Conquistare un seggio al Senato australiano e costringere l’amministrazione Obama a far cadere le accuse contro di lui. E’ questa la strategia di Julian Assange, il 42enne fondatore di WikiLeaks, da più di un anno rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per sfuggire una richiesta di estradizione della Svezia, che lo accusa di violenza sessuale. Il piano di Assange non ha però al momento molte possibilità di realizzarsi. L’amministrazione Usa, come ha mostrato molto chiaramente durante il processo a Bradley Manning, punta a incarcerare e incriminare Assange. Anzi, la durezza delle richieste contro Manning potrebbero aver avuto come obiettivo proprio lui: Julian Assange.
Il prossimo 7 settembre l’Australia va alle urne e il WikiLeaks Party di Assange si presenta in tre Stati: Victoria, New South Wales e Western Australia. Le previsioni per la forza politica del gruppo anti-segretezza sono particolarmente rosee. Lo scorso aprile un sondaggio di UMR Research mostrava che il 26% degli australiani stava considerando l’ipotesi di votare il partito di Assange. Gli esperti calcolano che un seggio al Senato può essere conquistato con circa il 17% dei consensi. Dunque il fondatore di WikiLeaks, che sta portando avanti la sua campagna elettorale principalmente su Skype e che ha egualmente criticato i laburisti del premier Kevin Rudd e i conservatori di Tony Abbott, ha buone possibilità di conquistare un seggio.
“Quando accendi una luce luminosa in una stanza, gli scarafaggi fuggono precipitosamente. E’ quello che abbiamo bisogno di fare a Canberra”, ha detto Assange, parlando della trasparenza che, a suo parere, deve segnare Parlamento e governo della capitale australiana. Con riferimento ai sondaggi che lo danno molto vicino all’entrata al Senato, Assange ha spiegato di essere “ovviamente molto orgoglioso, anche se si tratta di un chiaro segnale della percezione che gli australiani hanno della loro politica”. In alcune interviste – con Nine Network e Ten Network – oltre che in molti comizi che Assange tiene con Skype dalla sua stanza nell’ambasciata ecuadoriana, il fondatore di WikiLeaks ha spiegato anche che l’elezione al Senato australiano servirà a moderare il desiderio degli Stati Uniti di farlo finire dietro le sbarre. “Una volta eletto, il Dipartimento di Stato preferirà non rischiare uno scontro diplomatico e mi lascerà stare”.
La strategia di Assange rischia però di non fare i conti con la volontà statunitense di arrivare a condanne esemplari per dissuadere future fughe di notizie. La cosa è apparsa chiara proprio al recente processo contro Bradley Manning, il soldato sollevato dall’accusa di aver “aiutato il nemico”, con il suo passaggio di documenti riservati a Wikileaks, ma comunque condannato per aver violato l’“Espionage Act” (le udienze per decidere la pena che Manning dovrà scontare, e che potrebbe arrivare sino a 136 anni, sono in corso in questi giorni). Durante tutto il processo, le autorità militari hanno dipinto Assange come “un anarchico dell’informazione”, che ha incoraggiato Manning a diffondere migliaia di pagine di documenti diplomatici e militari riservati. “Quello che il governo americano ha cercato costantemente di fare, nel processo a Mannig, è dipingere Assange come un co-cospiratore”, ha detto Michael Ratner, l’avvocato americano di Assange. “E questo è un pessimo segno per Assange”.
Molti esperti legali e attivisti per i diritti civili – tra questi Trevor Timm, direttore esecutivo della “Freedom of the Press Foundation” – sono d’accordo sul fatto che il processo Manning abbia portato Assange “un passo più vicino alla persecuzione”. Quindi, all’eventuale richiesta di estradizione alla Svezia, nel caso Stoccolma riuscisse a catturare Assange. Durante il processo Manning, l’accusa ha per esempio cercato in ogni modo di dipingere WikiLeaks come un’organizzazione militante e non dedita alla libertà di informazione, citando il ruolo che il gruppo di Assange ha avuto nel trasferimento di Edward Snowden da Hong Kong a Mosca e nell’ottenimento dell’asilo temporaneo da parte della Russia. Escludere che WikiLeaks abbia agito in nome della libertà di stampa, ma piuttosto per sovvertire la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, servirà all’accusa nel caso di un processo contro Assange.
A prescindere dalla sorte dell’aspirante senatore australiano, quello che un po’ tutti gli attivisti e i legali avvertono e denunciano è il clima ormai sempre meno propizio alla rivelazione di segreti “scottanti”, che possano mettere in imbarazzo i governi – in questo caso il governo del Paese più importante al mondo. La condanna di Manning, possibilmente all’ergastolo, l’uso contro di lui dell’“Espionage Act” , il fatto che il giudice abbia completamente trascurato le motivazioni di denuncia delle atrocità della guerra che hanno condotto Manning a parlare, rendono sempre più difficile che nel futuro prossimo ci siano altri whistleblowers, altre talpe, pronti ad assumersi il rischio di rivelare verità spiacevoli. “Gli unici che lo faranno saranno quelli pronti a lanciarsi in una crociata personale”, ha detto Elizabeth Goitein del “Brennan Center for Justice”. Quindi, un numero sempre più ristretto e più soggetto a pressioni e persecuzioni dei governi.