicembre 2015, giorno di chiusura di Expo – per consentire l’utilizzo dei contratti di apprendistato per i giovani sino a 29 anni togliendo l’obbligo per le imprese di stendere una relazione sull’attività di formazione svolta. Ricordiamo che nel contratto di apprendistato, il 90% dei contributi sociali è a carico dello Stato e il lavoratore viene assunto (con possibilità di rescissione a fine periodo) con una qualifica di due livelli inferiore rispetto a quella cui sarebbe destinato. Si tratta di condizioni molto convenienti per l’impresa. Eppure, il contratto di apprendistato oggi incide solo per poco meno del 3% tra i contratti precari, proprio perché obbliga le imprese a dimostrare l’avvenuto periodo di formazione.
Con questa deroga si liberalizza di fatto l’uso di tale contratto – rimane solo il limite dei 29 anni.
Il secondo provvedimento riguarda il contratto a tempo determinato. Con la legge Fornero era stata introdotta l’a-casualità relativamente al primo contratto di questo tipo ovvero la possibilità per le imprese di poterlo adottare senza darne alcuna giustificazione. Per evitarne l’abuso, la legge Fornero aveva allungato l’intervallo di tempo tra la scadenza del contratto a termine e il suo (eventuale) rinnovo sino ad un massimo di 60 giorni. Ebbene, il DL Giovannini mantiene la a-causalità, ma riduce l’intervallo per il rinnovo a 10 giorni (per contratti inferiori ai 6 mesi) e 20 giorni. Di fatto, anche in questo caso si tratta di una liberalizzazione ad uso e consumo delle esigenze “usa e getta” delle imprese.
Il contratto siglato a Milano per l’Expo recepisce interamente quanto il DL Giovannini vuole introdurre. Ma ai tempi determinato hanno aggiunto – bontà loro – la causale Expo, giusto per permettere ai sindacati di sostenere che il loro (ab)uso sarà limitato nel tempo!
Ricapitolando: degli 800 lavoratori assunti per i 6 mesi di Expo 2015, 340 saranno apprendisti e dovranno avere meno di 29 anni. Altri 300 saranno contratti a tempo determinato e una parte degli impieghi sarà riservata a disoccupati e persone in mobilità.
Sul fronte degli stage, invece, saranno 195 le posizioni da coprire, con rimborsi da 516 euro al mese. A questi si aggiungeranno circa 18.500 volontari, destinati principalmente all’accoglienza dei visitatori: potranno alternarsi su turni di cinque ore al giorno, con un impiego massimo di due settimane ciascuno, per un fabbisogno giornaliero di 475 persone. Con questi “si chiude il fabbisogno per la società” – ha spiegato Sala, l’AD di Expo2015, con il plauso del Comune di Milano e di Cgil, Cisl e Uil.
…E plaudono anche Letta e Giovannini, che parlano di accordo storico, in grado di rilanciare l’economia italiana (!), mentre il Corriere della Sera titola: “Il lavoro flessibile parte da Expo”. Noi ci chiediamo: perché proporre alle imprese condizioni ancor più favorevoli per un evento una tantum, quando già esiste una pletora di contratti “usa e getta”? Qual è allora l’obiettivo che ci si pone?
Da un lato, si utilizza l’Expo per testare nuove soluzioni di precarizzazione da estendere poi a livello nazionale.
Dall’altro, una volta precarizzato il precarizzabile, si vuole andare verso un nuovo dualismo del mercato del lavoro, stavolta non fra garantiti e non garantiti, ma tutto interno alla precarietà, di tipo generazionale: da una parte il giovane, senza elevati titoli di studio, che va a fare l’apprendista con salario ridotto e basso costo per le imprese; e poi il precario adulto, che vive di contratti a termine.
Difficile che ciò possa creare occupazione. Se non si interviene dal lato della domanda e del potere di spesa, senza una prospettiva di vendita, nessuna impresa assumerebbe, anche se le si offrissero lavoratori a costo zero.
In tempi di crisi, l’unica politica ragionevole che può favorire una ripresa occupazionale (come San Precario ha più volte ribadito) è quindi una politica di domanda, non più intesa come domanda aggiuntiva da parte dello Stato (politiche keynesiane), ma come domanda privata derivante da più alti salari e continuità di reddito: reddito di base incondizionato (RBI) e salario minimo, da un lato, separazione tra assistenza e previdenza dall’altro. I primi favoriscono stabilità e crescita della domanda e quindi indirettamente crescita della produzione e dell’occupazione. La seconda, ipotizzando che tutti gli ammortizzatori sociali vengano gradualmente sostituito dal RBI finanziato con la fiscalità generale, libera risorse che abbattendo il cuneo fiscale consentirebbero di accrescere la busta paga di chi è occupato e di ridurre il costo del lavoro.
E intanto che fa il sindacato? La Cgil approva, perché è stato riconosciuto il metodo della concertazione e la necessità che qualunque intervento sul mercato del lavoro, anche quello più infame, venga pattuito con il sindacato e da lui riconosciuto.
Valutate un po’ voi, ma a noi pare che siamo arrivati alla frutta…