Io ho conosciuto uomini straordinari. Uomini e donne. Tutti in una volta. Prima di quel venerdì notte li leggevo. Leggevo quello che altri – politici e sindacalisti – raccontavano al posto loro. Poi ho voluto conoscerli e sentire le loro voci.
Da tre giorni e tre notti stavano presidiando la loro fabbrica. La loro fabbrica è in via Primo Maggio. Giornata simbolo del lavoro. La loro fabbrica è il simbolo del lavoro nel loro paese, Copparo. Per un secolo, da quando nel 1918 “tre signori del posto decidono di avviare un’officina meccanica nel centrale Viale Carducci”, la Berco è stata il loro Primo Maggio. Poi, d’improvviso, ma non tanto, scoprono che la Berco non li vuole più. Non tutti, ma più di 400 ora sono di troppo. Ora sono esuberi.
Nel 2008, quando iniziò la cassa integrazione, prima ordinaria e poi speciale, erano 2500. Ora, dopo cinque anni di scioperi, manifestazioni, disillusioni, sono rimasti meno di duemila. Qual è il numero giusto? Io intendevo i dipendenti attuali. “Non c’è un numero giusto, o tutti o nessuno”. Pensavano volessi sapere la cifra degli esuberi. E la loro risposta sembrava un verso di Brecht
Nessuno o tutti – o tutti o niente. Non si può salvarsi da sé. O i fucili – o le catene. Nessuno o tutti o tutto o niente
Ora non ci sono tutti al presidio. “Altri lottano da casa, dalla tastiera del computer” ghigna Michele. C’è la diffidenza iniziale verso chi in mano ha una penna e non una bandiera. Chi ha una penna e non una bandiera non viene da cinque anni di sacrifici, di stipendio ridotto, di viaggi estenuanti in Germania per vedere negli occhi i manager della Thyssenkrupp, coloro che hanno deciso che più di 400 bandiere sono troppe. “Ora dobbiamo pagare noi per le loro scelte sbagliate”. È vero, le linee produttive in Usa e Brasile sono state un fallimento. Anche il ciclo continuo inserito nella Berco di Copparo lo è stato. E ha portato in pancia alla fabbrica 300 persone in più. Eppure loro, gli operai, lo avevano detto con un referendum interno che quell’operazione non serviva. Ma “ora paghiamo noi”.
Al presidio ci sono donne e bambini. C’è un calcino, qualcuno rincorre un pallone. Ci sono le carte da gioco. “Se giocano non si accorgono quando scendono le lacrime sul viso dei loro genitori”. Molti dei loro genitori si sono conosciuti lì, in fabbrica. Altri si sono sposati perché uno di loro è stato assunto. Se lo ricorda Margherita quel 3 gennaio del 1994. “Avevo 26 anni e a Michele arrivò la notizia. Il futuro per noi era spianato. Ricordo che andammo in banca a chiedere il mutuo. Io sono dipendente statale, lui lavora in Berco. Ci chiesero semplicemente ‘quanto vi serve’”. Poi nel 2008 iniziò la crisi. La prima cosa che fece Michele fu prendere un diploma di pizzaiolo. Dal 2008 i cassetti delle pizzerie dei dintorni sono pieni di curricula di dipendenti Berco.
Margherita mi mostra le bandiere che sventolano all’entrata. Il giorno prima c’era quella della Thyssen. Ora c’è la loro. Bianca con la scritta rossa, “La Berco siamo noi”. La si vede in ogni balcone di Copparo e dei paesi vicini. “Noi”. Per essere uno di loro devi meritartelo. Una penna non basta. E nemmeno basta la sportina di cellulari con la quale l’amministratore delegato Lucia Morselli si recava in mensa. Lei, insieme a Franco Tatò, è la nuova guardia chiamata dalla Germania per tagliare le teste. “Quando lei si siede il tavolo si svuota. Andiamo a metterci altrove, lontano”. Non ho nulla contro la Morselli. Fa, ha fatto, il suo mestiere. Rappresenta l’azienda. Ma non sarà mai una di loro. Come non lo sono e non lo saranno i quadri e dirigenti ‘pizzicati’ nella “saletta Berco” di un noto ristornate di Copparo. Per aggirare il presidio si sono presi computer e valigetta e si sono infilati dove credevano di non essere visti. “Io ho pensato che sono persone senza dignità”. Chi lo pensa è in Berco da 25 anni, Roby. Roby a questa fabbrica ha dato “la mia infanzia, ho dato i miei sabati e le mie domeniche. Io ho due figli e una moglie e in famiglia lavoro solo io”. No, quei quadri e dirigenti non saranno mai dei loro.
