“Una possibile svolta”. Così Barack Obama definisce la proposta russa di mettere sotto tutela internazionale l’arsenale chimico del governo di Bashar al-Assad. Durante la registrazione delle sei interviste con i maggiori network americani, il presidente Usa ha accolto come uno “sviluppo potenzialmente positivo” la mediazione russa, anche se ha precisato che gli Stati Uniti manterranno per il momento la pressione militare su Damasco. Un primo effetto del passo diplomatico russo c’è comunque già stato. Il capogruppo democratico al Senato, Harry Reid, ha deciso di rimandare il voto sull’autorizzazione al blitz militare.
“La mia amministrazione si impegnerà con la Russia e con la comunità internazionale per capire se è possibile arrivare a qualcosa che sia serio e applicabile con la Siria”, ha spiegato Obama, durante l’intervista con CNN. “Nello stesso tempo” ha aggiunto, “se non andiamo avanti con una minaccia credibile di azione militare, non penso che raggiungeremo il tipo di accordo che vorrei”. “E’ possibile se è reale”, ha aggiunto Obama, accogliendo con riserva l’offerta russa, fatta propria immediatamente da Damasco, di collocare le armi chimiche siriane sotto il controllo della comunità internazionale.
Si conclude dunque con un punto interrogativo sul futuro una delle giornate più difficili e sorprendenti per la diplomazia americana e internazionale. La proposta di una messa sotto tutela del governo di Assad era venuta in un primo tempo proprio dal segretario di Stato John Kerry, che a Londra aveva detto che “Assad potrebbe consegnare ogni pezzo delle sue armi chimiche alla comunità internazionale nella prossima settimana”. La richiesta di Kerry, concepita forse per dare prova di moderazione ma senza una reale volontà di mediazione, era stata fatta immediatamente propria dal ministro degli esteri russo, Sergei V. Lavrov, sollevando un coro di consensi non soltanto in Siria, ma anche in Francia, in Gran Bretagna e negli uffici delle Nazioni Unite. Resosi conto di essere andato un po’ troppo in là, Kerry attraverso un suo portavoce aveva precisato che la possibilità che Assad consegni le armi “resta un argomento retorico estremamente improbabile”.
E invece la proposta, fatta dagli Stati Uniti, è andata avanti, sostenuta non da gambe americane, e ora rischia di mettere in difficoltà proprio l’amministrazione Obama – più in difficoltà di quanto già non sia. Per questo il presidente, nelle sei interviste programmate da giorni, ha dovuto spiegare che gli Stati Uniti non chiudono completamente la porta alla proposta russa e che la valuteranno “con un grano di sale”, anche se l’opzione militare resta sul campo. “Sfortunatamente, il passato non ispira molta confidenza”, ha detto il vice-consigliere alla sicurezza nazionale, Tony Blinken. “Non si capisce perché la Siria dovrebbe cominciare ad agire in modo da trasmettere fiducia proprio ora”, gli ha fatto eco il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney.
L’amministrazione Obama non può del resto mostrarsi immediatamente favorevole all’offerta di Lavrov – pena la perdita di credibilità internazionale e il riconoscimento del ruolo decisivo giocato nella crisi da Vladimir Putin. E’comunque vero che la messa sotto tutela delle armi chimiche di Assad consentirebbe all’amministrazione di tirarsi fuori con un limitato danno di immagine dall’intrico della crisi siriana. Il blitz in Siria continua a suscitare pochissimi entusiasmi negli Stati Uniti. Sei americani su dieci respingono l’intervento. Nonostante giorni e giorni di pressing, molti senatori, ma soprattutto molti deputati, restano indecisi o apertamente contrari all’attacco. Un calcolo veloce delle forze in campo ha mostrato che soltanto 42 deputati sono in questo momento propensi ad accogliere la richiesta di colpire la Siria. 238 deputati restano contrari; 153 sono indecisi.
Obama sarebbe dunque destinato a una probabile clamorosa sconfitta al Congresso. Per questo i nuovi sviluppi diplomatici sono un’opzione da afferrare con prudenza, ma comunque da afferrare. Lo ha dimostrato un politico esperto come Harry Reid, capogruppo democratico al Senato, che in un primo tempo aveva fissato un voto dell’aula per mercoledì e che ora l’ha rimandato per “favorire la discussione diplomatica”. “Non importa quanto velocemente arriviamo a una decisione, ma quanto bene ci arriviamo”, ha spiegato Reid. Il rinvio del voto del Senato significa un rinvio del giudizio della Camera e più giorni perché l’amministrazione possa valutare pro e contro un intervento che la maggioranza degli americani non vuole e che Obama ha abbracciato con iniziale – e forse eccessiva – decisione. Intanto il presidente stasera parlerà alla Nazione in prime time televisivo. Probabile che il discorso oscillerà tra i due poli che ormai racchiudono la politica Usa verso il regime di Assad. Una retorica militare apparentemente minacciosa. Un attendismo ben più prudente, alla ricerca di una soluzione diplomatica.