E’ certamente un dato di fatto quello ricordato dal ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, secondo cui è “difficile sostenere che, con la salita di Telefonica in Telco, Telecom Italia diventi spagnola visto che Telco, che possiede un 20% di Telecom Italia, era già a maggioranza Telefonica, che passerà dal 46 al 61 per cento”, con la facoltà di salire al 100% da gennaio in poi. E’ pur vero, però, che la questione del controllo di Telecom da parte di Telco è stata già oggetto di controversie. Lo sa bene Marco Fossati che attraverso la Findim possiede il 4,99% del capitale del gruppo di tlc e che nel 2011 fece una lunga battaglia, con tanto di esposto, per il riconoscimento del controllo di fatto della società da parte della scatola delle banche e di Telefonica. Battaglia che perse in assemblea quando si registrò una presenza superiore al 50% del capitale di Telecom, che non impedì però a Telco di nominare quattro quinti dei consiglieri di amministrazione del gruppo. Zanonato, poi, non può non sapere che con l’accordo siglato lunedì notte, i diritti di Telefonica in Telco, maggioranza azionaria a parte, si avviano a cambiare radicalmente per andare verso un reale controllo della scatola che fino ad ora non era possibile. Quindi non è del tutto scorretto, sebbene formalmente lo sia, affermare che Telecom si prepara a parlare spagnolo. Anche se ci vorrà ancora un po’ di tempo.
La lunga e costosa attesa di Telefonica – Del resto, come già accaduto per la Edison che era stata destinata ai francesi di Edf ben prima del passaggio di mano effettivo curato da Corrado Passera nel 2011, per il gruppo spagnolo si tratta di fatto di un cambio di testimone a lungo atteso e pagato a caro prezzo molto tempo fa. Nel lontano 2007, infatti, Telefonica era entrata in Telco versando una pesante tassa perfino rispetto ai consoci italiani: le azioni Telecom agli spagnoli erano costate 2,85 euro l’una contro i 2,53 spesi dagli italiani che, nonostante la minoranza relativa, avevano pattuito diritti di voto e di veto maggiori di Madrid. Complessivamente l’investimento di Telefonica per il 42,3% di Olimpia da Tronchetti Provera era stato di 2,314 miliardi di euro, contro il 2,829 miliardi spesi dagli italiani per poco meno del 58 per cento. Valori che sono lontani anni luce da quelli attuali di Borsa, dove Telecom, fino a prima dell’accordo, ha oscillato per lungo tempo intorno a quota 0,5 euro per azione, l’85% in meno del prezzo messo sul piatto lunedì dagli spagnoli.
Rimane quindi difficile parlare di uno scippo. Tanto più che Telefonica – che con l’ultima mossa porta a circa 3,155 miliardi di euro (400 milioni dei quali in proprie azioni) il totale che verrebbe speso per rilevare meno del 25% di Telecom – cinque anni fa si aspettava sinergie annue tra i 300 e i 500 milioni di euro da quella che avrebbe dovuto essere “la più grande alleanza del mondo: con i 210 milioni di clienti di Telefonica e i 90 milioni di clienti di Telecom si arriva a un gruppo da 300 milioni di clienti, il più importante del mondo”. Le cose non sono andate proprio così. E la cosa più rilevante che passerà sotto il controllo relativo di Telefonica sono 29,9 miliardi di debiti che si sommano ai 50 di miliardi che pesano sul gruppo spagnolo. Oltre ovviamente alla rete italiana e al sud america.
Dalla rete alle antenne, i tesori e i dolori di Telecom – Il più importante asset di Telecom Italia, la rete nazionale, vale fra gli 8 e i 16 miliardi, sempre che non venga confermato il taglio delle tariffe d’accesso effettuato dall’Agcom la scorsa estate attualmente oggetto di dibattito comunitario. In ogni caso la rete rappresenta la principale garanzia per il pesante debito del gruppo su cui grava anche la spada di Damocle del taglio del rating a “spazzatura”. Oltre ad essere sostanziale per lo sviluppo delle infrastrutture web del Paese e per questo è difficile immaginarlo in mani straniere. In totale sono 110 milioni di chilometri in rame e 4,1 milioni di chilometri di fibra ottica, oltre ad una rete europea e a una in Sud America.
E poi ci sono ben 12mila antenne Tim che potrebbero diventare l’asset principale della nuova Telecom nell’ambito del futuro piano industriale del gruppo. Se confermato. Un patrimonio nel wireless che ha un valore compreso fra 500 milioni e 1 miliardo di euro. Da aggiungere all’elenco, la famigerata Telecom Italia Sparkle, quella della frode carosello, che vende servizi di telecomunicazione, dati e internet in 40 Paesi nel mondo. E poi ancora Cubovision e Olivetti che opera nel settore dei prodotti e servizi per l’Information Technology offrendo soluzioni per l’automatizzazione di processi e attività aziendali alle piccole e medie aziende, oltre al Mux di trasmissione della tv La7.