Lo sono diventati invece i ragazzi del reparto 9/8. “Prima credevano che tutto gli fosse dovuto, vivevano spensierati, si sputtanavano i soldi come dei cazzoni”. Poi è arrivato il 2008 “e le certezze attorno a loro sono crollate – racconta Cimino -. Hanno imparato la parola “esuberi”, hanno acquistato coscienza e hanno incominciato a credere nella nostra lotta. Ora sono i primi a portarla avanti. I primi a guidare i cortei. I primi a incoraggiare noi ‘vecchi’”.
Lotta, si parla di lotta. È lottare dover risparmiare per comprare un paio di scarpe al proprio figlio. È lottare non riuscire a pagare la rata del mutuo. “Attento però – avverte Cimino -, la nostra lotta è sempre stata pacifica, nonostante la situazione critica. Perché la violenza non porta a niente. L’unica violenza che ci permettiamo è quella di alzare la voce”. Ancora Brecht
L’unica usurpazione che concepisco è quella della dolce violenza che la ragione usa agli uomini
Conosco altri “noi”. Conosco Antonio, delegato sindacale, che organizza la spesa. L’aiutano in tanti. Le pizzerie da asporto portano le cene. Spesso gratis. Le aziende del territorio fanno a gara per fornire gazebo, acqua, pane, paste e caffè. Conosco Bubu, al quale oggi vorrei ricordare che aveva ragione a essere ottimista e che ora il sindaco deve offrire da bere a tutti per festeggiare. Conosco Alfredino, che è ormai in pensione ma i suoi compagni no. Conosco Diego, che proietta un video sulla storia della loro lotta. Il filmato termina con una speranza. Che sia l’ultimo video, “perché vorrebbe dire che tutto ha avuto un lieto fine e che tutto questo lo farete vedere ai vostri figli, ai quali dovete dire solo una cosa: che avete lavorato e state lavorando con persone fantastiche”. Conosco Igor, rsu aziendale, un uomo che non si vergogna di piangere: “Quando pensate che la nostra lotta non sia servita a niente sbagliate. Questo presidio finirà solo quando avremo ottenuto ciò che vogliamo. Sono orgoglioso di far parte di questo gruppo”. Sono loro la Berco.
Ora che la loro lotta è finita, che in un modo o nell’altro hanno vinto, a me è rimasta la bandiera. “La Berco siamo noi” è rimasta appesa alla finestra della mia redazione. Ho ricevuto critiche. Non è segno di obiettività. Specialmente in corso di trattativa. Ho risposto che ci sono momenti in cui si può stare da una parte sola.
Se in mano non hai una bandiera ma una penna, la devi reggere con la testa e anche con il cuore. Cervantes diceva che “una penna senza anima è letame”. Io nella vicenda Berco sto da una parte sola.
Sbaglio? Allora voglio iniziare a preparare già il mio prossimo errore.
Marco Zavagli
Giornalista
Emilia Romagna - 6 Agosto 2013
Berco, da una parte sola della fabbrica
Io ho conosciuto uomini straordinari. Uomini e donne. Tutti in una volta. Prima di quel venerdì notte li leggevo. Leggevo quello che altri – politici e sindacalisti – raccontavano al posto loro. Poi ho voluto conoscerli e sentire le loro voci.
Da tre giorni e tre notti stavano presidiando la loro fabbrica. La loro fabbrica è in via Primo Maggio. Giornata simbolo del lavoro. La loro fabbrica è il simbolo del lavoro nel loro paese, Copparo. Per un secolo, da quando nel 1918 “tre signori del posto decidono di avviare un’officina meccanica nel centrale Viale Carducci”, la Berco è stata il loro Primo Maggio. Poi, d’improvviso, ma non tanto, scoprono che la Berco non li vuole più. Non tutti, ma più di 400 ora sono di troppo. Ora sono esuberi.
