Io ho conosciuto uomini straordinari. Uomini e donne. Tutti in una volta. Prima di quel venerdì notte li leggevo. Leggevo quello che altri – politici e sindacalisti – raccontavano al posto loro. Poi ho voluto conoscerli e sentire le loro voci.
Da tre giorni e tre notti stavano presidiando la loro fabbrica. La loro fabbrica è in via Primo Maggio. Giornata simbolo del lavoro. La loro fabbrica è il simbolo del lavoro nel loro paese, Copparo. Per un secolo, da quando nel 1918 “tre signori del posto decidono di avviare un’officina meccanica nel centrale Viale Carducci”, la Berco è stata il loro Primo Maggio. Poi, d’improvviso, ma non tanto, scoprono che la Berco non li vuole più. Non tutti, ma più di 400 ora sono di troppo. Ora sono esuberi.
Nel 2008, quando iniziò la cassa integrazione, prima ordinaria e poi speciale, erano 2500. Ora, dopo cinque anni di scioperi, manifestazioni, disillusioni, sono rimasti meno di duemila. Qual è il numero giusto? Io intendevo i dipendenti attuali. “Non c’è un numero giusto, o tutti o nessuno”. Pensavano volessi sapere la cifra degli esuberi. E la loro risposta sembrava un verso di Brecht
Nessuno o tutti – o tutti o niente. Non si può salvarsi da sé. O i fucili – o le catene. Nessuno o tutti o tutto o niente
Ora non ci sono tutti al presidio. “Altri lottano da casa, dalla tastiera del computer” ghigna Michele. C’è la diffidenza iniziale verso chi in mano ha una penna e non una bandiera. Chi ha una penna e non una bandiera non viene da cinque anni di sacrifici, di stipendio ridotto, di viaggi estenuanti in Germania per vedere negli occhi i manager della Thyssenkrupp, coloro che hanno deciso che più di 400 bandiere sono troppe. “Ora dobbiamo pagare noi per le loro scelte sbagliate”. È vero, le linee produttive in Usa e Brasile sono state un fallimento. Anche il ciclo continuo inserito nella Berco di Copparo lo è stato. E ha portato in pancia alla fabbrica 300 persone in più. Eppure loro, gli operai, lo avevano detto con un referendum interno che quell’operazione non serviva. Ma “ora paghiamo noi”.
Al presidio ci sono donne e bambini. C’è un calcino, qualcuno rincorre un pallone. Ci sono le carte da gioco. “Se giocano non si accorgono quando scendono le lacrime sul viso dei loro genitori”. Molti dei loro genitori si sono conosciuti lì, in fabbrica. Altri si sono sposati perché uno di loro è stato assunto. Se lo ricorda Margherita quel 3 gennaio del 1994. “Avevo 26 anni e a Michele arrivò la notizia. Il futuro per noi era spianato. Ricordo che andammo in banca a chiedere il mutuo. Io sono dipendente statale, lui lavora in Berco. Ci chiesero semplicemente ‘quanto vi serve’”. Poi nel 2008 iniziò la crisi. La prima cosa che fece Michele fu prendere un diploma di pizzaiolo. Dal 2008 i cassetti delle pizzerie dei dintorni sono pieni di curricula di dipendenti Berco.
Margherita mi mostra le bandiere che sventolano all’entrata. Il giorno prima c’era quella della Thyssen. Ora c’è la loro. Bianca con la scritta rossa, “La Berco siamo noi”. La si vede in ogni balcone di Copparo e dei paesi vicini. “Noi”. Per essere uno di loro devi meritartelo. Una penna non basta. E nemmeno basta la sportina di cellulari con la quale l’amministratore delegato Lucia Morselli si recava in mensa. Lei, insieme a Franco Tatò, è la nuova guardia chiamata dalla Germania per tagliare le teste. “Quando lei si siede il tavolo si svuota. Andiamo a metterci altrove, lontano”. Non ho nulla contro la Morselli. Fa, ha fatto, il suo mestiere. Rappresenta l’azienda. Ma non sarà mai una di loro. Come non lo sono e non lo saranno i quadri e dirigenti ‘pizzicati’ nella “saletta Berco” di un noto ristornate di Copparo. Per aggirare il presidio si sono presi computer e valigetta e si sono infilati dove credevano di non essere visti. “Io ho pensato che sono persone senza dignità”. Chi lo pensa è in Berco da 25 anni, Roby. Roby a questa fabbrica ha dato “la mia infanzia, ho dato i miei sabati e le mie domeniche. Io ho due figli e una moglie e in famiglia lavoro solo io”. No, quei quadri e dirigenti non saranno mai dei loro.