Tutti asset per cui non mancherebbero i pretendenti, ma la cui cessione è stata finora congelata perché inversamente proporzionle alla possibilità di trovare nuovi soci per il gruppo. Del resto Telecom Italia, spogliata delle sue infrastrutture, non può che perdere valore. E già oggi la società capitalizza appena 7,8 miliardi di euro. Ma è evidente a tutti che il nodo del debitorio va risolto soprattutto in vista della necessità di nuovi investimenti in fibra che la società è chiamata a sostenere per costruire il proprio futuro. Resta sul tavolo l’ipotesi di costituire una newco per la rete assieme alla Cassa Depositi e Prestiti, che porterebbe in dote Metroweb, per procedere nella realizzazione della rete veloce. Ma finora, anche per via delle tensioni ai piani alti di Telco, non è stato possibile raggiungere un accordo nè sul debito che verrebbe accollato alla newco, nè sul numero di dipendenti che sarebbero trasferiti nella nuova società nè tanto meno sul futuro dei lavoratori Telecom che rimarrebbero nella società di tlc.
Consumatori brasiliani sul piede di guerra – La partita Telecom, insomma, è tutt’altro che conclusa. Ma di sicuro Telefonica non intende farsi sfuggire l’epilogo a proprio vantaggio. Non solo e non tanto per il mercato italiano cui gli spagnoli si affacciarono nel lontano con l’avventura Umts di Ipse 2000, finita in un flop. Ma soprattutto per gli asset sudamericani in Argentina e Brasile che rappresentano i più importanti driver di crescita del gruppo. E benchè gli analisti sottolineino i possibili problemi legati alla eccessiva concentrazione in America Latina e all’elevato debito di Telecom, il gruppo guidato da Caesar Alierta, che punta a portare il proprio indebitamento sotto quota 47 miliardi (ma è già a 53 nel primo semestre), tira dritto in vista del cda del prossimo tre ottobre. Poco entusiasta, in ogni caso, il mercato dove il rafforzamento di Telefonica in Italia, non è visto con favore da alcuni analisti finanziari spagnoli. Secondo Ivan San Felix di Renta 4, per esempio, “non ha molto senso perché Telecom è troppo indebitata. Non so se è il posto adeguato al quale la spagnola debba dirigere i suoi investimenti”.
In Brasile intanto sta già montando la rivolta dei consumatori per il fatto che le due aziende insieme avrebbero il 55% di quota di mercato con Telefonica proprietaria dell’operatore Vivo seguito da Tim Brasil come secondo player di mercato: “La cattiva qualità e gli alti costi dei servizi di telecomunicazione tenderanno a peggiorare ulteriormente, per via della riduzione della competitività nel settore”, spiega Maria Ines Dolci, coordinatrice istituzionale della Proteste, la più popolare associazione di difesa dei diritti del consumatore del Brasile. Difficile quindi immaginare che l’autorità locale che vigila sulla libera concorrenza, Anatel, che già in occasione dell’ingresso di Telefonica in Telco aveva imposto severi paletti agli spagnoli nella gestione di Tim Brasil, non intervenga, magari imponendo la cessione della controllata carioca di Telecom.
I soci italiani, da “salvatori” del sistema a salvati. I risparmiatori no – “Per Telecom i grandi soci italiani hanno preso una decisione pessima”, si è intanto affrettato a commentare via Twitter Passera, ex amministratore delegato di Intesa SanPaolo nonché, in qualità di ministro dello Sviluppo economico del governo Monti, firmatario del passaggio di Edison ai francesi per una somma che perfino la Consob si sentì in dovere di correggere al rialzo. Difficile dargli ragione. Anche solo per il fatto che Generali, Intesa e Mediobanca, che pure avevano pagato Telecom 2,53 euro per azione, fino a lunedì avevano all’orizzonte un’uscita ingloriosissima da Telco con le azioni ai prezzi di mercato (un quinto dell’investimento iniziale) e una quota proporzionale del debito di 2,6 miliardi della holding. Così, invece, sono riuscite a farsi pagare le azioni oltre 1 euro (+85% rispetto ai prezzi di Borsa) e a farsi rimborsare 400 milioni di debiti.
