“Oltre il vetro la sua voce è bassa e triste. So che sta mentendo ma le regole parlano chiaro, prima di mettere il timbro rosso devo ascoltare quello che ha da dirmi. Stamattina è la terza che ci prova, i primi due avevano un passaporto talmente mal contraffatto da non necessitare nemmeno delle domande, un pulsante e le guardie sono venute a fare il loro lavoro. Lei non è così, si vede che ha paura, si vede che non voleva neppure provarci. Forse anziché detenerla posso semplicemente rimandarla indietro. Si, farò così. Timbro. Per questa volta può tornare a casa, ma forse domani non sarò così magnanimo.”
Papers, please (pubblicato da 3909 LLC è disponibile per PC, Mac e Linux su Steam) è tutto in queste poche righe. Nei panni di un doganiere dell’immaginaria repubblica socialista dell’Arstotzka dovremo analizzare e schedare centinaia di migranti. Ma il regolamento non spiega tutto. Ad esempio, che fare se una madre priva di permesso di soggiorno vuole andare a trovare il figlio malato? O se un gruppo di partigiani ci chiede di lasciarli passare in cambio di denaro?
Sviluppato da una persona sola e approdato al prezzo di pochi euro su Steam (la piattaforma per la distribuzione online di Valve), Papers, Please è un thriller distopico, un gioco semplice – dopotutto dobbiamo solo mettere dei timbri – ma al tempo stesso complesso quanto i labirintici corridoi di un ministero. Tutto nel gioco di Lucas Pope è essenziale, anche la grafica, disegnata sulla base dei giochi degli anni ’80, e impostata sui toni del grigio e del verde scuro.
Ed è quanto di più lontano dai giochi moderni ci si possa aspettare: se il gaming spesso cerca l’azione estrema per coinvolgere l’utente, qui la ripetitività diventa una costante. Al cinquantesimo passaporto timbrato ci verrà voglia di essere più morbidi coi migranti, ma l’intransigente Ministero dell’Ammissione ci farà pesare ogni piccola mancanza, decurtandoci lo stipendio e rendendo così difficile provvedere alle necessità della nostra famiglia virtuale. In Papers, Please la vita di confine è brutale e, spesso, gli ingranaggi del sistema altro non sono che anime morte, perse fra le tante che ogni giorno si mettono in coda a un posto di blocco.
A cura di Nicolò Carboni