In Europa gli ingegneri si occupano del settore dei trasporti, di impiantistica e di strutture; l’unica figura abilitata a progettare è l’architetto, mentre i diplomati affiancano i professionisti in ruoli subalterni. In Italia, invece, l’annosa incapacità di politica e istituzioni di smontare lobby e spezzare patti corporativi mettendo mano al settore delle competenze professionali – facendo ordine tra le varie figure dell’area progettuale – viene pagata non solo dai professionisti ma anche da un territorio ferito da una produzione edilizia in genere di assoluta mediocrità. Solo nella realtà italiana possono mettere mano al settore della progettazione una così ricca pletora di figure: architetti, ingegneri, geometri, agronomi, periti edili, a cui si sono aggiunte, negli ultimi anni, anche i possessori di lauree triennali.
La crisi non ha fatto altro che infliggere il definitivo colpo di grazia a un settore già paludato, immobile, elefantiaco, che non riesce a riorganizzarsi, rinnovarsi e crescere, restando ai margini della competitività del mercato europeo. Con la recente riforma delle Professioni, le Istituzioni e il Governo hanno imposto di adeguarsi alle regole europee, ma non hanno messo mano alla legislazione per le relative competenze, definendone gli ambiti di pertinenza. Architetti e ingegneri coartati alla competizione con geometri, agronomi, periti edili, privati del riferimento dei minimi tariffari da una liberalizzazione insensata (la Germania li ha mantenuti), piegati da un provvedimento che, in piena crisi economica e con ridotte opportunità lavorative, obbliga alla formazione continua a proprie spese, all’assicurazione e, a breve, anche al pos negli studi. Contestualmente all’incredibile “riforma”, Inarcassa, con un aumento del 38%, ha portato i contributi minimi a 3.000 euro: unico caso in Europa di previdenza sociale da pagarsi anche in assenza di reddito. Ci chiediamo in quale altro paese democratico siano state varate delle riforme così inique, miopi, aggressive e depressive, che non tengono conto delle reali opportunità del mercato; ci chiediamo se le istituzioni che ci rappresentano ci abbiano tutelato adeguatamente. La risposta è NO.
All’indomani dell’approvazione del Consiglio dei Ministri al dpr per la riforma delle Professioni, un entusiasta Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori si affrettava a dichiarare, parlando a nome degli architetti tutti: “Il Dpr approvato dal Consiglio dei Ministri – se confermato – dà attuazione ad una Riforma sostanzialmente utile“. E mentre gli agrotecnici facevano ricorso al TAR contro la riforma, un arrendevole il Cnappc ribadiva: “Gli architetti italiani sono a fianco del governo contro l’iniziativa degli agrotecnici (…). Gli architetti italiani, infatti, considerano l’iniziativa sbagliata nella sostanza e nel metodo: nella sostanza perché il DPR di Riforma delle Professioni è un testo equilibrato ed utile, che ha tenuto conto delle realtà professionali italiane. Dichiarazioni che ovviamente non hanno trovato smentita tra gli Ordini provinciali.
E’ un vero peccato che il presidente Freyrie neppure abbia tentato una negoziazione; è un peccato che si sia fatto sfuggire l’opportunità politica che gli si presentava: quella di puntare i pugni sul tavolo. Per chiedere al governo che all’adeguamento delle regole europee rispondesse quello delle competenze professionali, definendo, una volta per tutte (pena un ostruzionismo dilatorio e senza quartiere) quelle per la progettazione; e, portandoci – finalmente – in Europa.
Il presidente del Cnappc probabilmente non rappresenta gli architetti, così come questi Ordini altro non rappresentano che se stessi. E neppure rappresenta gli ingegneri e gli architetti la presidente Inarcassa, che aderiva ad una riforma fatta passare per “rivoluzionaria” nell’accezione più positiva, e che sta viceversa contribuendo alla chiusura di centinaia di partite IVA. Non c’è rivista di settore che quotidianamente non dia conto dello stato di prostrazione e frustrazione dei professionisti. I social network debordano di rabbia e tracimano indignazione; ma tutto rimane intrappolato in un ventre molle incapace di organizzarsi, anche solo per chiedere con forza, al proprio Ordine, le dimissioni anticipate dei vertici di chi non ha saputo valutare le reali forze e risorse dei professionisti che deve rappresentare. Qualcuno doveva pur cominciare…