Caso esemplare, quello di Mediobanca che il 30 giugno aveva adeguato ai prezzi di mercato la sua quota in Telecom perdendoci 319,7 milioni di euro e, con l’uscita programmata per fine mese, avrebbe dovuto accollarsi circa 320 milioni di debiti. Le cose con il nuovo accordo cambiano parecchio: soltanto con la prima fase di dismissione di Telco, infatti, Piazzetta Cuccia ha ridotto di 35 milioni il prestito soci di sua pertinenza e attraverso il concambio in azioni Telefonica ha realizzato un utile di circa 60 milioni, come ha prontamente comunicato l’istituto nella mattinata di martedì. Film analogo per Generali, che però aveva Telecom in carico a 1,2 euro, ma che ha espresso soddisfazione per “aver concluso questo accordo che è in linea con i nostri obiettivi di rafforzamento patrimoniale e che ci permette di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno” ai soci del suo salotto, a partire dalla stessa Mediobanca. Trieste, poi, ha fatto sapere che “la svalutazione netta della quota Telco sarà di circa 65 milioni” e che l’intesa con Telefonica “riduce i rischi patrimoniali derivanti dall’eventuale futura cessione a Telefonica”.
Non a caso i maggiori guadagni in Borsa in scia alla notizia, li ha fatti Mediobanca (+3,24%), seguita da Generali (+1,47%) e Intesa Sanpaolo (+0,59%). In parità, invece, Telefonica a -0,09%, mentre Telecom è balzata dell’1,69 per cento. Un rialzo un po’ irrazionale, quest’ultimo, visto che il mercato e, quindi, i piccoli risparmiatori, avrà ben poco da guadagnarci come notava in un colloquio con Radiocor l’ex Commissario Consob, Luca Enriques. “Lo strumento dell’Opa serve per tutelare le minoranze in caso di trasferimento di controllo di una società, ma se non si prevede una soglia prefissata oggettiva, pari attualmente al 30%, oltre la quale far scattare l’obbligo di lanciare l’offerta, sarebbe difficilissimo stabilire, al di là del singolo caso, quando vi è il passaggio di controllo. Ciò provocherebbe una grande incertezza e darebbe una forte discrezionalità politica”, ha premesso. Per poi aggiungere che “in ogni caso operazioni di questo tipo possono danneggiare gli azionisti di minoranza”, ricordando che per Telecom è la terza volta che il cambio di fatto del controllo non passa dal mercato.
Lobby
Telecom, la dote italo-americana di Telefonica e il salvataggio del sistema
L'affare più rilevante del passaggio di mano lo fanno Mediobanca, Intesa e Generali. Al contribuente l'incognita rete e ai risparmiatori nulla, mentre per gli spagnoli è solo una tappa di una costosissima operazione
E’ certamente un dato di fatto quello ricordato dal ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, secondo cui è “difficile sostenere che, con la salita di Telefonica in Telco, Telecom Italia diventi spagnola visto che Telco, che possiede un 20% di Telecom Italia, era già a maggioranza Telefonica, che passerà dal 46 al 61 per cento”, con la facoltà di salire al 100% da gennaio in poi. E’ pur vero, però, che la questione del controllo di Telecom da parte di Telco è stata già oggetto di controversie. Lo sa bene Marco Fossati che attraverso la Findim possiede il 4,99% del capitale del gruppo di tlc e che nel 2011 fece una lunga battaglia, con tanto di esposto, per il riconoscimento del controllo di fatto della società da parte della scatola delle banche e di Telefonica. Battaglia che perse in assemblea quando si registrò una presenza superiore al 50% del capitale di Telecom, che non impedì però a Telco di nominare quattro quinti dei consiglieri di amministrazione del gruppo. Zanonato, poi, non può non sapere che con l’accordo siglato lunedì notte, i diritti di Telefonica in Telco, maggioranza azionaria a parte, si avviano a cambiare radicalmente per andare verso un reale controllo della scatola che fino ad ora non era possibile. Quindi non è del tutto scorretto, sebbene formalmente lo sia, affermare che Telecom si prepara a parlare spagnolo. Anche se ci vorrà ancora un po’ di tempo.
La lunga e costosa attesa di Telefonica – Del resto, come già accaduto per la Edison che era stata destinata ai francesi di Edf ben prima del passaggio di mano effettivo curato da Corrado Passera nel 2011, per il gruppo spagnolo si tratta di fatto di un cambio di testimone a lungo atteso e pagato a caro prezzo molto tempo fa. Nel lontano 2007, infatti, Telefonica era entrata in Telco versando una pesante tassa perfino rispetto ai consoci italiani: le azioni Telecom agli spagnoli erano costate 2,85 euro l’una contro i 2,53 spesi dagli italiani che, nonostante la minoranza relativa, avevano pattuito diritti di voto e di veto maggiori di Madrid. Complessivamente l’investimento di Telefonica per il 42,3% di Olimpia da Tronchetti Provera era stato di 2,314 miliardi di euro, contro il 2,829 miliardi spesi dagli italiani per poco meno del 58 per cento. Valori che sono lontani anni luce da quelli attuali di Borsa, dove Telecom, fino a prima dell’accordo, ha oscillato per lungo tempo intorno a quota 0,5 euro per azione, l’85% in meno del prezzo messo sul piatto lunedì dagli spagnoli.
