Nuvola Numero Nove, uscito il 10 Settembre, è l’ottavo album in studio del cantante Samuele Bersani. Un’opera diretta, asciutta; un sogno che rende leggeri. In questa chiacchierata l’artista di Cattolica ci racconta come è nato, quali sono state le difficoltà e quali i piaceri. Un disco cresciuto tra la meraviglia e l’amarezza, tra la riscoperta dell’amore e la perdita di un maestro, Lucio Dalla.
Quando sono nate le canzoni di Nuvola Numero Nove; ha momenti privilegiati per scrivere, in cui si sente più ispirato?
Le ho scritte quasi tutte la notte. Lavoro sempre, ma la scrittura è un’operazione che, almeno per me, richiede silenzio. Altra cosa che mi favorisce è forzare i tempi: arrivo fino al punto in cui il fisico sembra non avere più un sorso di energia; proprio lì, nell’incoscienza, penso di scrivere le cose migliori. Evidentemente avevo vissuto abbastanza per cominciar a raccontare, ma non avevo ancora trovato lo stimolo di partenza. Una volta scritta la prima canzone, Reazione Umana, si è aperta la scatola e le canzoni sono nate quasi tutte nello stesso momento, a valanga. Per seconda (ma prima scritta per intero) è arrivata En e Xanax, da lì tutte le altre.
Che musica ascoltava mentre componeva l’album?
Se accendevo la radio, otto volte su dieci, c’erano i Modà. Ma quando in Chiamami Napoleone dico “non c’è più niente qui / qui da musicare / a parte un disco dei Modà” non voglio fare del “dissing”, la mancanza di rispetto verso i colleghi che sembra essere molto in voga anche qui in Italia – nemmeno fossimo delle gang americane -, io son di Cattolica come potrei fare del dissing? La mia è una semplice constatazione. Eravamo arrivati al punto di scommettere se accendendo la radio li avremmo sentiti; io sono arrivato a sedici euro e ho vinto! A parte questo, quando faccio un disco non ascolto molta musica, nei quattro anni precedenti l’uscita dell’album non ho prodotto molte canzoni, così in quel periodo ho comprato diversi dischi. Tra gli ultimi mi è piaciuto molto quello di Nicolò Fabi.
“In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore / e su di me puoi contare per una rivoluzione”, così canta in En e Xanax. Cos’è per lei la rivoluzione?
È ribaltare la situazione, capovolgere la realtà a cui sei costretto, mutare la dinamica e la prospettiva. Trasformare in qualche cosa di concreto qualcosa di astratto. La rivoluzione è la realizzazione di un sogno, non ha solo valenza politica. Una persona che ha sempre tinteggiato le stanze di nero e improvvisamente usa il bianco, compie una rivoluzione.
Qual è stato il momento più difficile di Nuvola Numero Nove?
Il momento peggiore è quando il disco è finito ed è iniziata la masterizzazione. E’ un processo tecnico, una cosa stranissima. Tutti i dischi devono avere lo stesso volume, altrimenti quando passano il tuo brano non si sente; la masterizzazione serve a questo: tirare su i volumi generali. Questa operazione comporta anche una compressione del suono e quindi una distorsione. Se il tecnico non è bravo, il suono che fino ad allora hai curato innaffiandolo ogni giorno può diventare, anzi tende necessariamente a diventare improvvisamente un’altra cosa. Questo è stato il lavoro più difficile, anche perché se per realizzare il disco ho impiegato cinque mesi per la masterizzazione avevo a disposizione solo quattro giorni. Ad ogni modo è andata bene, questa volta ho avuto la fortuna di avere un tecnico davvero bravo.
Ha recentemente perso il suo maestro, Lucio Dalla. Quanto sono presenti i suoi insegnamenti all’interno del nuovo album?
Lucio, nell’insegnare, era persino un po’ schivo, proprio lui che non lo è mai stato. Non amava l’idea di insegnare, ma chiunque passava un giorno con lui mentre scriveva poteva osservare e invidiare la sua vena naturale. Non usava trucchi, non l’ho mai visto tirar fuori un rimario; era poeta dentro, non per combinazione di rima. Da lui credo di aver assorbito l’idea di libertà, libertà anche da me stesso nel non ripetere in un disco la stessa canzone, questo lo annoiava molto. Per quanto riguarda i testi era, è, talmente alto che non è possibile entrare in competizione. Quando ho scritto Chiamami Napoleone ho pensato molto a lui, i cori alla voce che ho aggiunto successivamente possono essere letti come un omaggio. Certo, se mi chiedono cosa avrebbe detto è impossibile rispondere.
“Chiamami la Cardinale, chiama Monica Vitti, / e chiama chi sa invecchiare” così in Chiamami Napoleone. Lei come sente e come vive il passare del tempo, umanamente e artisticamente?
Penso di viverlo felicemente. Ho la fortuna di vivere la mia vita, anche da un punto di vista creativo, con persone nate anche prima del 1970. In studio, per la realizzazione dell’album, eravamo solamente io ed un’altra persona che credo abbia ventotto anni, questo mi ha aiutato a capire ragionamenti più veloci dei miei. Il passare del tempo non mi ha mai preoccupato molto, ora meno che mai. Non ho nostalgie. Questo è il disco meno nostalgico che abbia scritto, nei precedenti c’era sempre almeno una canzone che guardava indietro; in questo non ci sono tanti ricordi, e se ci sono servono per andare avanti. Ultima Chance, canzone-lettera a un amico, si riferisce al passato solo per parlare del presente: mi hai tradito ma sono qui, ora, per dirti che ti do ancora un’occasione, l’ultima.
Lei è nato a Cattolica e risiede a Bologna; quanto è stata riversato della cultura musicale dell’Emilia-Romagna in Nuvola Numero Nove?
Partiamo dalla copertina: l’ho fatta a Cattolica, ritraggono i miei occhiali su un muretto di un albergo mentre per puro caso ci passava una nuvola sopra. La Romagna, quindi, è già in copertina. Per quanto riguarda l’Emilia, scrivendo le canzoni a Bologna, un posto che mi piace molto, penso sia inevitabile che quello che si muove attorno a me finisca per riversarsi anche nelle canzoni. D.A.M.S è un brano che, evidentemente, non avrei potuto scrivere a Cremona. Penso che questa regione abbia la fortuna di parlare in un modo particolare, anche grazie ai dialetti, è molto piena di immagini; è un parlare che deriva da un dialetto che ha la tendenza a riempire, mai a sottrarre; non è un caso che molti abbiano cominciato a scrivere proprio qui. Per quanto riguarda i brani dell’album, Reazione Umana, ad esempio, inizia con una fisarmonica, ma pensare che io abbia usato la fisarmonica perché son romagnolo è come dire che in questo momento cammino scalzo perché sono parente di un aborigeno australiano. In quel caso ho usato quello strumento perché immaginavo un’atmosfera francese ed era adatto al tipo di melodia.
In Ultima Chanche e Il Re Muore sembra lei abbia fatto pace con alcuni fantasmi. Da dova arriva questa pace?
Quando dico che l’ho trovata nell’amore sembra un po’ banale, ma forse sono solo invidiabile. Aver trovato una persona con cui parlare esattamente come avrei sempre voluto parlare con chiunque, senza finzioni o filtri – la risposta è tutta qui. Questa cosa è quotidiana, non è nemmeno necessario che ci parliamo, anche se non ci chiamiamo ci “sentiamo”. Questo mi ha arricchito molto. Ho anche preso coscienza che sono nel centro esatto della mia vita: o tiro fuori quello che ho nello stomaco ora oppure farò sempre più fatica.