Era un’agente sotto copertura nella cellula della Cia di Milano quando Abu Omar fu rapito. Ora Sabrina De Sousa, condannata in contumacia in Italia con altre 22 persone per la extraordinary rendition dell’allora imam del capoluogo milanese, ha deciso di parlare e di raccontare la propria verità sugli accadimenti che portarono a quel 17 febbraio 2003, giorno in cui l’imam venne rapito. Lo ha fatto in una serie di interviste rilasciate al sito statunitense McClatchydc.com, in cui l’ex agente muove nuove accuse contro alti funzionari dell’agenzia e chiama in causa anche l’Italia: la donna accusa le autorità di Roma di collusione con gli Stati Uniti per aver collaborato con i vertici della Cia nonostante non ci fossero le condizioni per portare a termine l’operazione. Definendo la rendition “ingiustificata e illegale”, De Sousa racconta che l’Italia e gli Stati Uniti “hanno punito dei capri espiatori, mentre i veri responsabili restano impuniti”.
Nega di aver avuto un ruolo nel rapimento, ma faceva da interprete tra gli uomini della Cia in visita a Milano nel 2002 per pianificare il rapimento e gli agenti del Sismi, il servizio segreto militare italiano. Spiega che il suo operato era legale, perché “in quella fase il Sismi partecipò alla pianificazione del rapimento, sebbene in un secondo momento si fosse rifiutato di prendere parte all’operazione”. Racconta poi di non aver partecipato in prima persona al blitz, perché “era in settimana bianca con suo figlio”. E dice di basare le proprie affermazioni su documenti classificati della Cia e su documenti legali italiani. Nel 2009, prima di rassegnare le dimissioni, aveva scavato negli archivi dell’agenzia alla ricerca di documenti sul caso: “Ero ritenuta responsabile per le decisione che aveva preso qualcun altro – racconta la donna – e volevo capire su quali basi quelle decisioni erano state prese”.
All’epoca dei fatti, nel 2002, racconta l’ex agente, Abu Omar era tenuto sotto controllo dalla Digos, perché membro di un’organizzazione islamica considerata terroristica in Occidente. Ma la Digos non lo aveva mai arrestato perché non aveva prove che stesse organizzando attacchi terroristici. Jeff Castelli, capo della cellula romana della Cia, vera mente di tutta l’operazione, invece, era ansioso di mettere a segno la rendition perché “come tutti dopo l’11 settembre, era pressato dal quartier generale della Cia perché facesse qualcosa contro Al Qaeda”. Castelli, prosegue De Sousa, era ambizioso e vedeva l’operazione come il viatico per una promozione. Così “andò dal Sismi e chiese che i servizi italiani partecipassero alla rendition, ma il Sismi rispose di no”. Ma questo non fermò l’agente, né lo fermarono i dubbi più volte espressi da Robert Seldon Lady, capo della cellula milanese della Cia catturato il 19 luglio dalle autorità panamensi su richiesta del governo italiano e poi riconsegnato agli Usa. Lady, che lavorava a braccetto con la Digos nella sorveglianza di Abu Omar, si era spesso lamentato con De Sousa perché “la rendition non aveva senso, dal momento che l’imam era controllato dalla Digos”. Nonostante questo Castelli fece incessanti pressioni su Lady perché l’operazione andasse avanti.
Ma Castelli fece anche pressioni su Niccolò Pollari, allora direttore del Sismi, perché quest’ultimo desse il proprio ok all’operazione, racconta De Sousa, che spiega di basare le proprie affermazioni sul contenuto di alcuni cablogrammi classificati scambiati tra l’agente e il quartiere generale della Cia: “Esiste una traccia scritta di tutto ciò che avvenne”, scandisce la donna.