Rimane quindi difficile parlare di uno scippo. Tanto più che Telefonica – che con l’ultima mossa porta a circa 3,155 miliardi di euro (400 milioni dei quali in proprie azioni) il totale che verrebbe speso per rilevare meno del 25% di Telecom – cinque anni fa si aspettava sinergie annue tra i 300 e i 500 milioni di euro da quella che avrebbe dovuto essere “la più grande alleanza del mondo: con i 210 milioni di clienti di Telefonica e i 90 milioni di clienti di Telecom si arriva a un gruppo da 300 milioni di clienti, il più importante del mondo”. Le cose non sono andate proprio così. E la cosa più rilevante che passerà sotto il controllo relativo di Telefonica sono 29,9 miliardi di debiti che si sommano ai 50 di miliardi che pesano sul gruppo spagnolo. Oltre ovviamente alla rete italiana e al sud america.
Dalla rete alle antenne, i tesori e i dolori di Telecom – Il più importante asset di Telecom Italia, la rete nazionale, vale fra gli 8 e i 16 miliardi, sempre che non venga confermato il taglio delle tariffe d’accesso effettuato dall’Agcom la scorsa estate attualmente oggetto di dibattito comunitario. In ogni caso la rete rappresenta la principale garanzia per il pesante debito del gruppo su cui grava anche la spada di Damocle del taglio del rating a “spazzatura”. Oltre ad essere sostanziale per lo sviluppo delle infrastrutture web del Paese e per questo è difficile immaginarlo in mani straniere. In totale sono 110 milioni di chilometri in rame e 4,1 milioni di chilometri di fibra ottica, oltre ad una rete europea e a una in Sud America.
E poi ci sono ben 12mila antenne Tim che potrebbero diventare l’asset principale della nuova Telecom nell’ambito del futuro piano industriale del gruppo. Se confermato. Un patrimonio nel wireless che ha un valore compreso fra 500 milioni e 1 miliardo di euro. Da aggiungere all’elenco, la famigerata Telecom Italia Sparkle, quella della frode carosello, che vende servizi di telecomunicazione, dati e internet in 40 Paesi nel mondo. E poi ancora Cubovision e Olivetti che opera nel settore dei prodotti e servizi per l’Information Technology offrendo soluzioni per l’automatizzazione di processi e attività aziendali alle piccole e medie aziende, oltre al Mux di trasmissione della tv La7.
Tutti asset per cui non mancherebbero i pretendenti, ma la cui cessione è stata finora congelata perché inversamente proporzionle alla possibilità di trovare nuovi soci per il gruppo. Del resto Telecom Italia, spogliata delle sue infrastrutture, non può che perdere valore. E già oggi la società capitalizza appena 7,8 miliardi di euro. Ma è evidente a tutti che il nodo del debitorio va risolto soprattutto in vista della necessità di nuovi investimenti in fibra che la società è chiamata a sostenere per costruire il proprio futuro. Resta sul tavolo l’ipotesi di costituire una newco per la rete assieme alla Cassa Depositi e Prestiti, che porterebbe in dote Metroweb, per procedere nella realizzazione della rete veloce. Ma finora, anche per via delle tensioni ai piani alti di Telco, non è stato possibile raggiungere un accordo nè sul debito che verrebbe accollato alla newco, nè sul numero di dipendenti che sarebbero trasferiti nella nuova società nè tanto meno sul futuro dei lavoratori Telecom che rimarrebbero nella società di tlc.
