Sugli attenti, trattenete il fiato, la ripresa sta arrivando. Ne dà notizia il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ultimo cantore dell’imminente uscita dalla crisi. Ultimo perché quando si entra in Parlamento o si sale al governo, insieme ai portaborse, viene fornito uno speciale paio di occhiali che permette di vedere il futuro con ottimismo, anche quando i fondamentali sotto gli occhi di tutti dicono il contrario e i più – sforniti delle apposite lenti – continuano a vedere nero. Su tutti, gli economisti non arruolati che si ostinano a dar retta ai dati ufficiali e a preoccuparsi per il record di disoccupazione, i continui cali degli ordinativi dell’industria, il segno negativo davanti al Pil per otto trimestri consecutivi. Per capire l’arcano bisogna andare oltre i lieti annunci e dare il giusto peso alla postilla che spesso li accompagna. Saccomanni la dice così: “Se dovessimo andare a elezioni anticipate – avverte il ministro – il progresso delle riforme sarebbe dannoso mentre se il governo durerà fino alla fine della presidenza europea sarà in grado di completarle e dar corso alla ripresa”. Due giorni dopo è Letta in persona a esplicitare il messaggio: “La ripresa appare finalmente all’orizzonte ma non ci sono alternative alla stabilità politica, a meno che non si voglia gettar via l’unica chance di agganciarla”.
Finalmente: abbiamo tirato la cinghia, la disoccupazione è alle stelle e la povertà mai così alta. Ma dopo anni di sacrifici, finalmente, vedremo i frutti. Qualche maligno guastafeste sostiene però che non sia così, che soltanto la paura di cadere del governo stia trasformando la crisi in ripresa, nulla più. E l’esperienza, a dire il vero, conforta il sospetto. Ogni volta che un premier italiano traballa, non si sa perché, vede di colpo la luce in fondo al tunnel: Berlusconi, Prodi, Monti e Letta hanno tutti giocato questa carta come stampella, facendo di un tema serissimo come la crisi strumento di propaganda e condizionamento politico. Tutti gli annunci, puntualmente smentiti, erano accompagnati da un monito sulla “necessaria stabilità”. La loro, naturalmente. Ecco quante volte ci hanno venduto una ripresa che sempre inizia e mai arriva.
Berlusconi e la ripresa à la carte
Andando a ritroso nel tempo si ricorderà il senso di Silvio Berlusconi per l’ottimismo. La prima uscita su l’imminente ripresa risale, niente meno, alla discesa in campo del 1994. Era il 4 giugno e Silvio Berlusconi, da Napoli, affermava solennemente che “i dati che emergono da alcune indagini, non estese a tutto il territorio nazionale, registrano che la ripresa è già cominciata”. E quindi l’immancabile postilla: “Il fatto stesso che oggi in Italia ci sia questo governo, con certe ricette e certe persone, ha di per sé dato fiducia ed entusiasmo agli imprenditori”. Berlusconi citava allora una cena con alcuni amici economisti – rimasti anonimi – dai quali erano arrivate imprecisate indicazioni in questo senso. Durante i suoi governi, del resto, Berlusconi ha negato più volte la crisi, fino al celeberrimo segnale dei “ristoranti pieni” del maggio 2011, con l’Italia a un passo dal baratro e l’Europa pronta a metterci alla berlina. Col fiuto dell’imprenditore, additando i soliti gufi del pessimismo che siedono a sinistra, ha anticipato il vento della ripresa più e più volte: nel 2002, nel 2005, nel 2009, nel 2010. Il leitmotiv era “non disturbate il manovratore, lasciateci lavorare”. Di anno in anno la ripresa viene però rinviata. Ancora nel 2010 il Cavaliere la vede all’orizzonte, alla vigilia di Natale si lancia in una spericolata previsione: “Ritengo che il 2011 sarà un anno di ripresa di cui già abbiamo iniziato a cogliere qualche segnale. L’Italia è al riparo da attacchi speculativi, ed è merito del governo che ha tenuto in ordine i conti pubblici (…) Se si fosse aperta una crisi di governo le conseguenze avrebbero potuto esser gravi, e per questo sentiamo il dovere di continuare a governare”. Si sa poi come è andata a finire: nell’autunno 2011 la ripresa annunciata non si è presentata e i mercati hanno invocato a suon di spread la defenestrazione del Cavaliere. Restano alle cronache autentiche perle. Nell’ottobre 2001, a un mese dall’attacco alle Torri Gemelle e all’esordio della guerra in Afghanistan, B. proclama la fine alla crisi generata dall’instabilità mondiale. Il leader di Forza Italia fa le sue previsioni (per fortuna) durante una riunione di partito che viene però seguita dalle agenzie che – inclementi – la riportano. Nessuno sapeva quanto sarebbe durata la bufera ma lui sì, poteva già dire che “siamo alla fine della fase iniziale del ciclo negativo e questo fa presumere che ci sarà un rimbalzo e un risultato economico positivo”. Il mondo, dodici anni dopo, ancora lo aspetta.