Lo sono diventati invece i ragazzi del reparto 9/8. “Prima credevano che tutto gli fosse dovuto, vivevano spensierati, si sputtanavano i soldi come dei cazzoni”. Poi è arrivato il 2008 “e le certezze attorno a loro sono crollate – racconta Cimino -. Hanno imparato la parola “esuberi”, hanno acquistato coscienza e hanno incominciato a credere nella nostra lotta. Ora sono i primi a portarla avanti. I primi a guidare i cortei. I primi a incoraggiare noi ‘vecchi’”.
Lotta, si parla di lotta. È lottare dover risparmiare per comprare un paio di scarpe al proprio figlio. È lottare non riuscire a pagare la rata del mutuo. “Attento però – avverte Cimino -, la nostra lotta è sempre stata pacifica, nonostante la situazione critica. Perché la violenza non porta a niente. L’unica violenza che ci permettiamo è quella di alzare la voce”. Ancora Brecht
L’unica usurpazione che concepisco è quella della dolce violenza che la ragione usa agli uomini
Conosco altri “noi”. Conosco Antonio, delegato sindacale, che organizza la spesa. L’aiutano in tanti. Le pizzerie da asporto portano le cene. Spesso gratis. Le aziende del territorio fanno a gara per fornire gazebo, acqua, pane, paste e caffè. Conosco Bubu, al quale oggi vorrei ricordare che aveva ragione a essere ottimista e che ora il sindaco deve offrire da bere a tutti per festeggiare. Conosco Alfredino, che è ormai in pensione ma i suoi compagni no. Conosco Diego, che proietta un video sulla storia della loro lotta. Il filmato termina con una speranza. Che sia l’ultimo video, “perché vorrebbe dire che tutto ha avuto un lieto fine e che tutto questo lo farete vedere ai vostri figli, ai quali dovete dire solo una cosa: che avete lavorato e state lavorando con persone fantastiche”. Conosco Igor, rsu aziendale, un uomo che non si vergogna di piangere: “Quando pensate che la nostra lotta non sia servita a niente sbagliate. Questo presidio finirà solo quando avremo ottenuto ciò che vogliamo. Sono orgoglioso di far parte di questo gruppo”. Sono loro la Berco.
Ora che la loro lotta è finita, che in un modo o nell’altro hanno vinto, a me è rimasta la bandiera. “La Berco siamo noi” è rimasta appesa alla finestra della mia redazione. Ho ricevuto critiche. Non è segno di obiettività. Specialmente in corso di trattativa. Ho risposto che ci sono momenti in cui si può stare da una parte sola.
Se in mano non hai una bandiera ma una penna, la devi reggere con la testa e anche con il cuore. Cervantes diceva che “una penna senza anima è letame”. Io nella vicenda Berco sto da una parte sola.
Sbaglio? Allora voglio iniziare a preparare già il mio prossimo errore.
Marco Zavagli
Giornalista
Emilia Romagna - 6 Agosto 2013
Berco, da una parte sola della fabbrica
Io ho conosciuto uomini straordinari. Uomini e donne. Tutti in una volta. Prima di quel venerdì notte li leggevo. Leggevo quello che altri – politici e sindacalisti – raccontavano al posto loro. Poi ho voluto conoscerli e sentire le loro voci.