“Pollari – continua De Sousa – si rifiutò, dicendo che la rendition sarebbe stata un’operazione illegale se non fosse stata approvata dalla magistratura”. Ma le pressioni non si fermarono: i vertici dell’agenzia insistevano affinché il Sismi e l’allora premier Berlusconi dessero il loro ok, altrimenti “non sarebbero potuti andare da Condoleeza Rice (allora consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ndr) e da Bush per farsi autorizzare l’operazione”. Così, cosa fece Castelli? “Castelli – prosegue De Sousa – mi disse: ‘Ho parlato con Pollari e lui non metterà mai nulla per iscritto (…). Ma mi ha dato la sua tacita approvazione”.
In un “cablo di valutazione” inviato al quartier generale, continua De Sousa, Castelli parlò di una intercettazione telefonica in cui Abu Omar rifletteva sulla possibilità di colpire un autobus appartenente alla American School di Milano. Eppure la Digos “non era eccessivamente preoccupata perché non c’erano prove che l’attacco sarebbe stato davvero realizzato – continua la donna – se avessero temuto che Abu Omar stesse davvero per fare qualcosa, lo avrebbero fermato, no? Non era negli interessi italiani (sottovalutare) … La maggioranza degli studenti non era americana, ma italiana o di altre nazionalità. Tutto questo accadeva nel 2002, mentre l’imam fu rapito soltanto nel 2003. Dov’era l’imminenza del pericolo?”.
Nonostante tutti i dubbi sulla fondatezza delle accuse contro Abu Omar, i vertici della Cia tra cui l’allora direttore George Tenet decisero di andare avanti e di chiedere l’autorizzazione per la rendition alla Rice, che in un cablo del 2002 si diceva preoccupata che gli agenti americani sarebbero potuti finire in carcere se fossero stati scoperti. Castelli, continua ancora De Sousa, aveva risposto che anche se ciò fosse accaduto, gli agenti sarebbero stati al massimo espulsi e “il Sismi avrebbe salvato tutti”. I suoi superiori alla Cia “sapevano che la rendition era una stronzata, ma decisero comunque di autorizzarla”. E così fecero la Rice e Bush.
Quando nel 2004 la procura di Milano cominciò a indagare sulla Cia per la scomparsa dell’imam, De Sousa tornò negli Usa con una nuova mansione nel quartier generale della Cia. Quando nel 2006 venne incriminata, l’amministrazione Bush si rifiutò di prendere posizione e rifiutò la sua richiesta di immunità diplomatica, che invece venne concessa a Castelli dall’Italia senza nemmeno che Washington l’avesse richiesta. L’ex capo della cellula romana della Cia era stato prosciolto in primo grado ma il 1° febbraio 2013 la Corte d’appello di Milano lo ha condannato a 7 anni di carcere.
De Sousa, 57 anni, figura tra le 23 persone condannate in Italia per il caso: 5 gli anni di carcere decisi in primo grado dal Tribunale di Milano, che divennero sette in appello. “Oggi la mia vita è un inferno”, conclude la donna, spiegando che in seguito alla condanna ricevuta in Italia non ha più trovato lavoro negli Stati Uniti. Sul perché abbia accettato di rilasciare l’intervista, De Sousa ha risposto: “Penso che parlare di questa faccenda sia importante, ha rovinato la vita di troppe persone”.
Cronaca
Rapimento Abu Omar, l’ex agente Cia: “Collusione Italia-Usa per salvare i vertici”
L'ex agente Sabrina De Sousa, intervistata dal sito McClatchydc.com, ricostruisce le tappe che portarono alla extraordinary rendition dell'imam. E accusa: Italia e gli Stati Uniti "hanno punito dei capri espiatori, mentre i veri responsabili restano impuniti"
Era un’agente sotto copertura nella cellula della Cia di Milano quando Abu Omar fu rapito. Ora Sabrina De Sousa, condannata in contumacia in Italia con altre 22 persone per la extraordinary rendition dell’allora imam del capoluogo milanese, ha deciso di parlare e di raccontare la propria verità sugli accadimenti che portarono a quel 17 febbraio 2003, giorno in cui l’imam venne rapito. Lo ha fatto in una serie di interviste rilasciate al sito statunitense McClatchydc.com, in cui l’ex agente muove nuove accuse contro alti funzionari dell’agenzia e chiama in causa anche l’Italia: la donna accusa le autorità di Roma di collusione con gli Stati Uniti per aver collaborato con i vertici della Cia nonostante non ci fossero le condizioni per portare a termine l’operazione. Definendo la rendition “ingiustificata e illegale”, De Sousa racconta che l’Italia e gli Stati Uniti “hanno punito dei capri espiatori, mentre i veri responsabili restano impuniti”.
