Sugli attenti, trattenete il fiato, la ripresa sta arrivando. Ne dà notizia il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ultimo cantore dell’imminente uscita dalla crisi. Ultimo perché quando si entra in Parlamento o si sale al governo, insieme ai portaborse, viene fornito uno speciale paio di occhiali che permette di vedere il futuro con ottimismo, anche quando i fondamentali sotto gli occhi di tutti dicono il contrario e i più – sforniti delle apposite lenti – continuano a vedere nero. Su tutti, gli economisti non arruolati che si ostinano a dar retta ai dati ufficiali e a preoccuparsi per il record di disoccupazione, i continui cali degli ordinativi dell’industria, il segno negativo davanti al Pil per otto trimestri consecutivi. Per capire l’arcano bisogna andare oltre i lieti annunci e dare il giusto peso alla postilla che spesso li accompagna. Saccomanni la dice così: “Se dovessimo andare a elezioni anticipate – avverte il ministro – il progresso delle riforme sarebbe dannoso mentre se il governo durerà fino alla fine della presidenza europea sarà in grado di completarle e dar corso alla ripresa”. Due giorni dopo è Letta in persona a esplicitare il messaggio: “La ripresa appare finalmente all’orizzonte ma non ci sono alternative alla stabilità politica, a meno che non si voglia gettar via l’unica chance di agganciarla”.
Finalmente: abbiamo tirato la cinghia, la disoccupazione è alle stelle e la povertà mai così alta. Ma dopo anni di sacrifici, finalmente, vedremo i frutti. Qualche maligno guastafeste sostiene però che non sia così, che soltanto la paura di cadere del governo stia trasformando la crisi in ripresa, nulla più. E l’esperienza, a dire il vero, conforta il sospetto. Ogni volta che un premier italiano traballa, non si sa perché, vede di colpo la luce in fondo al tunnel: Berlusconi, Prodi, Monti e Letta hanno tutti giocato questa carta come stampella, facendo di un tema serissimo come la crisi strumento di propaganda e condizionamento politico. Tutti gli annunci, puntualmente smentiti, erano accompagnati da un monito sulla “necessaria stabilità”. La loro, naturalmente. Ecco quante volte ci hanno venduto una ripresa che sempre inizia e mai arriva.
Berlusconi e la ripresa à la carte
Andando a ritroso nel tempo si ricorderà il senso di Silvio Berlusconi per l’ottimismo. La prima uscita su l’imminente ripresa risale, niente meno, alla discesa in campo del 1994. Era il 4 giugno e Silvio Berlusconi, da Napoli, affermava solennemente che “i dati che emergono da alcune indagini, non estese a tutto il territorio nazionale, registrano che la ripresa è già cominciata”. E quindi l’immancabile postilla: “Il fatto stesso che oggi in Italia ci sia questo governo, con certe ricette e certe persone, ha di per sé dato fiducia ed entusiasmo agli imprenditori”. Berlusconi citava allora una cena con alcuni amici economisti – rimasti anonimi – dai quali erano arrivate imprecisate indicazioni in questo senso. Durante i suoi governi, del resto, Berlusconi ha negato più volte la crisi, fino al celeberrimo segnale dei “ristoranti pieni” del maggio 2011, con l’Italia a un passo dal baratro e l’Europa pronta a metterci alla berlina. Col fiuto dell’imprenditore, additando i soliti gufi del pessimismo che siedono a sinistra, ha anticipato il vento della ripresa più e più volte: nel 2002, nel 2005, nel 2009, nel 2010. Il leitmotiv era “non disturbate il manovratore, lasciateci lavorare”. Di anno in anno la ripresa viene però rinviata. Ancora nel 2010 il Cavaliere la vede all’orizzonte, alla vigilia di Natale si lancia in una spericolata previsione: “Ritengo che il 2011 sarà un anno di ripresa di cui già abbiamo iniziato a cogliere qualche segnale. L’Italia è al riparo da attacchi speculativi, ed è merito del governo che ha tenuto in ordine i conti pubblici (…) Se si fosse aperta una crisi di governo le conseguenze avrebbero potuto esser gravi, e per questo sentiamo il dovere di continuare a governare”. Si sa poi come è andata a finire: nell’autunno 2011 la ripresa annunciata non si è presentata e i mercati hanno invocato a suon di spread la defenestrazione del Cavaliere. Restano alle cronache autentiche perle. Nell’ottobre 2001, a un mese dall’attacco alle Torri Gemelle e all’esordio della guerra in Afghanistan, B. proclama la fine alla crisi generata dall’instabilità mondiale. Il leader di Forza Italia fa le sue previsioni (per fortuna) durante una riunione di partito che viene però seguita dalle agenzie che – inclementi – la riportano. Nessuno sapeva quanto sarebbe durata la bufera ma lui sì, poteva già dire che “siamo alla fine della fase iniziale del ciclo negativo e questo fa presumere che ci sarà un rimbalzo e un risultato economico positivo”. Il mondo, dodici anni dopo, ancora lo aspetta.