Da tre giorni e tre notti stavano presidiando la loro fabbrica. La loro fabbrica è in via Primo Maggio. Giornata simbolo del lavoro. La loro fabbrica è il simbolo del lavoro nel loro paese, Copparo. Per un secolo, da quando nel 1918 “tre signori del posto decidono di avviare un’officina meccanica nel centrale Viale Carducci”, la Berco è stata il loro Primo Maggio. Poi, d’improvviso, ma non tanto, scoprono che la Berco non li vuole più. Non tutti, ma più di 400 ora sono di troppo. Ora sono esuberi.
Nel 2008, quando iniziò la cassa integrazione, prima ordinaria e poi speciale, erano 2500. Ora, dopo cinque anni di scioperi, manifestazioni, disillusioni, sono rimasti meno di duemila. Qual è il numero giusto? Io intendevo i dipendenti attuali. “Non c’è un numero giusto, o tutti o nessuno”. Pensavano volessi sapere la cifra degli esuberi. E la loro risposta sembrava un verso di Brecht
Nessuno o tutti – o tutti o niente. Non si può salvarsi da sé. O i fucili – o le catene. Nessuno o tutti o tutto o niente
Ora non ci sono tutti al presidio. “Altri lottano da casa, dalla tastiera del computer” ghigna Michele. C’è la diffidenza iniziale verso chi in mano ha una penna e non una bandiera. Chi ha una penna e non una bandiera non viene da cinque anni di sacrifici, di stipendio ridotto, di viaggi estenuanti in Germania per vedere negli occhi i manager della Thyssenkrupp, coloro che hanno deciso che più di 400 bandiere sono troppe. “Ora dobbiamo pagare noi per le loro scelte sbagliate”. È vero, le linee produttive in Usa e Brasile sono state un fallimento. Anche il ciclo continuo inserito nella Berco di Copparo lo è stato. E ha portato in pancia alla fabbrica 300 persone in più. Eppure loro, gli operai, lo avevano detto con un referendum interno che quell’operazione non serviva. Ma “ora paghiamo noi”.
Al presidio ci sono donne e bambini. C’è un calcino, qualcuno rincorre un pallone. Ci sono le carte da gioco. “Se giocano non si accorgono quando scendono le lacrime sul viso dei loro genitori”. Molti dei loro genitori si sono conosciuti lì, in fabbrica. Altri si sono sposati perché uno di loro è stato assunto. Se lo ricorda Margherita quel 3 gennaio del 1994. “Avevo 26 anni e a Michele arrivò la notizia. Il futuro per noi era spianato. Ricordo che andammo in banca a chiedere il mutuo. Io sono dipendente statale, lui lavora in Berco. Ci chiesero semplicemente ‘quanto vi serve’”. Poi nel 2008 iniziò la crisi. La prima cosa che fece Michele fu prendere un diploma di pizzaiolo. Dal 2008 i cassetti delle pizzerie dei dintorni sono pieni di curricula di dipendenti Berco.
Margherita mi mostra le bandiere che sventolano all’entrata. Il giorno prima c’era quella della Thyssen. Ora c’è la loro. Bianca con la scritta rossa, “La Berco siamo noi”. La si vede in ogni balcone di Copparo e dei paesi vicini. “Noi”. Per essere uno di loro devi meritartelo. Una penna non basta. E nemmeno basta la sportina di cellulari con la quale l’amministratore delegato Lucia Morselli si recava in mensa. Lei, insieme a Franco Tatò, è la nuova guardia chiamata dalla Germania per tagliare le teste. “Quando lei si siede il tavolo si svuota. Andiamo a metterci altrove, lontano”. Non ho nulla contro la Morselli. Fa, ha fatto, il suo mestiere. Rappresenta l’azienda. Ma non sarà mai una di loro. Come non lo sono e non lo saranno i quadri e dirigenti ‘pizzicati’ nella “saletta Berco” di un noto ristornate di Copparo. Per aggirare il presidio si sono presi computer e valigetta e si sono infilati dove credevano di non essere visti. “Io ho pensato che sono persone senza dignità”. Chi lo pensa è in Berco da 25 anni, Roby. Roby a questa fabbrica ha dato “la mia infanzia, ho dato i miei sabati e le mie domeniche. Io ho due figli e una moglie e in famiglia lavoro solo io”. No, quei quadri e dirigenti non saranno mai dei loro.