Nel 2008, quando iniziò la cassa integrazione, prima ordinaria e poi speciale, erano 2500. Ora, dopo cinque anni di scioperi, manifestazioni, disillusioni, sono rimasti meno di duemila. Qual è il numero giusto? Io intendevo i dipendenti attuali. “Non c’è un numero giusto, o tutti o nessuno”. Pensavano volessi sapere la cifra degli esuberi. E la loro risposta sembrava un verso di Brecht
Nessuno o tutti – o tutti o niente. Non si può salvarsi da sé. O i fucili – o le catene. Nessuno o tutti o tutto o niente
Ora non ci sono tutti al presidio. “Altri lottano da casa, dalla tastiera del computer” ghigna Michele. C’è la diffidenza iniziale verso chi in mano ha una penna e non una bandiera. Chi ha una penna e non una bandiera non viene da cinque anni di sacrifici, di stipendio ridotto, di viaggi estenuanti in Germania per vedere negli occhi i manager della Thyssenkrupp, coloro che hanno deciso che più di 400 bandiere sono troppe. “Ora dobbiamo pagare noi per le loro scelte sbagliate”. È vero, le linee produttive in Usa e Brasile sono state un fallimento. Anche il ciclo continuo inserito nella Berco di Copparo lo è stato. E ha portato in pancia alla fabbrica 300 persone in più. Eppure loro, gli operai, lo avevano detto con un referendum interno che quell’operazione non serviva. Ma “ora paghiamo noi”.
Al presidio ci sono donne e bambini. C’è un calcino, qualcuno rincorre un pallone. Ci sono le carte da gioco. “Se giocano non si accorgono quando scendono le lacrime sul viso dei loro genitori”. Molti dei loro genitori si sono conosciuti lì, in fabbrica. Altri si sono sposati perché uno di loro è stato assunto. Se lo ricorda Margherita quel 3 gennaio del 1994. “Avevo 26 anni e a Michele arrivò la notizia. Il futuro per noi era spianato. Ricordo che andammo in banca a chiedere il mutuo. Io sono dipendente statale, lui lavora in Berco. Ci chiesero semplicemente ‘quanto vi serve’”. Poi nel 2008 iniziò la crisi. La prima cosa che fece Michele fu prendere un diploma di pizzaiolo. Dal 2008 i cassetti delle pizzerie dei dintorni sono pieni di curricula di dipendenti Berco.
Margherita mi mostra le bandiere che sventolano all’entrata. Il giorno prima c’era quella della Thyssen. Ora c’è la loro. Bianca con la scritta rossa, “La Berco siamo noi”. La si vede in ogni balcone di Copparo e dei paesi vicini. “Noi”. Per essere uno di loro devi meritartelo. Una penna non basta. E nemmeno basta la sportina di cellulari con la quale l’amministratore delegato Lucia Morselli si recava in mensa. Lei, insieme a Franco Tatò, è la nuova guardia chiamata dalla Germania per tagliare le teste. “Quando lei si siede il tavolo si svuota. Andiamo a metterci altrove, lontano”. Non ho nulla contro la Morselli. Fa, ha fatto, il suo mestiere. Rappresenta l’azienda. Ma non sarà mai una di loro. Come non lo sono e non lo saranno i quadri e dirigenti ‘pizzicati’ nella “saletta Berco” di un noto ristornate di Copparo. Per aggirare il presidio si sono presi computer e valigetta e si sono infilati dove credevano di non essere visti. “Io ho pensato che sono persone senza dignità”. Chi lo pensa è in Berco da 25 anni, Roby. Roby a questa fabbrica ha dato “la mia infanzia, ho dato i miei sabati e le mie domeniche. Io ho due figli e una moglie e in famiglia lavoro solo io”. No, quei quadri e dirigenti non saranno mai dei loro.
Lo sono diventati invece i ragazzi del reparto 9/8. “Prima credevano che tutto gli fosse dovuto, vivevano spensierati, si sputtanavano i soldi come dei cazzoni”. Poi è arrivato il 2008 “e le certezze attorno a loro sono crollate – racconta Cimino -. Hanno imparato la parola “esuberi”, hanno acquistato coscienza e hanno incominciato a credere nella nostra lotta. Ora sono i primi a portarla avanti. I primi a guidare i cortei. I primi a incoraggiare noi ‘vecchi’”.