Monti e la ripresa (tecnica)
Nessuno si sottrae. Anche i super professori, in realtà, hanno vaticinato l’imminente uscita dalla crisi. E se lo dicono loro, che sono emersi dalle università blasonate per salvare l’Italia, non c’è motivo di dubitarne. A un passo dalla fine l’ex presidente Bocconi sorprende tutti: “Ho visto i dati appena diffusi dal Fondo Monetario e per quanto riguarda il 2012 ha rivisto al rialzo le stime diffuse ad ottobre sul Pil, da -2,3 a -2,1. Sebbene il dato sia negativo, dimostra che l’azione del governo per il consolidamento dell’economia prosegue e i dati del Pil del terzo trimestre sono migliori delle attese” (23/1/2013). Il crollo delle illusioni arriva puntuale con la nota Istat successiva che certifica per il IV trimestre un calo dello 0,9 sul precedente e del 2,7 rispetto a quello di un anno prima. Non era la prima volta che il fondatore di Scelta Civica cannava previsioni spargendo ai quattro venti profumo di ripresa. Alla vigilia della manovra di stabilità, ottobre 2012, Monti è atteso più d’ogni altro al consueto meeting di Cernobbio. E’ accolto come un salvatore in Patria ma la tensione a Villa D’Este è palpabile. Di li a qualche giorno il prof incontrerà i leader della sua “strana maggioranza”. Quale migliore occasione per incoraggiarli a non staccare la spina: “Alla ripresa – assicurava davanti alla platea degli imprenditori Coldiretti – mancano pochi mesi”. Sulla base di quali incontrovertibili segni non si saprà mai. Ma ecco il grande classico italiano: “Il paese – dice il premier – ha dimostrato capacità di affrontare provvedimenti restrittivi ma siamo nella fase in cui dobbiamo sforzarci di più perché nulla vada sprecato in termini di fiducia, toccando con mano benefici che non si vedono e malefici che per fortuna abbiamo sventati”. E poco importa se i primi non sono mai pervenuti, il messaggio è recapitato a Pd e Pdl. Abbiate fiducia nel professore, lui vede la luce. Qualche giorno dopo, incontrando le parti sociali che lo incalzano sui “segnali” di ripresa, il prof elaborerà un’interessante teoria sui segnali debolissimi: “Anche se la ripresa non si vede nei numeri, invito tutti a constatare che è dentro di noi. Adesso è alla portata del nostro Paese e credo che arriverà presto” (5/9/2012). Questa la spiegazione tecnica del perché la ripresa c’è ma non si vede, è nascosta dentro di noi.