Lo sono diventati invece i ragazzi del reparto 9/8. “Prima credevano che tutto gli fosse dovuto, vivevano spensierati, si sputtanavano i soldi come dei cazzoni”. Poi è arrivato il 2008 “e le certezze attorno a loro sono crollate – racconta Cimino -. Hanno imparato la parola “esuberi”, hanno acquistato coscienza e hanno incominciato a credere nella nostra lotta. Ora sono i primi a portarla avanti. I primi a guidare i cortei. I primi a incoraggiare noi ‘vecchi’”.
Lotta, si parla di lotta. È lottare dover risparmiare per comprare un paio di scarpe al proprio figlio. È lottare non riuscire a pagare la rata del mutuo. “Attento però – avverte Cimino -, la nostra lotta è sempre stata pacifica, nonostante la situazione critica. Perché la violenza non porta a niente. L’unica violenza che ci permettiamo è quella di alzare la voce”. Ancora Brecht
L’unica usurpazione che concepisco è quella della dolce violenza che la ragione usa agli uomini
Conosco altri “noi”. Conosco Antonio, delegato sindacale, che organizza la spesa. L’aiutano in tanti. Le pizzerie da asporto portano le cene. Spesso gratis. Le aziende del territorio fanno a gara per fornire gazebo, acqua, pane, paste e caffè. Conosco Bubu, al quale oggi vorrei ricordare che aveva ragione a essere ottimista e che ora il sindaco deve offrire da bere a tutti per festeggiare. Conosco Alfredino, che è ormai in pensione ma i suoi compagni no. Conosco Diego, che proietta un video sulla storia della loro lotta. Il filmato termina con una speranza. Che sia l’ultimo video, “perché vorrebbe dire che tutto ha avuto un lieto fine e che tutto questo lo farete vedere ai vostri figli, ai quali dovete dire solo una cosa: che avete lavorato e state lavorando con persone fantastiche”. Conosco Igor, rsu aziendale, un uomo che non si vergogna di piangere: “Quando pensate che la nostra lotta non sia servita a niente sbagliate. Questo presidio finirà solo quando avremo ottenuto ciò che vogliamo. Sono orgoglioso di far parte di questo gruppo”. Sono loro la Berco.
Ora che la loro lotta è finita, che in un modo o nell’altro hanno vinto, a me è rimasta la bandiera. “La Berco siamo noi” è rimasta appesa alla finestra della mia redazione. Ho ricevuto critiche. Non è segno di obiettività. Specialmente in corso di trattativa. Ho risposto che ci sono momenti in cui si può stare da una parte sola.
Se in mano non hai una bandiera ma una penna, la devi reggere con la testa e anche con il cuore. Cervantes diceva che “una penna senza anima è letame”. Io nella vicenda Berco sto da una parte sola.
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Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Desidero esprimere la mia totale solidarietà al Presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, professionista di comprovata competenza e integrità, recentemente bersaglio di un attacco inaccettabile da parte del Senatore Zaffini. Non dovrebbe essere necessario ricordare che la Fondazione GIMBE svolge un ruolo essenziale nel garantire analisi indipendenti e basate su evidenze scientifiche nel settore della sanità pubblica. Analisi che non solo aiutano l’opinione pubblica a comprendere la realtà dei fatti, ma forniscono strumenti indispensabili proprio a noi parlamentari per svolgere il nostro lavoro con cognizione di causa". Lo scrive in una nota la senatrice del Pd Susanna Camusso.
Ma ormai chiunque osi dissentire con l’operato del Governo Meloni – scienziati, magistrati, professori, giornalisti – viene puntualmente delegittimato. Peccato che sia lo stesso Presidente Zaffini ad ammettere che su sei decreti attuativi promessi per smaltire le liste d’attesa, sia stato approvato solo quello sul funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio. La colpa? Dipende dal giorno: molto spesso è dei governi precedenti – nonostante la destra governi da tre anni – altre volte, come in questo caso, delle Regioni - nonostante la stessa destra stia spingendo per l’Autonomia. Mentre milioni di italiani non possono curarsi e il SSN è al collasso, il governo continua a giocare a scaricabarile, additando nemici immaginari e scaricando le colpe su chiunque tranne che su sé stesso”.