Consumatori brasiliani sul piede di guerra – La partita Telecom, insomma, è tutt’altro che conclusa. Ma di sicuro Telefonica non intende farsi sfuggire l’epilogo a proprio vantaggio. Non solo e non tanto per il mercato italiano cui gli spagnoli si affacciarono nel lontano con l’avventura Umts di Ipse 2000, finita in un flop. Ma soprattutto per gli asset sudamericani in Argentina e Brasile che rappresentano i più importanti driver di crescita del gruppo. E benchè gli analisti sottolineino i possibili problemi legati alla eccessiva concentrazione in America Latina e all’elevato debito di Telecom, il gruppo guidato da Caesar Alierta, che punta a portare il proprio indebitamento sotto quota 47 miliardi (ma è già a 53 nel primo semestre), tira dritto in vista del cda del prossimo tre ottobre. Poco entusiasta, in ogni caso, il mercato dove il rafforzamento di Telefonica in Italia, non è visto con favore da alcuni analisti finanziari spagnoli. Secondo Ivan San Felix di Renta 4, per esempio, “non ha molto senso perché Telecom è troppo indebitata. Non so se è il posto adeguato al quale la spagnola debba dirigere i suoi investimenti”.
In Brasile intanto sta già montando la rivolta dei consumatori per il fatto che le due aziende insieme avrebbero il 55% di quota di mercato con Telefonica proprietaria dell’operatore Vivo seguito da Tim Brasil come secondo player di mercato: “La cattiva qualità e gli alti costi dei servizi di telecomunicazione tenderanno a peggiorare ulteriormente, per via della riduzione della competitività nel settore”, spiega Maria Ines Dolci, coordinatrice istituzionale della Proteste, la più popolare associazione di difesa dei diritti del consumatore del Brasile. Difficile quindi immaginare che l’autorità locale che vigila sulla libera concorrenza, Anatel, che già in occasione dell’ingresso di Telefonica in Telco aveva imposto severi paletti agli spagnoli nella gestione di Tim Brasil, non intervenga, magari imponendo la cessione della controllata carioca di Telecom.
I soci italiani, da “salvatori” del sistema a salvati. I risparmiatori no – “Per Telecom i grandi soci italiani hanno preso una decisione pessima”, si è intanto affrettato a commentare via Twitter Passera, ex amministratore delegato di Intesa SanPaolo nonché, in qualità di ministro dello Sviluppo economico del governo Monti, firmatario del passaggio di Edison ai francesi per una somma che perfino la Consob si sentì in dovere di correggere al rialzo. Difficile dargli ragione. Anche solo per il fatto che Generali, Intesa e Mediobanca, che pure avevano pagato Telecom 2,53 euro per azione, fino a lunedì avevano all’orizzonte un’uscita ingloriosissima da Telco con le azioni ai prezzi di mercato (un quinto dell’investimento iniziale) e una quota proporzionale del debito di 2,6 miliardi della holding. Così, invece, sono riuscite a farsi pagare le azioni oltre 1 euro (+85% rispetto ai prezzi di Borsa) e a farsi rimborsare 400 milioni di debiti.
Caso esemplare, quello di Mediobanca che il 30 giugno aveva adeguato ai prezzi di mercato la sua quota in Telecom perdendoci 319,7 milioni di euro e, con l’uscita programmata per fine mese, avrebbe dovuto accollarsi circa 320 milioni di debiti. Le cose con il nuovo accordo cambiano parecchio: soltanto con la prima fase di dismissione di Telco, infatti, Piazzetta Cuccia ha ridotto di 35 milioni il prestito soci di sua pertinenza e attraverso il concambio in azioni Telefonica ha realizzato un utile di circa 60 milioni, come ha prontamente comunicato l’istituto nella mattinata di martedì. Film analogo per Generali, che però aveva Telecom in carico a 1,2 euro, ma che ha espresso soddisfazione per “aver concluso questo accordo che è in linea con i nostri obiettivi di rafforzamento patrimoniale e che ci permette di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno” ai soci del suo salotto, a partire dalla stessa Mediobanca. Trieste, poi, ha fatto sapere che “la svalutazione netta della quota Telco sarà di circa 65 milioni” e che l’intesa con Telefonica “riduce i rischi patrimoniali derivanti dall’eventuale futura cessione a Telefonica”.
Non a caso i maggiori guadagni in Borsa in scia alla notizia, li ha fatti Mediobanca (+3,24%), seguita da Generali (+1,47%) e Intesa Sanpaolo (+0,59%). In parità, invece, Telefonica a -0,09%, mentre Telecom è balzata dell’1,69 per cento. Un rialzo un po’ irrazionale, quest’ultimo, visto che il mercato e, quindi, i piccoli risparmiatori, avrà ben poco da guadagnarci come notava in un colloquio con Radiocor l’ex Commissario Consob, Luca Enriques. “Lo strumento dell’Opa serve per tutelare le minoranze in caso di trasferimento di controllo di una società, ma se non si prevede una soglia prefissata oggettiva, pari attualmente al 30%, oltre la quale far scattare l’obbligo di lanciare l’offerta, sarebbe difficilissimo stabilire, al di là del singolo caso, quando vi è il passaggio di controllo. Ciò provocherebbe una grande incertezza e darebbe una forte discrezionalità politica”, ha premesso. Per poi aggiungere che “in ogni caso operazioni di questo tipo possono danneggiare gli azionisti di minoranza”, ricordando che per Telecom è la terza volta che il cambio di fatto del controllo non passa dal mercato.