Il centrosinistra e la fiducia in cambio della fiducia
Tra i professori della fiducia spicca anche Romano Prodi. Sono pagine di giornale ormai ingiallite ma buone per capire quanto sia bipartisan l’attrazione fatale verso la (falsa) ripresa. A febbraio del 2007 Prodi è costretto a chiedere la fiducia alle Camere dopo lo scivolone sull’Afghanistan che ha visto deflagrare la sua maggioranza. La ottiene al Senato ma non alla Camera. Ed è qui che il professore, il 3 marzo 2007, legge un discorso cruciale nel quale gioca la carta della ripresa per trovare sui banchi del centrodestra il puntello venuto a mancare a sinistra: “I dati dell’Istat – diceva allora Prodi – sono assolutamente confortanti. Il Pil all’1,9 per cento dimostra che c’è una crescita bilanciata che coinvolge tutto il paese. Non siamo ancora al grande slancio, ma possiamo favorirlo”. Da qui, la richiesta di collaborazione al centro destra: “Siamo divisi su molti punti ma dobbiamo avere l’obiettivo comune di consolidare la ripresa appena iniziata e non dispero che su alcuni punti si troverà un consenso più ampio della maggioranza”. Quel consenso non arriverà mai. E neppure il “consolidamento della ripresa”. Pierluigi Bersani la ripresa non la vedrà mai, pur avendo sponsorizzato un incauto “Festival della ripresa” a Pisa nel 2009: prima era colpa di Berlusconi, poi dei tagli recessivi di Monti. Causa incarico fallito non potrà dare vita a un governo e dunque salire sulla poltrona da cui si vede improvvisa la luce. L’ottimismo a sinistra si chiude idealmente con Enrico Letta. Anche lui lo sparge senza fornire indicatori precisi e sempre subordinandone gli effetti alla sopravvivenza del proprio governo. Ma incalzato sulla mancanza di dati, dal suo entourage arriva il colpo di genio, l’ammissione di una ripresa che c’è ma non si può vedere: “Sarà una ripresa di crescita senza lavoro” è la formula (Ansa, 9/8/2013). Ed ecco tappata la bocca a chi, sommessamente, fa notare la stonatura tra l’ottimismo del governo e l’ennesimo record di disoccupazione (12,2% di senza lavoro). Tre milioni e passa di italiani senza lavoro dovranno accontentarsi e continuare ad avere, ma soprattutto dare, fiducia. La ripresa, in fondo, è sempre in arrivo.
Politica
Da Letta a Berlusconi, i governi ‘vedono la ripresa’ (che non c’è) e chiedono stabilità
Il presidente del Consiglio assicura: "Fuori dalla crisi entro il 2014". E chiede di non staccare la spina al suo governo. Ma quante volte ci è stata fatta la stessa promessa? Quante volte i governanti si sono appellati alla "via d'uscita vicina" chiedendo in cambio di restare in sella? Dal 1994 tutti i premier che si sono succeduti ci hanno provato. B. vedeva la ripresa nei ristoranti, Monti la vedeva "dentro di noi", l'entourage dell'attuale primo ministro ora teorizza una "ripresa senza lavoro"
Sugli attenti, trattenete il fiato, la ripresa sta arrivando. Ne dà notizia il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ultimo cantore dell’imminente uscita dalla crisi. Ultimo perché quando si entra in Parlamento o si sale al governo, insieme ai portaborse, viene fornito uno speciale paio di occhiali che permette di vedere il futuro con ottimismo, anche quando i fondamentali sotto gli occhi di tutti dicono il contrario e i più – sforniti delle apposite lenti – continuano a vedere nero. Su tutti, gli economisti non arruolati che si ostinano a dar retta ai dati ufficiali e a preoccuparsi per il record di disoccupazione, i continui cali degli ordinativi dell’industria, il segno negativo davanti al Pil per otto trimestri consecutivi. Per capire l’arcano bisogna andare oltre i lieti annunci e dare il giusto peso alla postilla che spesso li accompagna. Saccomanni la dice così: “Se dovessimo andare a elezioni anticipate – avverte il ministro – il progresso delle riforme sarebbe dannoso mentre se il governo durerà fino alla fine della presidenza europea sarà in grado di completarle e dar corso alla ripresa”. Due giorni dopo è Letta in persona a esplicitare il messaggio: “La ripresa appare finalmente all’orizzonte ma non ci sono alternative alla stabilità politica, a meno che non si voglia gettar via l’unica chance di agganciarla”.