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Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Rispondo a chi ogni tanto ci accusa di non avere una visione. Certo che ce l'abbiamo, anche bella forte. Magari a qualcuno non piace, non sarà quello che si aspettavano dal Pd di prima, ma oggi il Pd è autodeterminato in questa direzione". In mezzo al dibattito su 'meglio presentarsi uniti o divisi per colpire uniti', innescato dalla proposta di Dario Franceschini, Elly Schlein continua a insistere sui temi piuttosto che sui tatticismi. E rilancia la visione del 'suo' Pd a fronte di perplessità, più o meno esplicite, avanzate nei suoi confronti nell'ultimo periodo.
"La giustizia sociale, la giustizia climatica, il lavoro dignitoso, l'innovazione, i diritti delle persone", elenca la segretaria dal palco della prima iniziativa col Terzo Settore (previste altre 4 a febbraio) a Monterotondo. Come aveva fatto la settimana scorsa davanti all'ospedale di Vicenza per parlare di sanità o con gli operai a Marghera o quelli della crisi Beko su lavoro e politiche industriali.
Alla questione aperta da Franceschini, Schlein ha però dato una risposta l'altra sera a Piazza Pulita dopo giorni di silenzi, conditi da freddezza dell'inner circle della segretaria. Andare divisi per colpire uniti? "Io continuo a insistere, sono testardamente unitaria", la risposta di Schlein. Insomma, nonostante al momento non vi siano passi avanti nella costruzione dell'alleanza, lo schema della segretaria non cambia. Resta 'testardamente unitario'. "Ce lo chiede la gente", la tesi di Schlein. Il sondaggio mandato in onda durante la trasmissione pare darle ragione con quasi l'80% degli elettori di centrosinistra a invocare un accordo tra le opposizioni.
Un accordo che però non c'è e la proposta di Franceschini ha avuto anche l'effetto di evidenziare ulteriormente le resistenze rispetto a un'alleanza organica. Basta leggere l'elenco di quelli che hanno promosso o quanto meno si sono detti interessati alla possibilità di 'marciare divisi, per poi colpire uniti' dopo il voto: da Carlo Calenda a Giuseppe Conte. Chi invece non è sembra interessato, è Romano Prodi che in una lunga intervista avverte: "Senza un programma condiviso non è politica, ma solo cinismo. Si possono anche vincere le elezioni, ma si uccide il Paese”.
"Ma come si può fare questo discorso due anni e mezzo prima delle elezioni?", si chiede Prodi. "Potrebbe essere l'ultima spiaggia alla vigilia del voto. Ma se partiamo dall'idea che non ci si può mettere d'accordo su un programma, mi pare difficile vincere le elezioni". L'Ulivo non è più riproponibile, aggiunge, "quel che si può fare è cercare quattro grandi problemi sui quali trovare una visione comune: sanità, casa, scuola, lavoro".
Non basta solo criticare: "Politica è dire quel che serve all'Italia per la distribuzione del reddito, la sanità, la casa. Non dire solo che mancano le risorse, ma dire come vanno riformati gli ospedali, i medici di base, le case di comunità". Chi può riuscire a federare il campo delle opposizioni in ordine sparso? Per Prodi la risposta è aperta: "Il problema è vedere chi è in grado di federare. Quel ruolo si conquista, non è dato. La competizione è aperta per tutti, Schlein e altri".
Tel Aviv, 1 feb. (Adnkronos) - Il primo ministro Benjamin Netanyahu sta valutando la possibilità di nominare il ministro degli Affari strategici Ron Dermer a capo del team negoziale di Israele per i colloqui sugli ostaggi con Hamas, secondo le notizie di Channel 12. Subentrerebbe al ruolo del capo del Mossad David Barnea. Secondo quanto riferito, Barnea resterebbe nella squadra insieme al capo dello Shin Bet Ronen Bar e all'uomo chiave per la presa degli ostaggi delle Idf Nitzan Alon, con Dermer a supervisionare i colloqui.
