Liberale è chi crede che il libero mercato sia buona cosa, ma non sempre ed ovunque, e che sia un sistema di regole definito storicamente dall’azione pubblica. Liberista invece è chi tende a credere che il privato sia comunque meglio del pubblico (in concorrenza, ma anche no…), e infine libertario, o anarco-liberista, è chi crede che lo Stato sia all’origine di tutti i mali, e che vada ridotto allo minimo indispensabile.
L’Italia è un paese fortemente anti-liberale, nel senso che un po’ di cultura liberale è stata prodotta a sinistra, in particolare nel Pd, dove tuttavia rimane strettamente minoritaria, ma soprattutto questa cultura sembra del tutto assente a destra, al contrario del resto d’Europa: la cultura berlusconiana è quanto più lontano dal liberismo si possa immaginare, essendo state le fortune economiche di B. rigorosamente costruite per via politica, prima nel settore immobiliare, attraverso un’alleanza organica con il PSI milanese, poi nel mondo televisivo, continuando a livello nazionale l’alleanza con Craxi.
Ovviamente poi nulla di liberale ci si poteva aspettare dalla destra del Movimento Sociale, diventata poi AN quando legittimata da Berlusconi. E quando Fini in rotta con B. avanzò un timido programma liberale, fu stroncato in parlamento prima, e dalle urne poi.
Davvero curiosa è stata infine la deriva della Lega Nord: il programma originale era stato fortemente ed esplicitamente liberale, ma l’andata a Roma e il contatto con gli altri due partiti della coalizione berlusconiana ne hanno radicalmente cambiato gli orizzonti, tanto che oggi si oppone fieramente a qualsiasi liberalizzazione, anche la più timida, al fine di non perdere gli strumenti di potere politico-amministrativo conseguiti.
Le spiegazioni purtroppo non sono difficili: un liberismo ben progettato e regolato beneficia, attraverso l’efficienza e l’innovazione che promuove, larghi strati della popolazione e delle imprese, ma in tempi medio-lunghi, e comunque non traducibili in facili consensi elettorali (al contrario delle promesse populistiche berlusconiane).
Chi può sapere che in assenza di concorrenza quei beni o quei servizi sarebbero stati più costosi o di qualità inferiore? Anche l’esempio attuale dei prezzi dell’energia, che risulta più costosa se prodotta da soggetti privati non regolati, non consente di leggere l’effetto-minaccia noto agli economisti come “contendibilità”: in un libero mercato spesso basta appunto la minaccia dell’entrata di nuovi soggetti per “spaventare” l’impresa dominante e renderla più efficiente, anche se dominante spesso rimane.
Per esempio, nei trasporti la concorrenza ferroviaria in Germania ha costretto l’impresa di Stato dominante (DB) a diminuire talmente i prezzi offerti alle regioni per i servizi locali, che dopo un primo giro di gare perse ne ha rivinte molte al secondo giro, buttando fuori i suoi concorrenti, ma alla fine con grande beneficio per i pendolari e le casse pubbliche. Lo stesso potrà avvenire con i privati nel settore elettrico italiano, se non riusciranno ad abbassare le tariffe. Ma l’effetto “minaccia” rimarrà.
Toccare il monopolio invece danneggia da subito e in modo mirato interessi molto consistenti e coesi: infatti la proprietà, in caso di monopoli privati, si allea subito con i lavoratori ed il management per strillare sulla possibile perdita di occupazione, sull’impossibilità di competere all’estero ecc.. E ovviamente si opporrà in sede elettorale a chi la minacciasse, spesso attraverso il controllo dei media.
Ma non è molto diverso per i monopoli pubblici, dove la reazione e gli strumenti sono del tutto simili: spesso persino la proprietà pubblica, oltre i manager e i dipendenti, difende il monopolio per le rendite che possono arrivare. Si pensi all’energia, che paga lauti dividendi allo Stato, ma anche agli aereoporti (vedi la SEA di Milano). Peccato che le rendite da monopolio siano sostanzialmente soldi rubati agli ignari cittadini.
