L’inchiesta per insider trading non poteva arrivare in un momento più delicato per Telecom Italia, mentre l’azienda si prepara a una potenziale revisione dell’assetto di controllo che avrà conseguenze difficili da prevedere. E il consigliere Elio Catania, indagato dalla Procura di Roma per insider trading, è uno dei più potenti nel vasto cda di Telecom che si è riunito ieri: Catania è molte cose, un ex amministratore delegato di Ferrovie dello Stato ricordato per i conti in pesante rosso e la buonuscita da sette milioni, l’ex amministratore delegato di Ibm, ma è soprattutto un uomo di Intesa Sanpaolo: è stata la banca guidata da Enrico Tommaso Chucchiani a spingerlo nel cda di Telecom (anche se figura come indipendente indicato da Telco, la holding di cui è socia Intesa) e farlo diventare vicepresidente della Alitalia, al fianco di Roberto Colaninno, quando l’istituto azionista-creditore ha voluto rafforzare la presa sulla gestione della compagnia aerea in difficoltà.
Per la verità, chi conosce le complesse dinamiche interne a Intesa, spiega che Catania è soprattutto uomo di Gaetano Miccichè, potente responsabile della parte di Intesa che si occupa di imprese. Cucchiani è invece schierato, almeno in questo momento, a fianco di Franco Bernabé, il presidente di Telecom da mesi sotto attacco dai soci di riferimento dell’azienda (tra le sue colpe quella di aver ridotto il dividendo, difficile da giustificare in una azienda con 29 miliardi di debito come Telecom). Da tempo Catania è una voce critica sulla gestione Bernabé. Manager molto ambizioso e forte della copertura di Intesa, in queste settimane si è anche accreditato come un potenziale successore alla guida dell’azienda telefonica. Qualcuno si aspettava che il consiglio di amministrazione di ieri fosse l’occasione giusta per andare allo scontro. Ma è arrivata l’inchiesta della Procura.
Secondo quanto risulta al Fatto, è stata la stessa Telecom a rivolgersi alla Procura di Roma circa tre mesi fa dopo aver letto sulla stampa notizie riservate. Dell’iniziativa erano informati tutti i vertici dell’azienda, quindi Catania incluso, che però ha continuato a parlare con Rosario Dimito, il capo dell’economia del quotidiano romano Il Messaggero. Catania è accusato del reato indicato all’articolo 184 del testo unico della finanza, comma l lettera b, che punisce chi, essendo in possesso di informazioni privilegiate, “comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio”. Dimito è indagato per concorso nello stesso reato. Si tratta di insider trading, ma per ora non c’è alcuna evidenza che quelle informazioni siano state usate per trarre profitto dalle conseguenze che avevano sul titolo in Borsa. Catania era indagato da oltre un mese, ma la Guardia di Finanza si è mossa per perquisirlo soltanto mercoledì, dopo che Dimito aveva firmato sul Messaggero un articolo in cui parlava di nuove svalutazioni per Telecom e della possibilità di un aumento di capitale. Notizie che, come previsto, hanno fatto crollare le azioni della società in Borsa, del -6,27 per cento. Ieri si è ripreso, ma di poco, +1,81 per cento.
Si capirà presto se le indiscrezioni riferite da Dimito fossero fondate: il cda di ieri di Telecom si è chiuso senza emettere comunicati, che arriveranno oggi. Unico commento quello del finanziere franco-tunisino, Tarak Ben Ammar, che ha parlato di un consiglio “compatto, in sintonia con il management”. E, dice Ben Ammar, non si è parlato del caso di Elio Catania. Ma forse solo per rispetto degli assenti, visto che il manager indagato era assente.
Tutto sembra complicato dentro a Telecom: i soci di Telco non hanno più soldi, la separazione della rete è lunga e l’entità dell’investimento della Cassa depositi e prestiti è incerta, il partner cinese H3G si è defilato e i partner spagnoli di Telefonica stanno investendo su Germania e Sud America, ma dall’Italia si sentono poco attratti. Il caso Catania è una minuzia al confronto, ma ben riassume il clima.
di Stefano Feltri e Valeria Pacelli
Dal Fatto Quotidiano del 2 agosto 2013