I funzionari israeliani hanno dichiarato che Netanyahu riconosce che i negoziatori vogliono fare tutto il possibile per garantire che la seconda fase dell'accordo sulla restituzione degli ostaggi con Hamas abbia luogo, e il premier vuole mantenere aperte le sue opzioni. Secondo Channel 12, i funzionari del team di Netanyahu affermano che, poiché i colloqui principali si stanno svolgendo con l'amministrazione Trump, dovrebbero essere guidati da qualcuno con una formazione più diplomatica, che non nella sicurezza.
Sembra che l'inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, abbia detto a Netanyahu che preferirebbe lavorare con Dermer e che ha delle riserve sulla collaborazione con l'attuale team negoziale. Witkoff e Netanyahu hanno parlato oggi, ha riferito Channel 12, aggiungendo che il primo ministro israeliano terrà un incontro stasera per decidere se inviare una delegazione di medio livello in Qatar questa settimana. In risposta, l'ufficio di Netanyahu ha affermato che "i resoconti non sono veri" e che "le decisioni sui negoziati saranno prese solo dopo il ritorno del primo ministro dagli Stati Uniti".
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - “Ieri è stato l’ultimo giorno di lavoro di dipendenti e dirigenti Rai a viale Mazzini. Lo storico palazzo, simbolo del Servizio Pubblico, che dagli anni 60 rappresenta la Rai, chiuderà per essere interessato da importanti ed ampi lavori di ristrutturazione". Lo dichiarano i componenti di Fratelli d’Italia della Commissione Vigilanza Rai.
"Interventi che consentiranno alla Rai di usufruire di una sede moderna, digitale e all’avanguardia, capace così di confrontarsi con un mercato televisivo sempre più competitivo. È un merito di questa dirigenza che oltre a garantire un sempre più ampio pluralismo, così come si pretende dal Servizio pubblico, un’offerta e una qualità nella programmazione, adesso garantirà alla Rai anche strutture di prim’ordine. Infatti, la sede di viale Mazzini si affiancherà al nuovo centro di produzione a Milano che sarà uno dei più avanzati in Europa. Al contempo va rivolto un vivo ringraziamento ai dipendenti Rai, che stanno affrontando con grande impegno e dedizione questo significativo momento di passaggio, che servirà a costruire il Servizio pubblico del futuro”.
Ramallah, 1 feb. (Adnkronos) - Le forze israeliane hanno arrestato due giornalisti palestinesi e sequestrato la loro attrezzatura nella città di Beit Ummar, a nord di Hebron, in Cisgiordania. Lo riporta l'agenzia di stampa palestinese Wafa, citando il giornalista Ihab al-Alami, che ha riferito, dopo essere stato rilasciato, che "lui e il suo collega, Nidal al-Natsheh, sono stati arrestati dai soldati israeliani mentre documentavano i danni su terreni di proprietà palestinese vicino all'insediamento israeliano illegale di Karmei Tzur". I soldati hanno sequestrato tre telecamere prima di costringerli ad abbandonare la zona, ha aggiunto il reporter.
Roma, 1 feb. (Adnkronos) - "Oggi a Roma si è svolta la Direzione Nazionale di Fratelli d'Italia, un momento di confronto interno al partito in vista del giro di boa della metà legislatura. Non si è trattato, evidentemente, di una seduta del Consiglio dei Ministri, un dettaglio che i deputati di Italia Viva, cui resta solo la polemica, potrebbero facilmente cogliere solo sfogliando un qualsiasi manuale di diritto costituzionale". Così Antonio Baldelli, deputato di Fratelli d'Italia, risponde alle polemiche sollevate da Italia Viva sull'assenza del Presidente del Consiglio all'assemblea di FdI e sulla presenza del capo della segreteria politica, Arianna Meloni.