Finalmente: abbiamo tirato la cinghia, la disoccupazione è alle stelle e la povertà mai così alta. Ma dopo anni di sacrifici, finalmente, vedremo i frutti. Qualche maligno guastafeste sostiene però che non sia così, che soltanto la paura di cadere del governo stia trasformando la crisi in ripresa, nulla più. E l’esperienza, a dire il vero, conforta il sospetto. Ogni volta che un premier italiano traballa, non si sa perché, vede di colpo la luce in fondo al tunnel: Berlusconi, Prodi, Monti e Letta hanno tutti giocato questa carta come stampella, facendo di un tema serissimo come la crisi strumento di propaganda e condizionamento politico. Tutti gli annunci, puntualmente smentiti, erano accompagnati da un monito sulla “necessaria stabilità”. La loro, naturalmente. Ecco quante volte ci hanno venduto una ripresa che sempre inizia e mai arriva.
Berlusconi e la ripresa à la carte
Andando a ritroso nel tempo si ricorderà il senso di Silvio Berlusconi per l’ottimismo. La prima uscita su l’imminente ripresa risale, niente meno, alla discesa in campo del 1994. Era il 4 giugno e Silvio Berlusconi, da Napoli, affermava solennemente che “i dati che emergono da alcune indagini, non estese a tutto il territorio nazionale, registrano che la ripresa è già cominciata”. E quindi l’immancabile postilla: “Il fatto stesso che oggi in Italia ci sia questo governo, con certe ricette e certe persone, ha di per sé dato fiducia ed entusiasmo agli imprenditori”. Berlusconi citava allora una cena con alcuni amici economisti – rimasti anonimi – dai quali erano arrivate imprecisate indicazioni in questo senso. Durante i suoi governi, del resto, Berlusconi ha negato più volte la crisi, fino al celeberrimo segnale dei “ristoranti pieni” del maggio 2011, con l’Italia a un passo dal baratro e l’Europa pronta a metterci alla berlina. Col fiuto dell’imprenditore, additando i soliti gufi del pessimismo che siedono a sinistra, ha anticipato il vento della ripresa più e più volte: nel 2002, nel 2005, nel 2009, nel 2010. Il leitmotiv era “non disturbate il manovratore, lasciateci lavorare”. Di anno in anno la ripresa viene però rinviata. Ancora nel 2010 il Cavaliere la vede all’orizzonte, alla vigilia di Natale si lancia in una spericolata previsione: “Ritengo che il 2011 sarà un anno di ripresa di cui già abbiamo iniziato a cogliere qualche segnale. L’Italia è al riparo da attacchi speculativi, ed è merito del governo che ha tenuto in ordine i conti pubblici (…) Se si fosse aperta una crisi di governo le conseguenze avrebbero potuto esser gravi, e per questo sentiamo il dovere di continuare a governare”. Si sa poi come è andata a finire: nell’autunno 2011 la ripresa annunciata non si è presentata e i mercati hanno invocato a suon di spread la defenestrazione del Cavaliere. Restano alle cronache autentiche perle. Nell’ottobre 2001, a un mese dall’attacco alle Torri Gemelle e all’esordio della guerra in Afghanistan, B. proclama la fine alla crisi generata dall’instabilità mondiale. Il leader di Forza Italia fa le sue previsioni (per fortuna) durante una riunione di partito che viene però seguita dalle agenzie che – inclementi – la riportano. Nessuno sapeva quanto sarebbe durata la bufera ma lui sì, poteva già dire che “siamo alla fine della fase iniziale del ciclo negativo e questo fa presumere che ci sarà un rimbalzo e un risultato economico positivo”. Il mondo, dodici anni dopo, ancora lo aspetta.