Anche i monopoli che, invece di creare rendite, costano molti soldi allo Stato o agli enti locali (per esempio le ferrovie o i trasporti pubblici) non si riescono a liberalizzare, per forti opposizioni politiche che con la socialità hanno pochissimo da spartire: si può benissimo aprire alla competizione i servizi tutelando pienamente gli utenti deboli. Ma si perderebbero non solo i voti degli addetti, come abbiamo già visto; si perderebbero anche formidabili strumenti di sottogoverno, sia attraverso posti, dirigenziali e non, iper-retribuiti ed esuberanti, che attraverso forniture esterne “pilotate” politicamente (l’industria X localizzata nel collegio elettorale di Y, ecc.). Questo ovviamente senza parlare della corruzione propriamente intesa, pur diffusissima.
Infine in questo quadro anche le industrie fornitrici dei monopolisti contribuiscono alla lotta contro qualsiasi forma di liberalizzazione: è molto più comodo negoziare con un monopolista privato che notoriamente fa solidi profitti che con un imprenditore esposto alla concorrenza, ed è ancora più comodo trattare con un monopolista pubblico, che non solo non può fallire, ma addirittura è scarsamente motivato al profitto, e quindi di “manica larga”.
Marco Ponti
Già ordinario di Economia, Bridges Research Onlus
Economia & Lobby - 13 Agosto 2013
Breve riflessione sul liberalismo italiano
Liberale è chi crede che il libero mercato sia buona cosa, ma non sempre ed ovunque, e che sia un sistema di regole definito storicamente dall’azione pubblica. Liberista invece è chi tende a credere che il privato sia comunque meglio del pubblico (in concorrenza, ma anche no…), e infine libertario, o anarco-liberista, è chi crede che lo Stato sia all’origine di tutti i mali, e che vada ridotto allo minimo indispensabile.
L’Italia è un paese fortemente anti-liberale, nel senso che un po’ di cultura liberale è stata prodotta a sinistra, in particolare nel Pd, dove tuttavia rimane strettamente minoritaria, ma soprattutto questa cultura sembra del tutto assente a destra, al contrario del resto d’Europa: la cultura berlusconiana è quanto più lontano dal liberismo si possa immaginare, essendo state le fortune economiche di B. rigorosamente costruite per via politica, prima nel settore immobiliare, attraverso un’alleanza organica con il PSI milanese, poi nel mondo televisivo, continuando a livello nazionale l’alleanza con Craxi.
Ovviamente poi nulla di liberale ci si poteva aspettare dalla destra del Movimento Sociale, diventata poi AN quando legittimata da Berlusconi. E quando Fini in rotta con B. avanzò un timido programma liberale, fu stroncato in parlamento prima, e dalle urne poi.
Davvero curiosa è stata infine la deriva della Lega Nord: il programma originale era stato fortemente ed esplicitamente liberale, ma l’andata a Roma e il contatto con gli altri due partiti della coalizione berlusconiana ne hanno radicalmente cambiato gli orizzonti, tanto che oggi si oppone fieramente a qualsiasi liberalizzazione, anche la più timida, al fine di non perdere gli strumenti di potere politico-amministrativo conseguiti.
Le spiegazioni purtroppo non sono difficili: un liberismo ben progettato e regolato beneficia, attraverso l’efficienza e l’innovazione che promuove, larghi strati della popolazione e delle imprese, ma in tempi medio-lunghi, e comunque non traducibili in facili consensi elettorali (al contrario delle promesse populistiche berlusconiane).
Chi può sapere che in assenza di concorrenza quei beni o quei servizi sarebbero stati più costosi o di qualità inferiore? Anche l’esempio attuale dei prezzi dell’energia, che risulta più costosa se prodotta da soggetti privati non regolati, non consente di leggere l’effetto-minaccia noto agli economisti come “contendibilità”: in un libero mercato spesso basta appunto la minaccia dell’entrata di nuovi soggetti per “spaventare” l’impresa dominante e renderla più efficiente, anche se dominante spesso rimane.
Per esempio, nei trasporti la concorrenza ferroviaria in Germania ha costretto l’impresa di Stato dominante (DB) a diminuire talmente i prezzi offerti alle regioni per i servizi locali, che dopo un primo giro di gare perse ne ha rivinte molte al secondo giro, buttando fuori i suoi concorrenti, ma alla fine con grande beneficio per i pendolari e le casse pubbliche. Lo stesso potrà avvenire con i privati nel settore elettrico italiano, se non riusciranno ad abbassare le tariffe. Ma l’effetto “minaccia” rimarrà.
