E ora la riforma della Giustizia. Lo dice il Colle, lo ribadisce il Cavaliere (quasi a raccogliere un assist del capo dello Stato), lo ripete a perdifiato tutto il Popolo della Libertà nelle ore successive al giudizio di terzo grado che ha reso Silvio Berlusconi un pregiudicato. Ma su quali direttive lavorare per modificare il sistema giudiziario? La strada è tracciata, sempre dal Colle: la riforma deve seguire il modello predisposto da dieci saggi bipartisan scelti dal presidente Napolitano. Cosa prevedeva la bozza? Csm maggiormente controllato dalla politica nell’azione disciplinare contro i magistrati, limiti più stringenti alla durata delle indagini, limiti anche all’uso delle intercettazioni telefoniche. Insomma, temi e provvedimenti assai graditi dall’entourage berlusconiano. Non solo per i contenuti, ma anche per i tempi. Perché, dopo la sentenza che ha condannato definitivamente il leader del partito a 4 anni di reclusione per frode fiscale, è proprio lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a diramare un comunicato che, oltre a reclamare la stabilità del governo, auspica “che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso”.
Napolitano giustifica l’auspicio con il fatto che “attorno al processo in Cassazione per il caso Mediaset e all’attesa della sentenza il clima è stato più rispettoso e disteso che in occasione di altri procedimenti in cui era coinvolto Berlusconi. E penso che ciò sia stato positivo per tutti”. Un richiamo alla riforma della giustizia, insomma, proprio nel giorno in cui la giustizia colpisce duro il leader del Pdl. Che nel suo videomessaggio registrato dopo la condanna, dice esattamente la stessa cosa: “Diremo agli italiani di darci la maggioranza per modernizzare il Paese a partire dalla più indispensabile che è quella della giustizia per evitare che un cittadino sia privato della libertà”. Una sorta di comunione di intenti, quella tra Napolitano e Berlusconi, che non può che far piacere al premier Enrico Letta. Dopo l’iniziale preoccupazione (“Ora prevalgano gli interessi del Paese sugli interessi di parte” aveva detto il capo del governo subito dopo la sentenza), infatti, la convergenza sulla riforma della giustizia potrebbe allungare la vita dell’esecutivo. Perché, inutile nasconderlo, il governo delle larghe intese è l’unico in grado di avere i numeri per partorire un cambiamento così importante e impegnativo come quello del sistema giudiziario. L’altra faccia della medaglia, tuttavia, dice anche altro. I precedenti non mancano: quando si mette mano a una profonda revisione dei meccanismi penali, molte cose possono succedere e molte nuove norme possono essere introdotte. Senza dimenticare che, come è accaduto con il varo del nuovo codice di procedura penale del 1989, le grandi riforme della giustizia si accompagnano bene a un’amnistia.