Continua ai Mondiali di atletica di Mosca 2013 la polemica sulle leggi anti-gay in Russia. Prima le controverse dichiarazioni di Yelena Isinbayeva, stella della nazionale di casa, che si era dichiarata a favore dei provvedimenti varati dal governo (salvo poi fare marcia indietro ed affermare di esser stata fraintesa). Poi, ieri, la risposta delle atlete della staffetta russa 4×400, che hanno festeggiato l’oro iridato baciandosi sul podio al momento della premiazione.
Oggi arriva la presa di posizione di Jacques Rogge, presidente del Comitato Olimpico Internazionale. Che si schiera contro il gesto delle staffettiste russe, annunciando che gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi invernali di Sochi nel 2014 dovranno evitare proteste contro la legge anti gay. “Questa – ha spiegato Rogge al quotidiano tedesco Tagesspiegel – non deve essere vista come una sanzione ma come un mezzo per proteggere gli atleti da pressioni sull’uso strumentale dei Giochi”.
Le parole del presidente del Cio suonano come una vera e propria censura nei confronti di chi ieri aveva voluto esternare la propria contrarietà ai provvedimenti discriminatori varati dal governo. Nell’intervista, in realtà, Rogge aggiunge che il Cio ha ottenuto rassicurazioni dalle più alte sfere governative russe che la legge anti gay non toccherà in alcun modo la sfera olimpica durante Sochi 2014: “Siamo consapevoli del fatto che lo sport è un diritto umano e deve essere accessibile a tutti, indipendentemente dall’etnia, dal sesso o dall’orientamento sessuale. Come organizzazione sportiva continuiamo a lavorare per garantire che i Giochi si svolgano senza discriminazioni contro atleti, dirigenti, spettatori e media”.
Il presidente Rogge, dunque, propone al governo russo una sorta di patto di “non interferenza”: la legge anti gay non tocchi i ‘suoi’ Giochi, e lo sport non si immischierà nelle scelte del governo russo. E per garantirlo lo stesso Comitato Olimpico scoraggerà gli atleti da ogni manifestazione di protesta. E’ già successo ieri, del resto: la saltatrice in alto svedese Emma Green-Tregaro, dopo essere scesa in pista durante le qualificazioni con le unghie dipinte con i colori dell’arcobaleno in segno di dissenso nei confronti della legge anti gay, è stata avvicinata dai dirigenti della Iaaf (International Association of Athletics Federations) e invitata a cambiare smalto. Che infatti è diventato rosso in occasione della finale. Una storia di censura evidentemente destinata a ripetersi anche fra qualche mese a Sochi.
La Iaaf, come anche Rogge, si appellano in fondo solo al regolamento: le norme affermano che “non è permessa alcuna manifestazione di tipo commerciale o politico“. In questa maniera, però, le Olimpiadi non avrebbero mai conosciuto momenti storici come la vittoria di Jessie Owens ai Giochi ‘nazisti’ di Berlino 1936; o il pugno chiuso contro la discriminazione razziale di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico 1968. Secondo loro una medaglia olimpica poteva significare qualcosa in più d’una semplice vittoria sportiva. Per Jacques Rogge, presidente del Cio, no.