Lotta, si parla di lotta. È lottare dover risparmiare per comprare un paio di scarpe al proprio figlio. È lottare non riuscire a pagare la rata del mutuo. “Attento però – avverte Cimino -, la nostra lotta è sempre stata pacifica, nonostante la situazione critica. Perché la violenza non porta a niente. L’unica violenza che ci permettiamo è quella di alzare la voce”. Ancora Brecht
L’unica usurpazione che concepisco è quella della dolce violenza che la ragione usa agli uomini
Conosco altri “noi”. Conosco Antonio, delegato sindacale, che organizza la spesa. L’aiutano in tanti. Le pizzerie da asporto portano le cene. Spesso gratis. Le aziende del territorio fanno a gara per fornire gazebo, acqua, pane, paste e caffè. Conosco Bubu, al quale oggi vorrei ricordare che aveva ragione a essere ottimista e che ora il sindaco deve offrire da bere a tutti per festeggiare. Conosco Alfredino, che è ormai in pensione ma i suoi compagni no. Conosco Diego, che proietta un video sulla storia della loro lotta. Il filmato termina con una speranza. Che sia l’ultimo video, “perché vorrebbe dire che tutto ha avuto un lieto fine e che tutto questo lo farete vedere ai vostri figli, ai quali dovete dire solo una cosa: che avete lavorato e state lavorando con persone fantastiche”. Conosco Igor, rsu aziendale, un uomo che non si vergogna di piangere: “Quando pensate che la nostra lotta non sia servita a niente sbagliate. Questo presidio finirà solo quando avremo ottenuto ciò che vogliamo. Sono orgoglioso di far parte di questo gruppo”. Sono loro la Berco.
Ora che la loro lotta è finita, che in un modo o nell’altro hanno vinto, a me è rimasta la bandiera. “La Berco siamo noi” è rimasta appesa alla finestra della mia redazione. Ho ricevuto critiche. Non è segno di obiettività. Specialmente in corso di trattativa. Ho risposto che ci sono momenti in cui si può stare da una parte sola.
Se in mano non hai una bandiera ma una penna, la devi reggere con la testa e anche con il cuore. Cervantes diceva che “una penna senza anima è letame”. Io nella vicenda Berco sto da una parte sola.
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Per la settimana dal 3 al 7 febbraio al Senato era già previsto che si trattasse di un periodo riservato ai lavori delle Commissioni. A Montecitorio all'Odg da lunedì 3 alle 15 è iscritta la discussione generale sul Dl Cultura (da inviare al Senato, in scadenza il 25 febbraio). Da martedì l'aula della Camera ha in programma, a seguire, l'esame della Pdl sulla sicurezza nei luoghi di lavoro; le mozioni (politiche industriali e rapporto Draghi); la Pdl sulla riduzione dell'orario di lavoro; la Pdl sui Nuovi giochi della gioventù (approvata dal Senato) e il Ddl sull'Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma.
Genova, 31 gen. - (Adnkronos) - "Il cantiere è già partito, questa è una pietra miliare". Così il presidente dell'Istituto Giannina Gaslini di Genova Edoardo Garrone, alla posa della prima del nuovo ospedale pediatrico.
"Questo investimento era necessario perché una struttura a venti padiglioni, pensata nel 1930, non è più adeguata alla medicina moderna. Il Padiglione Zero dovrà essere consegnato entro la fine dell'anno prossimo, per impegno del costruttore, poi ci saranno le altre due fasi della costruzione dei padiglioni 1 e 2, con bassa intensità di cura e laboratori, e l'opera complessivamente sarà completata nel 2029. Ma l'alta intensità di cura sarà funzionante dai primi mesi del 2027".
La posa della prima pietra è arrivata oggi, in ritardo di circa un anno dal cronoprogramma. "La cerimonia si programma in funzione della disponibilità degli ospiti, è un momento simbolico. I lavori di demolizione sono già iniziati, le aree del Padiglione Zero sono già utilizzabili. Qualche ritardo e normale che ci sia, l'opera sicuramente verrà consegnata entro fine 2026". Per quanto riguarda il personale sanitario che lavorerà nei nuovi padiglioni, prematuro parlare di assunzioni: "Prima arriviamo a realizzare l'opera, poi ovvio che, nel momento in cui le strutture sono diverse, dovrà essere adeguata l'organizzazione. Più che nuove assunzioni, bisognerà fare un adeguamento organizzativo".
