Per l”agibilità politica” di Silvio Berlusconi si chiude un altro spiraglio. Il leader Pdl avrebbe potuto sperare in una riedizione del caso di Gianstefano Frigerio, il parlamentare pluricondannato nell’inchiesta Mani pulite che fu sostanzialmente “graziato” da Montecitorio. Niente interdizione dai pubblici uffici, sancì la Camera nel 2004, perché dopo rinvii e ritardi nella discussione del caso, Frigerio aveva espiato la sua pena con l’affidamento ai servizi sociali e dunque anche la pena accessoria doveva cadere. Un precedente ghiotto per il leader del Pdl, condannato in via definitiva per frode fiscale, che tra minacce e retromarce sulla tenuta del governo Letta continua a vedere più ostacoli che aperture nelle varie “soluzioni politiche” prospettate, dalla grazia presidenziale al ricorso alla Consulta contro la legge Severino. Ma una circolare del ministero dell’Interno, datata 2009 e forte di un parere del Consiglio di Stato, gela l’entusiasmo: “L’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale non estingue le pene accessorie”, spiega il documento, “e non legittima la iscrizione o reiscrizione nelle liste elettorali del soggetto alla cui condanna in sede penale acceda la misura dell’interdizione dai pubblici uffici” (leggi il documento).
Quella di Gianstefano Frigerio è una storia tutta italiana, e l’iter parlamentare della sua non-decadenza può comunque offrire spunti alla strategia berlusconiana. Negli anni di Tangentopoli, Frigerio era segretario milanese della Democrazia cristiana. In questa veste, fu condannato condannato in via definitiva per corruzione, concussione, ricettazione e finanziamento illecito. Ma nel 2001, quando la condanna stava per diventare definitiva, Forza Italia lo candidò alla Camera, nella lista proporzionale bloccata, vale a dire seggio assicurato. Non nella sua Lombardia, ma nella lontana Puglia. Non con il nome che l’aveva reso famoso come simbolo di Tangentopoli, ma con il misconosciuto nome Carlo. Due giorni dopo l”elezione, però, le sue condanne diventarono definitive e i carabinieri gli misero le manette. Carriera parlamentare finita? Niente affatto.
Evitato il carcere per motivi di salute e ottenuto l’affidamento ai servizi sociali, Frigerio si vede garantire dal tribunale di sorveglianza di Milano il permesso di recarsi in Parlamento per una forma di lavoro esterno. La giunta per le elezioni della Camera, all’epoca presideuta da Antonello Soro (Ulivo, oggi Garante della Privacy) attende un anno prima di mettere all’ordine del giorno la decadenza del collega. E’ infatti al 15 maggio 2002 quando, si legge nei verbali, Soro “avverte che, su iniziativa del deputato Giuseppe Rossiello, il Comitato permanente per le incompatibilità ha convenuto sull’esigenza di chiarire la posizione del deputato Frigerio, richiedendo all’interessato ogni possibile elemento documentale in merito all’eventuale sussistenza di cause di ineleggibilità o di decadenza”.
Ma Frigerio si guarda bene dall’inviare i documenti richiesti. E come dargli torto? E’ come se il comando dei vigili chiedesse a un automobilista di inviare una foto della sua auto in divieto di sosta, così da poterlo multare. Infatti sei mesi dopo, il 20 novembre 2002, la Giunta si riunisce e a Soro non resta che ripercorrere un lungo carteggio di richieste inevase: “La documentazione acquisita non consentiva una valutazione compiuta della posizione processuale dell’onorevole Frigerio”, lamenta il presidente, e la giunta “ha quindi chiesto all’onorevole Frigerio di far pervenire con cortese sollecitudine copia della sentenza definitiva a suo carico, nonché copia del provvedimento di unificazione pene citato nell’ordinanza del tribunale di sorveglianza”.
La questione Frigerio scompare dai radar della Giunta per altri cinque mesi, sino alla seduta del 5 marzo 2003, quando si apprende che “la documentazione pervenuta relativamente alla posizione dell’onorevole Frigerio è stata deferita all’onorevole Antonino Gazzara, che si è riservato di convocare il Comitato per le incompatibilità non appena verranno acquisiti elementi informativi circa l’iter di una istanza presentata dallo stesso onorevole Frigerio alla Corte d’appello di Milano”.
Delle deliberazioni del Comitato presieduto da Gazzara non vi è alcuna traccia e l’affaire sembra finire nel dimenticatoio. Perché? Semplice. Da Frigerio iniziano a piovere con scadenza mensile certificati che attestano il ricovero ospedaliero per curare il glaucoma di cui soffre. La fase istruttoria e dibattimentale non decolla mai. Passa un altro anno e mezzo e si arriva quindi al 23 settembre 2004 quando in Giunta risuona nuovamente il nome dell’ex Dc. Ma solo per prendere atto che è arrivata “il 16 settembre 2004 dall’on. Frigerio una lettera con la quale comunica che ‘in data 3 agosto ha finalmente concluso il periodo di affidamento ai servizi sociali”‘. E a norma di legge, “l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena ed ogni altro effetto penale“. Quindi è “cessata la questione di interesse della Giunta”. La strategia dell’eterno rinvio ha pagato e il deputato condannato resta serenamente al suo posto.
Un caso che però non dovrebbe ripetersi. Perché successivamente è spuntata una circolare del ministero dell’Interno (n. 12/2009), competente in materia di liste elettorali. E’ basata su un parere del Consiglio di Stato (n. 2912/07) e chiarisce che “l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale non estingue le pene accessorie e non legittima la iscrizione o reiscrizione nelle liste elettorali del soggetto alla cui condanna in sede penale acceda la misura dell’interdizione dai pubblici uffici”.
Di Donato Notarachille e Mario Portanova