Toccare il monopolio invece danneggia da subito e in modo mirato interessi molto consistenti e coesi: infatti la proprietà, in caso di monopoli privati, si allea subito con i lavoratori ed il management per strillare sulla possibile perdita di occupazione, sull’impossibilità di competere all’estero ecc.. E ovviamente si opporrà in sede elettorale a chi la minacciasse, spesso attraverso il controllo dei media.
Ma non è molto diverso per i monopoli pubblici, dove la reazione e gli strumenti sono del tutto simili: spesso persino la proprietà pubblica, oltre i manager e i dipendenti, difende il monopolio per le rendite che possono arrivare. Si pensi all’energia, che paga lauti dividendi allo Stato, ma anche agli aereoporti (vedi la SEA di Milano). Peccato che le rendite da monopolio siano sostanzialmente soldi rubati agli ignari cittadini.
Anche i monopoli che, invece di creare rendite, costano molti soldi allo Stato o agli enti locali (per esempio le ferrovie o i trasporti pubblici) non si riescono a liberalizzare, per forti opposizioni politiche che con la socialità hanno pochissimo da spartire: si può benissimo aprire alla competizione i servizi tutelando pienamente gli utenti deboli. Ma si perderebbero non solo i voti degli addetti, come abbiamo già visto; si perderebbero anche formidabili strumenti di sottogoverno, sia attraverso posti, dirigenziali e non, iper-retribuiti ed esuberanti, che attraverso forniture esterne “pilotate” politicamente (l’industria X localizzata nel collegio elettorale di Y, ecc.). Questo ovviamente senza parlare della corruzione propriamente intesa, pur diffusissima.
Infine in questo quadro anche le industrie fornitrici dei monopolisti contribuiscono alla lotta contro qualsiasi forma di liberalizzazione: è molto più comodo negoziare con un monopolista privato che notoriamente fa solidi profitti che con un imprenditore esposto alla concorrenza, ed è ancora più comodo trattare con un monopolista pubblico, che non solo non può fallire, ma addirittura è scarsamente motivato al profitto, e quindi di “manica larga”.
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Roma, 26 feb. (Adnkronos) - "La vergogna dei centri per migranti in Albania si arricchisce giorno dopo giorno di altre perle. Non solo violano le leggi e le convenzioni internazionali; non solo sono uno sperpero ingente di risorse dei contribuenti; non solo restano sostanzialmente chiusi o tramutati in canili; oggi scopriamo, grazie ad una denuncia del sindacato Silp-Cgil, che i poliziotti italiani impegnati nella vigilanza non ricevono neanche il giusto compenso per la loro attività. Ritardi sui pagamenti degli straordinari, ma anche sulle altre voci della busta paga". Così il deputato democratico, Matteo Mauri, responsabile Sicurezza del Partito Democratico.
"Per il trattamento di missione all'estero, ad esempio, hanno ricevuto solo un acconto dall’agosto 2024 e nulla più. Si tratta di un trattamento inaccettabile per un personale che si è trovato senza colpa anche al centro di polemiche mediatiche proprio per la condizione di sostanziale inutilità della presenza in Albania. Il governo intervenga subito per mettere fine a questa doppia beffa e, soprattutto, faccia marcia indietro su un’operazione inutile, costosa e disumana”.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - Il seguito dell'esame della mozione sfiducia al ministro della Giustizia Carlo Nordio alla Camera si svolgerà martedì 4 marzo se conclusi i precedenti Odg, altrimenti giovedì 13 marzo. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - "Due anni fa, nelle acque di Cutro, si consumava una delle più tragiche stragi di migranti nel Mediterraneo. Un’imbarcazione salpata dalla Turchia con oltre 180 persone a bordo, si è trasformata in una bara per almeno 94 di loro, tra cui donne e bambini. Una tragedia annunciata, che avrebbe potuto e dovuto essere evitata. Su questa strage pesa una responsabilità politica chiara". Così Angelo Bonelli parlamentare di Avs in una nota.