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Roma, 8 mar. (Adnkronos) - “Il risultato record raggiunto con il 2x1000 per il 2024 consente al Partito democratico un investimento straordinario sui territori: questa settimana abbiamo inviato oltre un milione di euro alle nostre articolazioni regionali e provinciali, che si somma alle 440.000 euro già anticipate. Si tratta solo del 70% di quanto pattuito, in quanto lo Stato non ha ancora trasferito l’intero 2x1000 spettante ai partiti politici. Ma noi invieremo comunque entro marzo il restante 30%, superando in totale i 2 milioni di euro relativi al solo 2024. Se sommiamo queste risorse al mezzo milione di euro trasferito lo scorso anno, possiamo calcolare che, in questi due anni di segreteria, il Pd nazionale ha trasferito ai territori più del doppio delle risorse trasferite negli otto anni precedenti sommati insieme, cioè dalla fine del finanziamento pubblico al 2022". Lo sottolinea il tesoriere del Pd, Michele Fina.
"Oggi -aggiunge- possiamo farlo perché sta arrivando a compimento una grande opera di risanamento del nostro bilancio, ma soprattutto perché abbiamo fatto fin dall’inizio una scelta precisa: investire per sostenere la partecipazione, l'attività politica e, in ultima istanza, la democrazia nel Paese. Abbiamo unito tutti i livelli del partito in un unico sforzo corale. Per questo nel 2024 siamo risultati il primo partito in assoluto con 10.286.000 circa di risorse, con una crescita di 3 milioni in due anni e ben 628.000 contribuenti che ci hanno scelto. È il dato più alto della nostra storia”.
“In un tempo in cui -le democrazie liberali sono messe in discussione dalla prepotenza finanziaria di plurimiliardari stranieri e dalla forza economica delle big tech, il Partito democratico -aggiunge la segretaria Elly Schlein- riparte dai territori, dal coinvolgimento della base, dal riacquisto e riapertura delle sedi, dalla formazione politica".
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - "Incredibile come nel caso del ricorso del clandestino trasportato sulla nave ‘Diciotti’, il pubblico ministero della Cassazione abbia dato torto all’immigrato con una motivata requisitoria, chiedendo il rigetto della domanda. La Cassazione in totale difformità della richiesta invece ha accolto il ricorso con una ordinanza che di giuridico pare avere ben poco. Infatti stravolgendo un principio costante, in assenza di una qualsiasi prova afferma che il danno morale subito dal clandestino va supposto, senza la necessità di esser provato. Quindi i famigliari delle vittime di un incidente sono tenuti a dar prova del danno morale subito, l’immigrato no! È incredibile come la Cassazione non abbia nemmeno indicato i criteri per la determinazione del danno. Una ordinanza che di giuridico ha molto poco. Siamo al fanta-diritto. All’uso politico della giustizia elevato alla massima potenza". Lo afferma Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato.
"Peraltro -aggiunge- la ‘suprema’ Corte è poco suprema perché ha persino scritto nella sentenza 1989 invece di 2019. Dico alla presidente della Cassazione che poi le sue minacce ci lasciano indifferenti. Loro possono scioperare contro lo Stato e la legalità repubblicana. E noi non potremmo dire quello che pensiamo? Lo ripeto: siete contro la separazione dei poteri, siete fuori dalla legge. La magistratura da risorsa è diventata malattia per il Paese”.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - In occasione della Giornata Internazionale della donna Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl, ricorda e condanna la penalizzazione che subiscono le donne dopo la nascita di un figlio. "Non è possibile - ha detto nel corso dell'evento del sindacato 'Donne, lavoro, futuro' - che da noi abbia un peso così grande e negativo la 'child penalty', la penalizzazione che le donne subiscono alla nascita di un figlio. Succede a un quinto delle donne, che lasciano il lavoro proprio in quello che dovrebbe essere il momento più bello della propria vita. Una cosa totalmente assente per gli uomini, una discriminazione inaccettabile". ''Se questo accade, - sottolinea la sindacalista è anche perché l’organizzazione del lavoro nelle imprese, e più in generale nella società, rimane fondamentalmente modellata sugli uomini''.
