Ci mancava solo Sabina Began. L’ape regina delle olgettine, che per 370mila euro all’anno funge da consulente di Infront (società che gestisce la vendita dei diritti tv del calcio italiano), ha reso ancora più feroci gli scontri in atto in Lega Calcio. E così l’assemblea del 13 settembre promette di essere rovente. Le sette sorelle (al secolo Juventus, Inter, Roma, Fiorentina, Verona, Sampdoria, Sassuolo e l’appoggio esterno del Napoli) hanno scritto la settimana scorsa una lettera al presidente Maurizio Beretta per lamentare la poca trasparenza dell’advisor Infront in vista della cessione dei diritti televisivi del triennio 2015-18. Il giorno dopo è arrivata la risposta conciliante di Beretta, pronto al dialogo. Eppure, quanto accaduto dimostra che non si è ancora ricucita la spaccatura in Lega dopo le elezioni di gennaio. E soprattutto che in un calcio italiano troppo dipendente dai diritti televisivi, e incapace di trovare altre vie di sviluppo, il ruolo dominante di Infront comincia a dare fastidio.
Nota sede di scontri, la Lega ha trovato una pacificazione forzata negli ultimi anni proprio nel nome delle televisioni. Fino alle elezioni del 18 gennaio, quando due gruppi ben distinti si schierano dietro Andrea Abodi (Lega di Serie B) ed Enzo Maria Simonelli (revisore conti Lega e uomo Fininvest, oltre che la persona che poi a luglio, nel pieno del caso Shalabayeva, avrebbe ospitato nella propria villa il dittatore kazako Nazarbayev). Alla fine la spunta per un soffio Beretta, con l’appoggio esplicito di Lotito e i voti del gruppo Simonelli (leggi Milan). Mentre Juventus, Inter, Roma e Fiorentina, la metà del salotto buono del calcio che aveva appoggiato Abodi, rimangono fuori dal consiglio di Lega.
Oggi nel mirino delle escluse non è tanto il piano di azione dell’advisor per il triennio 2015-18 e neppure le commissioni pagate dalla Lega a questa società (che la Gazzetta dello Sport stima in 35 milioni per il triennio passato). Il motivo del contendere, invece, è il ruolo vero e proprio di Infront, il cui contratto è in scadenza. Come recita il prospetto informativo, la società “nasce in Italia nel 2006 quando (…) acquisisce il 100% di Media Partners (…) per iniziativa di Marco Bogarelli”. E quando nel 2008 si aggiudica il ruolo di advisor del calcio italiano superando veri e propri colossi (Rothschild, Mediobanca, Img e Sportife) ecco che il Corriere della Sera ricorda gli stretti legami tra Infront e Fininvest. E titola: “Quel Bogarelli sembra Galliani”.
Non solo Sabina Began, quindi. Sempre sul sito si legge che Infront gestisce “marketing e sponsoring di Milan, Lazio, Palermo, Cagliari e Genoa”. Ovvero tutti i grandi elettori di Beretta, che oggi si spartiscono i ruoli di potere in Lega così suddivisi: Galliani vice presidente, Lotito consigliere federale, Preziosi e Cellino consiglieri. Ma a rendere ancora più complicate le cose, da ricordare anche che di Bogarelli all’inizio era socio proprio Andrea Abodi (dal Corsera dell’agosto 2010). Lo stesso Abodi che a gennaio era sostenuto da Juve, Inter, Roma e Fiorentina come il grande avversario di Beretta e Simonelli. Anche nel governo del pallone ci sono quindi delle insospettabili larghe intese.
Ma qualcosa oggi si è rotto. I soldi che arrivano dalle televisioni per il calcio italiano sono troppo importanti. All’estero vivono anche e soprattutto di stadi, sponsor, marketing e merchandising. In Italia no, non ne siamo capaci. E un advisor televisivo come Infront diventa fondamentale. Basta vedere i dati sulle sponsorizzazioni, dove risulta che Milan, Inter e Juve prendono un quarto delle grandi europee. Oppure i dati di Deloitte Sports Business Group sui ricavi dei club europei – divisi tra matchday (tutto quello che si compra allo stadio e dintorni, dai biglietti, alla maglietta, alla birra), ricavi commerciali e diritti tv – da cui si ricava come all’estero solo il 20-40% dei ricavi arrivi dalle tv, mentre in Italia superano il 60%.
Detto che il calcio italiano non ricava nulla dal matchday, pochissimo dai commerciali e tutto dalla tv, i ricavi televisivi in Italia sono oltretutto bassi e mal distribuiti. Ad esempio ‘il modello’ Premier League dai diritti tv ricava più del doppio dell’Italia, e poi li ripartisce in maniera democratica (50% suddiviso tra i club, 25% per la classifica e 25% per le partite trasmesse, e i diritti esteri uguali per tutti), permettendo anche alle piccole di partecipare alla festa. Mentre in Italia funziona così: 40% suddiviso, 30% bacino d’utenza e 30% risultati (di cui una parte risale fino al 1946!).
E finisce che nella stagione 2012-13 la Juventus incassa 90 milioni e il Pescara meno di 20, una sperequazione alla lunga disastrosa. Per questo dietro la lotta a Infront si cela uno scontro feroce per la gestione dei diritti tv futuri, che se non si rompe il duopolio Sky-Mediaset saranno oltretutto molto più bassi di oggi. Senza che nessuno si sia ancora accorto che se il calcio italiano vuole sopravvivere, i soldi li deve produrre fuori dal tubo catodico.