Roma, 30 gen. (Adnkronos) - A un anno dalla Cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Milano Cortina 2026, un nuovo studio di Deloitte ha stimato le possibilità di guadagno delle famiglie italiane che decidessero di condividere i propri immobili su Airbnb durante le competizioni. L’analisi contiene anche alcune previsioni sull'impatto positivo che l’ospitalità in casa potrà avere sull'economia italiana, evidenziando come la piattaforma consentirà a un maggior numero di ospiti di soggiornare vicino ai luoghi di gara.
Più di 2 milioni di persone provenienti da tutto il mondo sono attese per Milano-Cortina 2026, che saranno le Olimpiadi invernali più diffuse di sempre. Dall’analisi emerge come l’offerta di Airbnb - dispersa e meno concentrata rispetto alla ricettività tradizionale - faciliti i pernottamenti in prossimità delle località di gara: mentre gli hotel sono solitamente concentrati nelle mete turistiche più note, Airbnb sarà utile a un maggior numero di comunità - tra cui molti paesi di montagna con pochissime o nessuna struttura ricettiva presente - nel far fronte all'aumento della domanda di alloggi attesa per i Giochi. In assenza di Airbnb, Deloitte stima che i luoghi dei Giochi si troverebbero ad affrontare un gap giornaliero di 52.000 posti letto.
Lo studio stima che l’host tipico guadagnerà circa 2.400 euro su Airbnb durante i Giochi. In base all’indagine, i soggiorni genereranno a livello nazionale un impatto economico totale, incluso il guadagno degli host e la spesa degli ospiti, stimato in 154 milioni di euro. Si prevede che gli ospiti spenderanno in media 150 euro al giorno - di cui la metà per cibo e bevande e quasi un terzo per shopping e intrattenimento - che contribuiranno a sostenere gli esercizi commerciali locali nelle tre regioni ospitanti: Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige.
Con la vendita dei biglietti che prenderà il via la prossima settimana, Airbnb - che conta su annunci in oltre l'85% dei Comuni delle tre regioni ospitanti i Giochi - ha presentato il sito airbnb.com/milanocortina2026, dove i fortunati che riusciranno ad assicurarsi i biglietti potranno individuare soluzioni di alloggio convenienti e disponibili a breve distanza dai luoghi di gara. Deloitte stima che complessivamente il bacino potenziale di posti letto disponibili su Airbnb in questi territori, considerata l’area vasta e la limitata offerta alberghiera, sia quantificabile in 70.000 posti letto.
Deloitte prevede che i Giochi Olimpici Invernali contribuiranno a far conoscere le città e i paesi delle regioni coinvolte a livello mondiale e a creare una domanda turistica duratura. Nei 18 mesi successivi alle Olimpiadi e Paralimpiadi, lo studio stima che l'impatto economico totale dei soggiorni nelle regioni ospitanti sarà di circa 140-160 milioni di euro, potenzialmente eccedente a quello generato durante i Giochi Olimpici Invernali. I soggiorni legati ai Giochi genereranno oltre 33 milioni di euro di imposte e tasse, che andranno a contribuire alle finanze locali di numerose località montane, a sostegno di investimenti in servizi e infrastrutture, digitalizzazione e contrasto ai cambiamenti climatici.
In qualità di Worldwide partner dei Giochi Olimpici e Paralimpici, Airbnb è inoltre impegnata in programmi pluriennali con l’obiettivo di supportare gli atleti nella pratica sportiva. In collaborazione con il Comitato Olimpico Internazionale e il Comitato Paralimpico Internazionale, Airbnb mette a disposizione fondi di viaggio ad atleti olimpici e paralimpici selezionati, per sostenere il loro percorso verso Milano Cortina 2026.
Due i programmi: Airbnb Athlete Travel Grant (Un fondo per viaggi di 2.000 dollari destinato a 1.000 atleti, da utilizzare per il soggiorno durante i propri viaggi per allenamenti e gare); Airbnb500 (un fondo per viaggi di 500 dollari a onorare gli sforzi e i risultati degli atleti olimpici e paralimpici, da sfruttare per rilassarsi e ricaricare le batterie ovunque nel mondo).