"Il governo di Giorgia Meloni, che dopo la tragedia si recò a Cutro per promettere che avrebbe inseguito gli scafisti 'lungo tutto il globo terracqueo', non ha mai fatto luce sulle scelte e sulle omissioni che hanno portato a quel naufragio. Perché l’allarme lanciato da Frontex non è stato accolto con la tempestività necessaria? Perché si è lasciata quella barca in balia delle onde, senza un intervento di soccorso adeguato? A due anni di distanza, il governo continua con la sua politica repressiva e propagandistica sull'immigrazione, senza affrontare le cause profonde delle migrazioni né garantire i salvataggi in mare. Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, con il suo linguaggio disumano – definendo le vittime un 'carico residuale' – ha incarnato la cinica indifferenza con cui questo esecutivo ha trattato la vicenda".
"Ma l’ipocrisia del governo Meloni non si ferma qui. Dopo aver promesso di dare la caccia agli scafisti, ha permesso che Mohammed Almasri – accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l'umanità e crimini di guerra, ritenuto responsabile di omicidi, violenze sessuali e torture nella prigione di Mitiga a Tripoli, dove migliaia di migranti vengono rinchiusi e torturati – fosse scortato in Libia con un aereo di Stato. Un gesto che rivela, ancora una volta, la complicità del governo italiano con le milizie libiche responsabili di abusi indicibili nei confronti di uomini, donne e bambini che cercano di fuggire dall’inferno. La premier Meloni deve rispondere alla famiglie delle 94 vittime: perché non sono partiti mezzi adeguati che avrebbero potuto mettere in sicurezza l'imbarcazione sulla quale viaggiavano i migranti? Perché non è partita la Guardia costiera?. Oggi come allora chiediamo verità e giustizia per le vittime di Cutro e per i 30 mila migranti morti nel Mediterraneo in 10 anni: 1.452 (tra morti e dispersi) solo nel 2024", conclude Bonelli.
Roma, 26 feb (Adnkronos) - In vista della giornata della donna dell'8 marzo, la seduta del Question time della Camera di mercoledì 5 marzo sarà dedicata alla condizione socio economica femminile. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - “Questa mattina abbiamo parlato di maggiori controlli sulle partecipazioni societarie. Chiederemo garanzie reali. Io Federazione voglio esprimere, lo stiamo verificando sul piano legale, anche il mio consenso al passaggio delle quote, così come avviene nel caso delle fusioni. Vogliamo approvare il passaggio. Chiaramente avrà un impatto sulle norme del codice civile e se questo non è consentito in termine di autorizzazione, chiederemo le garanzie dovute”. Lo ha detto il presidente della Figc Gabriele Gravina nella conferenza stampa al termine del Consiglio.
Roma, 26 feb (Adnkronos) - Le comunicazioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Parlamento in vista del Consiglio europeo si terranno il prossimo 18 marzo in Senato, con consegna del discorso alla Camera alle 15,30, e il 19 marzo dalle 9.30 a Montecitorio. E' quanto emerso dalla capigruppo di Montecitorio.
Roma, 26 feb. (Adnkronos) - “Azione chiede che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni venga immediatamente in Aula per un’informativa urgente sul vertice di Londra, che avrà al centro il riarmo e la difesa comune tra Regno Unito ed Europa”. Lo ha chiesto Matteo Richetti, capogruppo di Azione alla Camera, in occasione della conferenza dei capigruppo.
“Dopo il vertice di Parigi, a cui la premier ha partecipato, il prossimo incontro a Londra segna un passaggio cruciale per il futuro della sicurezza europea. Se il Parlamento ha terminato le discussioni su borsette, Twiga, Billionaire e vari altri minima immoralia sarebbe tempo di affrontare le questioni che ridefiniranno l’assetto dell’Occidente per i prossimi 50 anni".
"Il mondo sta cambiando a una velocità tale che l’inerzia non è più un’opzione: le aperture di Trump a Putin rischiano di mettere l’Europa nell’angolo e di costruire una pace sulle spalle degli ucraini. L’Europa deve scongiurare questo scenario e dotarsi di una strategia chiara per la liberazione dei territori ucraini e per il futuro della propria sicurezza. La difesa comune europea non è più un’idea astratta, è una necessità: l’Europa non può più permettersi di restare spettatrice delle mosse delle altre superpotenze - ha concluso il capogruppo di Azione”.