Monti e la ripresa (tecnica)
Nessuno si sottrae. Anche i super professori, in realtà, hanno vaticinato l’imminente uscita dalla crisi. E se lo dicono loro, che sono emersi dalle università blasonate per salvare l’Italia, non c’è motivo di dubitarne. A un passo dalla fine l’ex presidente Bocconi sorprende tutti: “Ho visto i dati appena diffusi dal Fondo Monetario e per quanto riguarda il 2012 ha rivisto al rialzo le stime diffuse ad ottobre sul Pil, da -2,3 a -2,1. Sebbene il dato sia negativo, dimostra che l’azione del governo per il consolidamento dell’economia prosegue e i dati del Pil del terzo trimestre sono migliori delle attese” (23/1/2013). Il crollo delle illusioni arriva puntuale con la nota Istat successiva che certifica per il IV trimestre un calo dello 0,9 sul precedente e del 2,7 rispetto a quello di un anno prima. Non era la prima volta che il fondatore di Scelta Civica cannava previsioni spargendo ai quattro venti profumo di ripresa. Alla vigilia della manovra di stabilità, ottobre 2012, Monti è atteso più d’ogni altro al consueto meeting di Cernobbio. E’ accolto come un salvatore in Patria ma la tensione a Villa D’Este è palpabile. Di li a qualche giorno il prof incontrerà i leader della sua “strana maggioranza”. Quale migliore occasione per incoraggiarli a non staccare la spina: “Alla ripresa – assicurava davanti alla platea degli imprenditori Coldiretti – mancano pochi mesi”. Sulla base di quali incontrovertibili segni non si saprà mai. Ma ecco il grande classico italiano: “Il paese – dice il premier – ha dimostrato capacità di affrontare provvedimenti restrittivi ma siamo nella fase in cui dobbiamo sforzarci di più perché nulla vada sprecato in termini di fiducia, toccando con mano benefici che non si vedono e malefici che per fortuna abbiamo sventati”. E poco importa se i primi non sono mai pervenuti, il messaggio è recapitato a Pd e Pdl. Abbiate fiducia nel professore, lui vede la luce. Qualche giorno dopo, incontrando le parti sociali che lo incalzano sui “segnali” di ripresa, il prof elaborerà un’interessante teoria sui segnali debolissimi: “Anche se la ripresa non si vede nei numeri, invito tutti a constatare che è dentro di noi. Adesso è alla portata del nostro Paese e credo che arriverà presto” (5/9/2012). Questa la spiegazione tecnica del perché la ripresa c’è ma non si vede, è nascosta dentro di noi.
Il centrosinistra e la fiducia in cambio della fiducia
Tra i professori della fiducia spicca anche Romano Prodi. Sono pagine di giornale ormai ingiallite ma buone per capire quanto sia bipartisan l’attrazione fatale verso la (falsa) ripresa. A febbraio del 2007 Prodi è costretto a chiedere la fiducia alle Camere dopo lo scivolone sull’Afghanistan che ha visto deflagrare la sua maggioranza. La ottiene al Senato ma non alla Camera. Ed è qui che il professore, il 3 marzo 2007, legge un discorso cruciale nel quale gioca la carta della ripresa per trovare sui banchi del centrodestra il puntello venuto a mancare a sinistra: “I dati dell’Istat – diceva allora Prodi – sono assolutamente confortanti. Il Pil all’1,9 per cento dimostra che c’è una crescita bilanciata che coinvolge tutto il paese. Non siamo ancora al grande slancio, ma possiamo favorirlo”. Da qui, la richiesta di collaborazione al centro destra: “Siamo divisi su molti punti ma dobbiamo avere l’obiettivo comune di consolidare la ripresa appena iniziata e non dispero che su alcuni punti si troverà un consenso più ampio della maggioranza”. Quel consenso non arriverà mai. E neppure il “consolidamento della ripresa”. Pierluigi Bersani la ripresa non la vedrà mai, pur avendo sponsorizzato un incauto “Festival della ripresa” a Pisa nel 2009: prima era colpa di Berlusconi, poi dei tagli recessivi di Monti. Causa incarico fallito non potrà dare vita a un governo e dunque salire sulla poltrona da cui si vede improvvisa la luce. L’ottimismo a sinistra si chiude idealmente con Enrico Letta. Anche lui lo sparge senza fornire indicatori precisi e sempre subordinandone gli effetti alla sopravvivenza del proprio governo. Ma incalzato sulla mancanza di dati, dal suo entourage arriva il colpo di genio, l’ammissione di una ripresa che c’è ma non si può vedere: “Sarà una ripresa di crescita senza lavoro” è la formula (Ansa, 9/8/2013). Ed ecco tappata la bocca a chi, sommessamente, fa notare la stonatura tra l’ottimismo del governo e l’ennesimo record di disoccupazione (12,2% di senza lavoro). Tre milioni e passa di italiani senza lavoro dovranno accontentarsi e continuare ad avere, ma soprattutto dare, fiducia. La ripresa, in fondo, è sempre in arrivo.