Monti e la ripresa (tecnica)
Nessuno si sottrae. Anche i super professori, in realtà, hanno vaticinato l’imminente uscita dalla crisi. E se lo dicono loro, che sono emersi dalle università blasonate per salvare l’Italia, non c’è motivo di dubitarne. A un passo dalla fine l’ex presidente Bocconi sorprende tutti: “Ho visto i dati appena diffusi dal Fondo Monetario e per quanto riguarda il 2012 ha rivisto al rialzo le stime diffuse ad ottobre sul Pil, da -2,3 a -2,1. Sebbene il dato sia negativo, dimostra che l’azione del governo per il consolidamento dell’economia prosegue e i dati del Pil del terzo trimestre sono migliori delle attese” (23/1/2013). Il crollo delle illusioni arriva puntuale con la nota Istat successiva che certifica per il IV trimestre un calo dello 0,9 sul precedente e del 2,7 rispetto a quello di un anno prima. Non era la prima volta che il fondatore di Scelta Civica cannava previsioni spargendo ai quattro venti profumo di ripresa. Alla vigilia della manovra di stabilità, ottobre 2012, Monti è atteso più d’ogni altro al consueto meeting di Cernobbio. E’ accolto come un salvatore in Patria ma la tensione a Villa D’Este è palpabile. Di li a qualche giorno il prof incontrerà i leader della sua “strana maggioranza”. Quale migliore occasione per incoraggiarli a non staccare la spina: “Alla ripresa – assicurava davanti alla platea degli imprenditori Coldiretti – mancano pochi mesi”. Sulla base di quali incontrovertibili segni non si saprà mai. Ma ecco il grande classico italiano: “Il paese – dice il premier – ha dimostrato capacità di affrontare provvedimenti restrittivi ma siamo nella fase in cui dobbiamo sforzarci di più perché nulla vada sprecato in termini di fiducia, toccando con mano benefici che non si vedono e malefici che per fortuna abbiamo sventati”. E poco importa se i primi non sono mai pervenuti, il messaggio è recapitato a Pd e Pdl. Abbiate fiducia nel professore, lui vede la luce. Qualche giorno dopo, incontrando le parti sociali che lo incalzano sui “segnali” di ripresa, il prof elaborerà un’interessante teoria sui segnali debolissimi: “Anche se la ripresa non si vede nei numeri, invito tutti a constatare che è dentro di noi. Adesso è alla portata del nostro Paese e credo che arriverà presto” (5/9/2012). Questa la spiegazione tecnica del perché la ripresa c’è ma non si vede, è nascosta dentro di noi.
Il centrosinistra e la fiducia in cambio della fiducia
Tra i professori della fiducia spicca anche Romano Prodi. Sono pagine di giornale ormai ingiallite ma buone per capire quanto sia bipartisan l’attrazione fatale verso la (falsa) ripresa. A febbraio del 2007 Prodi è costretto a chiedere la fiducia alle Camere dopo lo scivolone sull’Afghanistan che ha visto deflagrare la sua maggioranza. La ottiene al Senato ma non alla Camera. Ed è qui che il professore, il 3 marzo 2007, legge un discorso cruciale nel quale gioca la carta della ripresa per trovare sui banchi del centrodestra il puntello venuto a mancare a sinistra: “I dati dell’Istat – diceva allora Prodi – sono assolutamente confortanti. Il Pil all’1,9 per cento dimostra che c’è una crescita bilanciata che coinvolge tutto il paese. Non siamo ancora al grande slancio, ma possiamo favorirlo”. Da qui, la richiesta di collaborazione al centro destra: “Siamo divisi su molti punti ma dobbiamo avere l’obiettivo comune di consolidare la ripresa appena iniziata e non dispero che su alcuni punti si troverà un consenso più ampio della maggioranza”. Quel consenso non arriverà mai. E neppure il “consolidamento della ripresa”. Pierluigi Bersani la ripresa non la vedrà mai, pur avendo sponsorizzato un incauto “Festival della ripresa” a Pisa nel 2009: prima era colpa di Berlusconi, poi dei tagli recessivi di Monti. Causa incarico fallito non potrà dare vita a un governo e dunque salire sulla poltrona da cui si vede improvvisa la luce. L’ottimismo a sinistra si chiude idealmente con Enrico Letta. Anche lui lo sparge senza fornire indicatori precisi e sempre subordinandone gli effetti alla sopravvivenza del proprio governo. Ma incalzato sulla mancanza di dati, dal suo entourage arriva il colpo di genio, l’ammissione di una ripresa che c’è ma non si può vedere: “Sarà una ripresa di crescita senza lavoro” è la formula (Ansa, 9/8/2013). Ed ecco tappata la bocca a chi, sommessamente, fa notare la stonatura tra l’ottimismo del governo e l’ennesimo record di disoccupazione (12,2% di senza lavoro). Tre milioni e passa di italiani senza lavoro dovranno accontentarsi e continuare ad avere, ma soprattutto dare, fiducia. La ripresa, in fondo, è sempre in arrivo.
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Qualcuno vola sul nido del Pd
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Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.