Nega di aver avuto un ruolo nel rapimento, ma faceva da interprete tra gli uomini della Cia in visita a Milano nel 2002 per pianificare il rapimento e gli agenti del Sismi, il servizio segreto militare italiano. Spiega che il suo operato era legale, perché “in quella fase il Sismi partecipò alla pianificazione del rapimento, sebbene in un secondo momento si fosse rifiutato di prendere parte all’operazione”. Racconta poi di non aver partecipato in prima persona al blitz, perché “era in settimana bianca con suo figlio”. E dice di basare le proprie affermazioni su documenti classificati della Cia e su documenti legali italiani. Nel 2009, prima di rassegnare le dimissioni, aveva scavato negli archivi dell’agenzia alla ricerca di documenti sul caso: “Ero ritenuta responsabile per le decisione che aveva preso qualcun altro – racconta la donna – e volevo capire su quali basi quelle decisioni erano state prese”.
All’epoca dei fatti, nel 2002, racconta l’ex agente, Abu Omar era tenuto sotto controllo dalla Digos, perché membro di un’organizzazione islamica considerata terroristica in Occidente. Ma la Digos non lo aveva mai arrestato perché non aveva prove che stesse organizzando attacchi terroristici. Jeff Castelli, capo della cellula romana della Cia, vera mente di tutta l’operazione, invece, era ansioso di mettere a segno la rendition perché “come tutti dopo l’11 settembre, era pressato dal quartier generale della Cia perché facesse qualcosa contro Al Qaeda”. Castelli, prosegue De Sousa, era ambizioso e vedeva l’operazione come il viatico per una promozione. Così “andò dal Sismi e chiese che i servizi italiani partecipassero alla rendition, ma il Sismi rispose di no”. Ma questo non fermò l’agente, né lo fermarono i dubbi più volte espressi da Robert Seldon Lady, capo della cellula milanese della Cia catturato il 19 luglio dalle autorità panamensi su richiesta del governo italiano e poi riconsegnato agli Usa. Lady, che lavorava a braccetto con la Digos nella sorveglianza di Abu Omar, si era spesso lamentato con De Sousa perché “la rendition non aveva senso, dal momento che l’imam era controllato dalla Digos”. Nonostante questo Castelli fece incessanti pressioni su Lady perché l’operazione andasse avanti.
Ma Castelli fece anche pressioni su Niccolò Pollari, allora direttore del Sismi, perché quest’ultimo desse il proprio ok all’operazione, racconta De Sousa, che spiega di basare le proprie affermazioni sul contenuto di alcuni cablogrammi classificati scambiati tra l’agente e il quartiere generale della Cia: “Esiste una traccia scritta di tutto ciò che avvenne”, scandisce la donna.
“Pollari – continua De Sousa – si rifiutò, dicendo che la rendition sarebbe stata un’operazione illegale se non fosse stata approvata dalla magistratura”. Ma le pressioni non si fermarono: i vertici dell’agenzia insistevano affinché il Sismi e l’allora premier Berlusconi dessero il loro ok, altrimenti “non sarebbero potuti andare da Condoleeza Rice (allora consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ndr) e da Bush per farsi autorizzare l’operazione”. Così, cosa fece Castelli? “Castelli – prosegue De Sousa – mi disse: ‘Ho parlato con Pollari e lui non metterà mai nulla per iscritto (…). Ma mi ha dato la sua tacita approvazione”.