Secondo Fumarola "ancora è troppo diffuso, persino implicitamente, il pensiero che dietro a ogni uomo che lavora ci sia una donna che si occupa dei compiti di cura". "Siamo al nodo fondamentale di una 'conciliazione' ancora insufficiente tra vita familiare e lavorativa. Investire sulla parità di genere, - ha detto - significa trainare la crescita. Vanno create le condizioni affinché le donne possano entrare nel sistema produttivo, restarci e competere alla pari''.
Nel corso dell'evento 'Donne, lavoro, futuro' Daniela Fumarola ha parlato anche di pensioni. "Non appena si riaprirà il tavolo di confronto sulle pensioni, quello della previdenza al femminile" sarà "uno dei primi punti da affrontare". "Non c’è dubbio: la parità non si fa per legge, dall’oggi al domani. Bisogna costruire le condizioni", ha spiegato. "La questione dei tempi e delle modalità di lavoro - ha detto ancora - va affrontata, garantendo a lavoratrici e lavoratori un maggior grado di libertà nella loro gestione, incentivando in modo significativo congedi parentali equamente distribuiti, smart-working contrattato, welfare negoziato di taglio sociale. Le chiavi decisive, per noi, sono la partecipazione, intesa proprio come 'filosofia' di fondo, e il rafforzamento della contrattazione collettiva aziendale".
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - Oggi non è la ‘Festa della donna’, ma la Giornata internazionale della donna, per ricordare che c’è ancora troppo, moltissimo per cui lottare. Ancora oggi, nascere donna non significa tagliare lo stesso nastro di partenza di un uomo. Non esiste la parità salariale e non esiste una concreta attuazione del diritto all’aborto. Va combattuto il negazionismo, in particolare del patriarcato. Fin quando il nostro sarà un Paese in cui si esulterà perché un datore di lavoro avrà deciso di prolungare un contratto di lavoro a una donna incinta, non avremo ancora raggiunto la parità di partenza con gli uomini. Le donne vogliono vivere, non sopravvivere, libere di decidere sul proprio corpo". Lo affermano le parlamentari M5S in commissione bicamerale di inchiesta sul Femminicidio e la violenza di genere Stefania Ascari, Anna Bilotti, Alessandra Maiorino e Daniela Morfino.
Hiroshima, 8 mar. (Adnkronos) - "L’impegno della vostra Associazione per la pace e contro la proliferazione delle armi nucleari, ha sempre espresso un appello accorato per il futuro: che nessun altro popolo, che nessun altro Paese debba mai affrontare una tragedia simile. Mai più!". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, incontrando ad Hiroshima l'Associazione dei sopravvissuti ai bombardamenti nucleari.
"Grazie, cari Hibakusha, per aver sottolineato che l’orrore da voi vissuto -ha ripetuto il Capo dello Stato- deve rimanere unico, tragico, spartiacque nella storia. Una cesura irreversibile nel percorso dell’umanità, affinché non sia più varcata la soglia dell’annientamento nucleare".
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - La transizione energetica corre veloce e lo confermano i grandi numeri di Key - The Energy Transition Expo, l’evento di Ieg (Italian Exhibition Group) di riferimento in Europa, Africa e bacino del Mediterraneo che si chiude oggi alla Fiera di Rimini infrangendo i suoi stessi record. Con un +20% di presenze totali (di cui +40% dall’estero) rispetto al 2024, oltre 1.000 espositori, di cui più del 30% dall’estero, 90.000mq di superficie su 20 padiglioni e nuovi focus, uno sui porti e l’altro sull’idrogeno, in collaborazione con Hannover Fairs International GmbH (Hfi), filiale italiana di Deutsche Messe AG, e ben 400 giornalisti accreditati dall’Italia e dal mondo, quella appena conclusa è stata l’edizione di Key più grande di sempre. E anche la più internazionale con 350 hosted buyer e delegazioni provenienti da 50 Paesi in fiera grazie al supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci) e dell’Agenzia Ice e alla collaborazione con le più importanti Associazioni del settore.
Key ha trasformato per tre giornate il quartiere fieristico e Rimini nel cuore pulsante della transizione e dell’efficienza energetica: il luogo in cui, fra soluzioni innovative e tecnologie all’avanguardia, la community globale del settore ha iniziato a realizzare il futuro dell’energia. Oltre 160 eventi, convegni e workshop con la partecipazione di esperti, studiosi, ricercatori e rappresentanti del mondo associativo e delle imprese, hanno offerto un’opportunità di confronto e approfondimento su ogni aspetto, novità e sviluppo del mercato energetico.