Da quando sono stati attivati, nel 2021, i due fondi hanno complessivamente stanziato oltre 30 milioni di dollari, a sostegno di una comunità di 30.000 atleti che ha prenotato complessivamente 20.000 soggiorni in oltre 100 Paesi al mondo. Le candidature per l'edizione 2025 dell'Airbnb Athlete Travel Grant sono attualmente aperte a tutti gli atleti idonei su athlete365.org/AirbnbAthleteTravelGrant fino a venerdì 14 febbraio 2025, ore 08:59 Cet. "A un anno dalla Cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali e con la vendita dei biglietti alle porte, per gli italiani è il momento ideale per condividere la propria casa su Airbnb e ricavarne un’entrata", sottolinea Emmanuel Marill, Regional Director di Airbnb. "Milano Cortina 2026 è stata pensata per essere l’edizione delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali più diffusa di sempre, e includerà località di montagna dove l’offerta alberghiera è limitata o inesistente. Airbnb potrà quindi rivelarsi una risorsa per i visitatori che vorranno soggiornare vicino alle competizioni sportive e per famiglie, imprese e comunità locali che solitamente non beneficiano di una forte domanda turistica, ma potranno invece contare su un reddito extra".
Roma, 31 gen. (Adnkronos) - "Si tratta di capire perché le informazioni sul libico non abbiano raggiunto il ministro Nordio. Perché girava un personaggio del genere in Italia e il ministro della Giustizia non lo sapeva. Questo mi sembra un punto importante. Abbiamo deciso di scegliere tra la Corte penale internazionale e la Libia e si è scelto la Libia. La Cpi non è una entità che si pone in modo arbitrario, è un organismo che abbiamo voluto, costruito, implementato. Quando ti arriva un alert su un personaggio devi rispondere, da questo punto di vista non è un buon argomento il fatto che girasse in Europa da 12 giorni, se passa un latitante internazionale nel tuo Paese non puoi dire che non lo prendi perché non lo hanno preso gli altri. La sentenza della Corte d'Appello di Roma sulla scarcerazione mi lascia abbastanza perplesso. Doveva stare in carcere perché sosteniamo il lavoro della Cpi, lo facciamo quando ci dicono di sequestrare i beni degli oligarchi o che Putin non può girare per l'Europa, dovremmo farlo sempre". Lo ha detto l'ex ministro della Giustizia ed esponente Pd, Andrea Orlando, ad Un Giorno da Pecora su Rai Radio1.
"Il Governo ha scelto di metterlo su un volo di Stato e rimandarlo in Libia. Il Ministro Piantedosi ha detto che quella scelta corrisponde all'interesse della sicurezza nazionale del Paese. Secondo me l'attenzione va rivolta a questo punto - sottolinea l'ex ministro dem - che cosa si intende per sicurezza nazionale del Paese, quali sono gli interessi che questa scelta vuole tutelare? Qui c'è una anomalia perché se il Governo ritiene che ci siano cose che non si possono dire avrebbe apposto il segreto di Stato. Non lo ha fatto, hanno pensato di cavarsela in questo modo e a questo punto il Governo è tenuto a dire quali sono le ragioni di sicurezza che hanno spinto a imbarcare su un volo di Stato un ricercato internazionale e riportarlo in Libia. Ho sentito che si fa riferimento a rimpatri di altri criminali che però vengono portati in Paesi, appunto, dove vengono messi in carcere e non accolti con fanfare. La Meloni ha usato la vicenda giudiziaria per coprire l'altra, sta facendo una specie di guerra frontale con la magistratura, si discute di questo e non del perché questo personaggio è stato mandato con un volo di Stato in Libia e di che cosa ha detto Piantedosi".
"Spesso il Governo viene raggiunto da avvisi di garanzia, a volte anche fantasiosi. Io ne ho ricevuti alcuni, ad esempio sul Greenpass ci fu un Gip di Trieste che disse che con un decreto avevamo commesso un reato e poi gli è stato fatto notare che con un atto avente forza di legge questo non era possibile. Molto tempo fa fui raggiunto da un avviso di garanzia - ricorda Orlando - perché con un decreto interministeriale, da Ministro dell'Ambiente, avevo impedito la semina degli ogm. Si può scegliere, se si pensa che la cosa si spenga, di tenerla bassa come abbiamo fatto noi perché si ritiene che la procura stia facendo i suoi accertamenti, oppure come la Meloni prendere la palla al balzo, fare un video e spostare l'attenzione su questo per non parlare della vicenda".