In un “cablo di valutazione” inviato al quartier generale, continua De Sousa, Castelli parlò di una intercettazione telefonica in cui Abu Omar rifletteva sulla possibilità di colpire un autobus appartenente alla American School di Milano. Eppure la Digos “non era eccessivamente preoccupata perché non c’erano prove che l’attacco sarebbe stato davvero realizzato – continua la donna – se avessero temuto che Abu Omar stesse davvero per fare qualcosa, lo avrebbero fermato, no? Non era negli interessi italiani (sottovalutare) … La maggioranza degli studenti non era americana, ma italiana o di altre nazionalità. Tutto questo accadeva nel 2002, mentre l’imam fu rapito soltanto nel 2003. Dov’era l’imminenza del pericolo?”.
Nonostante tutti i dubbi sulla fondatezza delle accuse contro Abu Omar, i vertici della Cia tra cui l’allora direttore George Tenet decisero di andare avanti e di chiedere l’autorizzazione per la rendition alla Rice, che in un cablo del 2002 si diceva preoccupata che gli agenti americani sarebbero potuti finire in carcere se fossero stati scoperti. Castelli, continua ancora De Sousa, aveva risposto che anche se ciò fosse accaduto, gli agenti sarebbero stati al massimo espulsi e “il Sismi avrebbe salvato tutti”. I suoi superiori alla Cia “sapevano che la rendition era una stronzata, ma decisero comunque di autorizzarla”. E così fecero la Rice e Bush.
Quando nel 2004 la procura di Milano cominciò a indagare sulla Cia per la scomparsa dell’imam, De Sousa tornò negli Usa con una nuova mansione nel quartier generale della Cia. Quando nel 2006 venne incriminata, l’amministrazione Bush si rifiutò di prendere posizione e rifiutò la sua richiesta di immunità diplomatica, che invece venne concessa a Castelli dall’Italia senza nemmeno che Washington l’avesse richiesta. L’ex capo della cellula romana della Cia era stato prosciolto in primo grado ma il 1° febbraio 2013 la Corte d’appello di Milano lo ha condannato a 7 anni di carcere.
De Sousa, 57 anni, figura tra le 23 persone condannate in Italia per il caso: 5 gli anni di carcere decisi in primo grado dal Tribunale di Milano, che divennero sette in appello. “Oggi la mia vita è un inferno”, conclude la donna, spiegando che in seguito alla condanna ricevuta in Italia non ha più trovato lavoro negli Stati Uniti. Sul perché abbia accettato di rilasciare l’intervista, De Sousa ha risposto: “Penso che parlare di questa faccenda sia importante, ha rovinato la vita di troppe persone”.
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Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.
Milano, 13 mar. (Adnkronos) - "Procederemo a tutelare la reputazione e l’onorabilità dello studio legale Giarda nelle opportune sedi competenti, come, del resto, già avvenuto in passato nei confronti dello stesso avvocato Massimo Lovati, confidando che questa vicenda possa finalmente trovare la giusta definizione, da tempo auspicata anche dal fondatore dello studio". Gli avvocati Fabio ed Enrico Giarda, ex difensori di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, replicano così alle affermazioni del difensore di Andrea Sempio, nuovamente indagato per il delitto di Garlasco, che ha sostenuto che "l'indagine del 2017 è stata frutto di una macchinazione".
Dichiarazioni ritenute dai fratelli Giarda "del tutto gratuite e gravemente lesive. L'avvocato Lovati evidentemente dimentica che la denuncia a suo tempo presentata nel 2017 da Andrea Sempio nei confronti dello studio legale Giarda e degli investigatori incaricati è stata archiviata nel 2020 dal gip di Milano, che nella sua ordinanza ha certificato l’assoluta correttezza dell’attività di raccolta e successiva estrazione dai reperti".
Milano, 13 mar. (Adnkronos) - "Il mercato domestico è in leggera crescita, sia a volume che a valore. Noi siamo cresciuti un po’ più del mercato, abbiamo guadagnato un +2,6 contro il 2% del mercato". Lo afferma Renato Roca, country manager di Findus Italia, all’evento ‘100%: il nostro percorso di sostenibilità’, organizzato oggi a Milano da Findus per celebrare il traguardo del 100% di prodotti ittici certificati Msc e Asc.
