Costretti a vivere in un’unica vasca, troppo piccola per ospitarli tutti, privati del cibo per modificarne il comportamento naturale e sottoposti a dosi massicce di tranquillanti che dovevano controllarne l’aggressività, dovuta alla cattività. Insomma, maltrattati per far divertire i bambini. La storia del Delfinario di Rimini e dei suoi 4 giovani ospiti, 4 tursiopi di nome Chico, Speedy, Luna e Rocco, potrebbe concludersi oggi, dopo quasi cinquant’anni di attività e una lunga battaglia per ottenere la chiusura dell’impianto.
Finito sotto la lente d’ingrandimento degli animalisti sanzionato dal Corpo forestale dello Stato, che ad agosto aveva rilevato diverse violazioni sia della legge 73 del 2005, che detta le regole per la custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, sia del decreto ministeriale del 2001, che si riferisce al mantenimento dei delfini in cattività, a scrivere quello che potrebbe essere l’epilogo della struttura inaugurata nel 1968 da Nemmo Fornari è la Procura della capitale della Riviera. Il 2 settembre scorso, dopo una comunicazione di reato inviata dal servizio Cites, che basa la propria attività di controllo sulla Convenzione di Washington relativa al commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, infatti, il pm Marino Cerioni ha firmato la richiesta di sequestro dei quattro delfini che oggi vivono nel delfinario, richiesta convalidata in queste ore dal gip, per “maltrattamento nei confronti degli animali”. E senza le autorizzazioni del Comune a costruire le due vasche necessarie a rendere a norma l’impianto, non ci sono molte speranze che gli spettacoli del Delfinario possano riprendere il prossimo anno.
“Ricorreremo al Tribunale del Riesame – spiega Massimiliano Bacillieri, legale rappresentante del Delfinario – il provvedimento del pm non è basato su alcuna perizia e intendiamo impugnarlo. Gli animali non sono mai stati maltrattati qui, in questa struttura, anzi sono sempre stati trattati con la massima cura. Ciò che veramente mette a rischio la loro salute è questo sequestro”. In giornata, infatti, i delfini saranno prelevati e trasferiti in una struttura non specificata e secondo l’avvocato della famiglia Fornari sono le modalità di trasporto il vero rischio i delfini. “Per muoverli hanno prelevato l’acqua dal mare, quando a Rimini le acque non sono per nulla salubri – continua – Ci era stato assicurato che avremmo avuto il tempo di trovare una sistemazione adatta ai delfini. E noi la prossima settimana li avremmo portati all’acquario di Genova, a spese nostre. Invece è stato deciso di portarli via adesso”.
Secondo la Procura, il corpo forestale dello stato e le associazioni Enpa, Marevivo e Lav, però, le condizioni per il sequestro ci sono, eccome. Dopo aver effettuato un sopralluogo il 13 agosto scorso, infatti, il Cites aveva contestato alla gestione diverse mancanze, come “ripari dal sole e dalla vista del pubblico, un sistema di raffreddamento e di pulizia adeguata dell’acqua, un idoneo programma di trattamenti medico veterinari”. O, ancora, “di adeguate vasche per il trattamento medico veterinario degli animali, per la quarantena e per le femmine in gravidanza o allattamento”. L’attuale e unica vasca di contenimento, che risale a qualche decennio fa, costringe invece i delfini a una “convivenza forzata nel gruppo sociale dove sono inseriti”, con il rischio di compromettere la loro salute fisica e psichica. “Grazie al contributo di esperti in mammiferi marini, si è potuta riscontrare la somministrazione” agli animali “di tranquillanti per inibire i problemi di aggressione intraspecifica e di cure ormonali, anche in questo caso in modo continuativo e prolungato – scrivevano gli ispettori della Forestale – per non far esprimere i comportamenti legati alla maturità sessuale e impedire la riproduzione in consanguineità”.
Tanto che il sopralluogo si era concluso con una sanzione pari a 18.000 euro, anche se l’avvocato Bacillieri smentisce, affermando che “la multa era di 6.000 euro, e dovuta unicamente alle dimensioni del delfinario”. Per il legale, in realtà, è ‘colpa’ dell’onorevole Michela Vittoria Brambilla se il delfinario rischia di chiudere: “E’ lei che ha fatto pressioni perché vuole che tutte le strutture di questo tipo siano chiuse, nonostante ci sia una norma a regolamentarle”.
D’accordo con la Procura sono invece gli animalisti, che ieri avevano scritto di proprio pugno un appello rivolto al sindaco Andrea Gnassi, affinché non concedesse le autorizzazioni necessarie a far partire i lavori per l’ampliamento dell’impianto. “Continuare a proporre spettacoli con gli animali, oltre ad essere eticamente inaccettabile, è vietato dalla legge – spiegano LAV, Enpa e Marevivo – Chiediamo alla giunta un salto di qualità risparmiando ai delfini la segregazione della cattività, e di non spendere un solo euro di denaro pubblico per far sopravvivere questa inaccettabile prigione per mammiferi marini. La città e i suoi tanti turisti non hanno bisogno del delfinario”. Secondo gli animalisti, che hanno condotto una loro inchiesta parallela su Rimini e sugli altri delfinari italiani, “è evidente che non ci sia alcun valore educativo né tanto meno scientifico” sotteso al mantenimento degli impianti, anzi, “i delfini sono sottoposti a comportamenti innaturali, a rumori gravemente invasivi e sono addestrati attraverso la deprivazione alimentare”. E questo solo per fare alcuni esempi, precisano le associazioni.
Il sindaco, comunque, ha già comunicato che l’autorizzazione non è destinata a essere concessa tanto presto. “Gnassi ha negato i permessi adducendo una incompetenza dovuta al fatto che il Delfinario di Rimini risulterebbe insistere su suolo demaniale. Al contempo, nel medesimo comunicato, il sindaco afferma i lavori potrebbero essere autorizzati solo se inseriti nel più grande progetto di riqualificazione dell’area realizzato dal Consorzio del Porto”. Per ora, comunque, il Delfinario è destinato alla chiusura, e qualora l’amministrazione non dovesse cambiare idea, non riaprirà. “Un’ottima notizia – festeggiano gli animalisti – ora speriamo che si proceda anche nei confronti degli altri delfinari, Riccione, Fasano e Torvaianica”.