Possibilità di stabilizzazione che di anno in anno diminuiscono, cattedre che calano anche se il numero degli studenti cresce, e soprattutto tagli. Tagli alle buste paga, alle risorse destinate alle scuole, “alla qualità dell’istruzione che è un diritto costituzionale”. È un grido di dolore quello che il 4 settembre prossimo gli insegnanti precari d’Italia, da Bologna a Milano, da Napoli a Roma, porteranno di città in città attraverso una manifestazione nazionale denominata “il giorno della piazza precaria”. Un grido di esasperazione, di sfiducia verso un governo, quello guidato dal presidente del Consiglio Enrico Letta, che opera “sotto i colori di un partito che fa della scuola la sua bandiera, ma che agisce come l’ex ministro Mariastella Gelmini: distruggendo un sistema che già funziona male”.
Perché la vita dei 150mila precari della scuola pubblica italiana è sempre più dura. “E per noi è arrivato il momento di alzare la voce” dice il coordinamento precari della scuola di Bologna. I problemi da affrontare a ogni nuovo inizio d’anno sono molti, e sono “sempre gli stessi perché nessuno interviene per disfare le politiche dannose promosse in passato”. Somigliano a un filo rosso che lega, istituto dopo istituto, una penisola dalle casse vuote, “dove il risparmio ha sostituito il principio della qualità”. “L’Emilia Romagna – spiega Valentina Millozzi, insegnante precaria della scuola pubblica – ha una popolazione scolastica che cresce ogni anno. Eppure i posti disponibili per cattedre ‘di ruolo’ e supplenze continuano a diminuire: come mai? Abbiamo classi che diventano sempre più invivibili, con 30-32 studenti ciascuna, abbiamo giovani stranieri che hanno bisogno di sostegno per integrarsi e ragazzi con difficoltà privi di insegnanti di sostegno. Noi capiamo che la coperta è corta, ma la platea si allarga e ha dei bisogni che vanno ascoltati”.
Un trend che rispecchia a pieno quello della penisola, dove complessivamente, il 20% del personale didattico è precario. “Alla scuola viene demandato molto: l’educazione didattica, l’educazione civica, la trasmissione di un bagaglio di principi che comprendono l’integrazione, e che debbono contrastare fenomeni come l’omofobia e il femminicidio. Eppure ci tolgono gli strumenti per stare vicino ai ragazzi – continua Milozzi – io in 8 anni ho cambiato 8 scuole e non so ancora dove sarò all’inizio di questo quadrimestre. Il 29 maggio ero in classe con i miei alunni quando c’è stato il terremoto, eppure a settembre li ho dovuti lasciare, pur legata a loro da un’esperienza così drammatica. Il precariato non danneggia solo noi insegnanti, ma anche i nostri studenti”.
Ma di governo in governo non ci sono stati spiragli, né boccate d’ossigeno. Non con Silvio Berlusconi, che al dicastero dell’Istruzione aveva scelto la Gelmini, “il ministro dei tagli più pesanti”. Non con il successore Mario Monti, e il ministro Francesco Profumo, “che ha portato avanti una politica del risparmio deleteria e dannosa”. Infine, nemmeno con l’attuale capo del governo Letta, “che doveva agire in maniera molto diversa dai predecessori, ma che invece non sta facendo nulla per la scuola”: se la spending review 2012 ha sottratto ai precari il diritto di “monetarizzare le ferie”, “a noi che ogni anno veniamo licenziati a giugno solo per essere riassunti a settembre”, l’attuale ministro all’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha annunciato 44mila assunzioni ‘di ruolo’ in tre anni. Quindi significa che saremo condannati a questa situazioni ancora a lungo. E a risentirne sarà soprattutto la scuola”.
Perché, insistono gli insegnanti precari, “non si fa una buona scuola tagliando”. Bisognerebbe, invece, “infondere nuove risorse nel sistema, assumere più docenti, ridistribuire gli studenti in classi meno affollate per garantire parità di apprendimento”. E soprattutto “basta con l’ingiustizia delle graduatorie a esaurimento: l’ex ministro all’Istruzione Giuseppe Fioroni le aveva introdotte per collocare i precari, così che piano piano fossero assunti tutti. Oggi invece si fanno nuovi concorsi che allungano le liste e protraggono l’attesa per chi è in graduatoria, spesso da più di dieci anni, con un’età media che va dai 37 ai 65 anni. Si può vivere così, con uno stipendio misero, un carico di lavoro enorme e una responsabilità tale sulle spalle? Noi amiamo il nostro lavoro, ma lo Stato deve intervenire, altrimenti – promettono da Bologna – attueremo una politica di non collaborazione: non compieremo, cioè, tutte quelle attività non previste dal contratto nazionale, di cui invece fino a oggi ci facevamo carico, come il ricevimento settimanale con i genitori, la sostituzione dei colleghi assenti, il coordinamento di classe o le uscite didattiche”. “Lo Stato ci usa come cavie, come banco di prova per togliere diritti ai lavoratori. Ma se ora non ci restituisce i nostri, smetteremo di fingere di averli” promettono gli insegnanti precari. “Cominceremo con la manifestazione del 4 e poi vedremo – conclude Millozzi – noi abbiamo scelto questo mestiere e continueremo con ogni mezzo lecito a nostra disposizione, a difenderlo”.