“L'Italia non è un Paese da grandissime crescite nel food nel largo consumo - spiega Roca - però è un mercato che sta continuando a dare una buona soddisfazione da quando siamo usciti dai periodi un po’ tesi della grande morsa inflattiva del 2022 e 2023. Dal 2024 il mercato si è normalizzato, anche grazie a iniziative, come la nostra, di comunicazione, di riposizionamento prezzi, che hanno un po’ smosso le acque. Siamo quindi molto fiduciosi”.
Come sottolineato anche all’incontro con la stampa organizzato oggi all'Acquario civico di Milano, quello del surgelato è un settore che “intercetta una serie di trend, come quello dell'anti spreco ma anche dell’attenzione alle abitudini alimentari. Il nostro portafoglio prodotti è composto all'80% da pesce e vegetali e adesso abbiamo anche il pollo - conclude il country manager di Findus Italia - Quello che è confortante come dato è che il mercato ha riacquistato l'1% delle famiglie che erano uscite, noi abbiamo riacquisito 2 punti di penetrazione tra le famiglie acquirenti e il pesce, in particolare, ne ha acquisiti 4”.
Milano, 13 mar. (Adnkronos) - "Il mercato domestico è in leggera crescita, sia a volume che a valore. Noi siamo cresciuti un po’ più del mercato, abbiamo guadagnato un +2,6 contro il 2% del mercato". Lo afferma Renato Roca, country manager di Findus Italia, all’evento ‘100%: il nostro percorso di sostenibilità’, organizzato oggi a Milano da Findus per celebrare il traguardo del 100% di prodotti ittici certificati Msc e Asc.
“L'Italia non è un Paese da grandissime crescite nel food nel largo consumo - spiega Roca - però è un mercato che sta continuando a dare una buona soddisfazione da quando siamo usciti dai periodi un po’ tesi della grande morsa inflattiva del 2022 e 2023. Dal 2024 il mercato si è normalizzato, anche grazie a iniziative, come la nostra, di comunicazione, di riposizionamento prezzi, che hanno un po’ smosso le acque. Siamo quindi molto fiduciosi”.
Come sottolineato anche all’incontro con la stampa organizzato oggi all'Acquario civico di Milano, quello del surgelato è un settore che “intercetta una serie di trend, come quello dell'anti spreco ma anche dell’attenzione alle abitudini alimentari. Il nostro portafoglio prodotti è composto all'80% da pesce e vegetali e adesso abbiamo anche il pollo - conclude il country manager di Findus Italia - Quello che è confortante come dato è che il mercato ha riacquistato l'1% delle famiglie che erano uscite, noi abbiamo riacquisito 2 punti di penetrazione tra le famiglie acquirenti e il pesce, in particolare, ne ha acquisiti 4”.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Quella di oggi, per il governatore Francesco Rocca, è “una bella giornata, che ci ricorda da un lato quanto è bello vivere e rappresentare questa regione, ma soprattutto l’importanza di essere accompagnati in questo viaggio e in questo anno particolare, che è un’occasione che non possiamo perdere, fra Giubileo e l’Expo di Osaka. Sono grato al Niaf per la capacità di custodire l’elemento valoriale con la necessità di andare oltre ai confini. Questa è la conseguenza naturale di valori che non si è mai persa: la comunità italoamericana non deve perdere le sue radici, la consapevolezza, e l’orgoglio di essere italiani”.
