Sul tema della grazia e su quello della collegata commutazione della pena si sono espressi, negli ultimi anni, ben due presidenti della Repubblica. Sulla difficoltà di erogare un provvedimento di grazia a stretto giro, in due hanno adoperato anche la medesima frase. Una frase che, letta oggi, allontana qualsiasi ipotesi di un gesto di clemenza nei confronti del condannato Silvio Berlusconi da parte del Quirinale.
La frase è questa: “Qualora applicata a breve distanza dalla sentenza definitiva di condanna, la grazia ha il significato di una valutazione di merito, configurando un ulteriore grado di giudizio che non esiste nell’ordinamento e determinando un evidente pericolo di conflitto di fatto tra poteri”. La frase si deve ad Oscar Luigi Scalfaro che in una lettera ai presidenti delle Camere del 24 ottobre 1997, volle tornare sul tema del terrorismo, della condanna in via definitiva comminata il 22 gennaio di quell’anno agli esponenti di Lotta Continua Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi per l’assassinio del commissario Luigi Calabresi e delle richieste di grazia che gli erano prontamente pervenute.
Le parole di Scalfaro furono prese ad esempio anni dopo proprio da Giorgio Napolitano. All’attuale presidente della Repubblica, all’epoca del suo primo mandato (era il gennaio del 2008), era stata indirizzata una missiva da parte dell’onorevole Gustavo Selva. Nella lettera si domandava clemenza nei confronti di Bruno Contrada, alto dirigente del Sisde in Sicilia all’epoca della stragi, condannato in via definitiva a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza era stata letta nel precedente mese di maggio. E sei mesi dopo Napolitano rispose a quella lettera ripetendo le parole di Scalfaro.
Il presidente della Repubblica, “nell’esercitare il potere costituzionale di ‘concedere le grazie e commutare le pene’, deve avere molta accortezza nel non trasformarsi in un quarto grado di giudizio. Deve quindi lasciare che il tempo faccia la sua parte. Intervenire prima, è opinione espressa da entrambi i presidenti, rischierebbe di porre il Colle in conflitto con la magistratura. Nella lettera del ‘97, Scalfaro si segnala per un’ulteriore sensibilità per la Carta: “Si aggiunga – scrive – che un’applicazione della grazia che privilegi soltanto talune persone e ne trascuri altre che versano in situazioni analoghe, costituirebbe violazione grave del principio di uguaglianza che è base essenziale del concetto stesso di giustizia”.
da Il Fatto Quotidiano del 23 agosto 2013