Inaugurata mercoledì 5 marzo dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, Key25 ha costituito un’occasione unica per le aziende e i professionisti del settore, per conoscere le soluzioni presenti e future per garantire la sicurezza energetica, controllare i costi dell’energia e preservare la competitività del tessuto industriale. Inoltre, ha favorito l’incontro e l’interlocuzione con le Istituzioni per promuovere l’efficienza come via privilegiata da percorrere per vincere la sfida mondiale della decarbonizzazione. Presente anche Michele De Pascale, presidente della Regione Emilia - Romagna. Con l’Innovation District e la seconda edizione del Premio “Lorenzo Cagnoni”, Key 25 ha consolidato il proprio sostegno all’innovazione, estendendolo, con l’iniziativa Green Jobs & Skills, alle nuove competenze green e sostenibili ancora troppo poco diffuse nelle aziende, ma su cui è sempre più necessario investire per realizzare la transizione energetica. Al tema dei costi dell’energia, dei Ppa come soluzione finanziaria innovativa per controllarli e con un focus sui nuovi Data Center, imprescindibili per lo sviluppo tecnologico, è stata dedicata la seconda edizione di Key Choice - Unlock the future of Ppa, l’evento B2B di Key - The Energy Transition Expo, organizzato da Ieg in collaborazione con Elemens e con il supporto di SolarPlaza, che si è svolto martedì 4 marzo al Palacongressi di Rimini per favorire l’incontro fra i fornitori di energia e le aziende ad alto consumo energetico con l’obiettivo di facilitare la stipula di contratti Ppa. Key tornerà alla Fiera di Rimini dal 4 al 6 marzo 2026.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - La transizione energetica corre veloce e lo confermano i grandi numeri di Key - The Energy Transition Expo, l’evento di Ieg (Italian Exhibition Group) di riferimento in Europa, Africa e bacino del Mediterraneo che si chiude oggi alla Fiera di Rimini infrangendo i suoi stessi record. Con un +20% di presenze totali (di cui +40% dall’estero) rispetto al 2024, oltre 1.000 espositori, di cui più del 30% dall’estero, 90.000mq di superficie su 20 padiglioni e nuovi focus, uno sui porti e l’altro sull’idrogeno, in collaborazione con Hannover Fairs International GmbH (Hfi), filiale italiana di Deutsche Messe AG, e ben 400 giornalisti accreditati dall’Italia e dal mondo, quella appena conclusa è stata l’edizione di Key più grande di sempre. E anche la più internazionale con 350 hosted buyer e delegazioni provenienti da 50 Paesi in fiera grazie al supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci) e dell’Agenzia Ice e alla collaborazione con le più importanti Associazioni del settore.
Key ha trasformato per tre giornate il quartiere fieristico e Rimini nel cuore pulsante della transizione e dell’efficienza energetica: il luogo in cui, fra soluzioni innovative e tecnologie all’avanguardia, la community globale del settore ha iniziato a realizzare il futuro dell’energia. Oltre 160 eventi, convegni e workshop con la partecipazione di esperti, studiosi, ricercatori e rappresentanti del mondo associativo e delle imprese, hanno offerto un’opportunità di confronto e approfondimento su ogni aspetto, novità e sviluppo del mercato energetico.
Inaugurata mercoledì 5 marzo dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, Key25 ha costituito un’occasione unica per le aziende e i professionisti del settore, per conoscere le soluzioni presenti e future per garantire la sicurezza energetica, controllare i costi dell’energia e preservare la competitività del tessuto industriale. Inoltre, ha favorito l’incontro e l’interlocuzione con le Istituzioni per promuovere l’efficienza come via privilegiata da percorrere per vincere la sfida mondiale della decarbonizzazione. Presente anche Michele De Pascale, presidente della Regione Emilia - Romagna. Con l’Innovation District e la seconda edizione del Premio “Lorenzo Cagnoni”, Key 25 ha consolidato il proprio sostegno all’innovazione, estendendolo, con l’iniziativa Green Jobs & Skills, alle nuove competenze green e sostenibili ancora troppo poco diffuse nelle aziende, ma su cui è sempre più necessario investire per realizzare la transizione energetica. Al tema dei costi dell’energia, dei Ppa come soluzione finanziaria innovativa per controllarli e con un focus sui nuovi Data Center, imprescindibili per lo sviluppo tecnologico, è stata dedicata la seconda edizione di Key Choice - Unlock the future of Ppa, l’evento B2B di Key - The Energy Transition Expo, organizzato da Ieg in collaborazione con Elemens e con il supporto di SolarPlaza, che si è svolto martedì 4 marzo al Palacongressi di Rimini per favorire l’incontro fra i fornitori di energia e le aziende ad alto consumo energetico con l’obiettivo di facilitare la stipula di contratti Ppa. Key tornerà alla Fiera di Rimini dal 4 al 6 marzo 2026.