“I 20 milioni di italoamericani sono i migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo - afferma il presidente Niaf Robert Allegrini - e nel nostro 50mo anniversario non potevamo che scegliere il Lazio: abbiamo voluto condividere l’occasione con la regione che ospita la capitale d’Italia, non potevamo fare altrimenti, per dimostrare che il Lazio non è solo il Colosseo e la Fontana di Trevi ma che è una Regione che guarda al futuro”. Un legame quello con il Lazio che si fa anche con il cibo ma non solo. Un piatto su tutti: le Fettuccine alla Alfredo: “Poter portare a Washington Mario Mozzetti del ristorante Alfredo alla Scrofa, uno dei più grandi ambasciatori del Lazio negli Stati Uniti e di avere l'opportunità qua a Roma di andare al ristorante dove è nato questo piatto iconico per me è un motivo di grande soddisfazione”. Per Mario Mozzetti, “è un vero sogno andare alla convention Niaf di Washington e portare le fettuccine alla Alfredo. Portare questo piatto è un orgoglio anche a livello storico: portare Alfredo alla Scrofa negli Stati Uniti significa raccontare la storia che collega idealmente, ma non solo, l’Italia e gli Stati Uniti”.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Lazio è “Regione d’Onore Niaf 2025”. Un evento che ricade nel 50mo anniversario della National Italian American foundation, la più grande associazione di italoamericani. Lo slogan è chiaro: “All you need is Lazio”, fra sapori autentici, la storia incisa nella pietra, meraviglie naturali, benessere e relax, arte e artigianato, la magia del cinema, innovazione e aerospazio, eccellenza accademica e un patrimonio culturale unico. “È un grande riconoscimento - afferma Roberta Angelilli, vicepresidente e assessore a Sviluppo economico, Commercio, Artigianato, Industria, Internazionalizzazione della Regione Lazio - in cui saremo protagonisti a 360 gradi. Saranno coinvolte 20 startup e pmi innovative oltre a 18 grandi imprese che saranno attori protagonisti. Non è solo un grande evento ma è una vera missione di sistema. Ma non ci saranno solo le imprese: saranno coinvolte anche università e centri di ricerca. Startup. Gli obiettivi, netti e chiari - prosegue Angelilli - sono un piano di networking per una forte connessione con le imprese. L’altra sfida è l’ attrazione degli investimenti”. Per Amedeo Teti, capo Dipartimento per il Mercato del Mimit, “la Regione Lazio merita questa posizione di Regione d’onore. Il Lazio è da sempre attrattore di grandi investimenti. Secondo il Financial Times poi solo nel 2024 l’Italia ha attratto 35,5 miliardi di investimenti e ha creato 36mila posti di lavoro”.
Roma, 13 mar. (Labitalia) - "La vostra fiera pone la sostenibilità al centro del confronto tra tutti voi e tra tutti noi e non potrebbe essere altrimenti". Così il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto in un videomessaggio in occasione di LetExpo 2025, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere (11-14 marzo).
"La logistica è il sistema circolatorio delle nostre società. Attraverso la via della distribuzione riceviamo e inviamo ciò che consumiamo e ciò che produciamo. Quello che compriamo viene spesso da molto lontano e le nostre aziende esportano in ogni continente - continua - Se tutto questo ha creato ricchezza e opportunità ha anche creato pesanti effetti sull'ambiente. Per questo è molto importante che puntiate alla sostenibilità ambientale, naturalmente conciliata con la sostenibilità economica e sociale perché con l'ambientalismo dogmatico non si fa un favore né alla natura né alle persone. Anzi, se non consideriamo il tema socio-economico, le politiche ambientali saranno automaticamente respinte. Su questo tema non abbiamo mai fatto un passo indietro".
"La voce più chiara e determinata è stata quella dell'Italia a ogni tavolo negoziale europeo. Non mettiamo in discussione gli obiettivi finali, gli obiettivi climatici, ma chiediamo misure adatte al nostro Paese - spiega - Se il risultato delle politiche ambientali è la desertificazione industriale, perdiamo tutti. Con la neutralità tecnologica ognuno sceglie la propria strada verso una meta che resta comunque la meta che dobbiamo raggiungere".
"La vostra iniziativa punta ad accrescere la consapevolezza ecologica del settore dei trasporti, lo fa mettendo a confronto istituzioni, imprese, con il mondo della ricerca e delle professioni. Non si ragiona per compartimenti stagni. E' in questo modo che si passa dall'ideologia alla concretezza, alla realtà, dal dogma alla soluzione della questione. Insieme sapremo fare squadra", conclude.