Il nuovo segretario al Tesoro Usa, Jack Lew, è stato esplicito ieri nella lettera che ha inviato ai membri del Congresso “Se non delibererete entro il 17 ottobre un aumento al tetto del nostro debito, sarà impossibile per gli Stati Uniti d’America onorare tutti i suoi impegni di cassa”.
Il “buco” sarebbe di almeno 30 miliardi di dollari ma, nelle oscillazioni dei flussi di cassa, in certi giorni successivi a quella data il buco potrebbe arrivare anche a 60 mld di dollari.
Dunque siamo di nuovo alla “farsa” dello “shut-down” di cassa, che ha caratterizzato gli ultimi due anni del primo mandato presidenziale del presidente Obama. Infatti già diverse volte Obama ha dovuto scontrarsi politicamente contro i conservatori del partito repubblicano, che controllano numericamente una delle due Camere del Congresso, per ottenere l’incremento al tetto del debito necessario ad evitare il default di cassa. Nel mese di agosto del 2011 il governo guidato da Obama ha dovuto compiere un vero e proprio “braccio di ferro” con John Bohener, lo Speaker del Congresso, e con Paul Ryan il giovane presidente (repubblicano) del “House Budget Committee”, prima di arrivare ad un accordo che ha elevato il nuovo tetto a 16.690 miliardi di dollari. L’accordo però è stato raggiunto soltanto impegnando entrambe le parti ad attuare tutta una serie di forti tagli alle spese pubbliche a partire dal 2013. A queste manovre di tagli delle spese pubbliche viene dato negli Usa il nome di “sequester”. Tuttavia il “sequestro” deciso frettolosamente dal Congresso e dalla Casa Bianca nel 2011 come strumento per avviare una seria politica di risanamento del budget federale, non ha avuto il tempo per esaminare ed approvare un piano dettagliato e ponderato dei tagli, così fu deciso di approvare un piano decennale di 1,2 trilioni di dollari (1200 miliardi) di riduzioni di spesa, composto sostanzialmente da tagli “orizzontali” sostanzialmente indiscriminati.
Probabilmente questa decisione aveva anche lo scopo di lasciare ai vincitori delle elezioni presidenziali del novembre 2012 il privilegio e l’onere di scegliere in dettaglio quali spese tagliare. Così è stato, anche se, essendo ancora una volta il partito del presidente, contrastato fortemente nelle sue decisioni dal partito avversario che controlla una Camera del Congresso, ogni decisione del governo soggetta all’approvazione del Congresso deve prima superare infinite trattative con la controparte politica.
Nonostante il fatto che il “sequester”, diventato operativo nel gennaio di quest’anno, abbia già cominciato a dare qualche risparmio nel bilancio pubblico, tuttavia la necessità di non “stringere troppo la corda” al fine di non soffocare una economia che sta faticosamente tentando di uscire dalla lunga fase recessiva, ha portato evidentemente il governo Obama a raggiungere di nuovo la fatidica soglia del tetto fissato al debito.
Sul piano puramente “tecnico” mettere un tetto al debito pubblico è un totale nonsenso essendo già ogni capitolo di spesa soggetto all’approvazione del Congresso, che controlla anche il budget annuale, prima di diventare operativo. Quindi il tetto al debito ha una funzione sostanzialmente politica. La sua vera finalità è chiaramente diversa da quella di contenere le spese dello Stato ad un livello virtuoso. Infatti entrambi i partiti, nei periodi in cui ne avevano la responsabilità, hanno abbondantemente pigiato sull’acceleratore della spesa pubblica, salvo trovare sempre, dopo sfibranti contese politiche, l’accordo per alzare il tetto del debito, che tra il 1980 e il 2012 è passato da meno di 2 trilioni di dollari nel 1980 a oltre 16 trilioni nel 2012.
Non è scontato però che anche questa volta l’accordo venga raggiunto. La sfida potrebbe anche arrivare al punto di rottura e un eventuale “shut-down” di cassa tra pochi giorni avrebbe effetti negativi che potrebbero essere persino devastanti sull’economia americana, molto di più di un eventuale, anche se significativo, rialzo al tetto del debito.
Bisogna dirlo fino alla noia, non è la quantità del debito a preoccupare i creditori, ma è il ritardo nei pagamenti o peggio il timore che il debito non venga pagato, cioè un default di cassa. Ci sarebbe poi tutto il corollario di effetti negativi che si metterebbero in moto: l’automatica riduzione del rating sul debito, la salita dei tassi sul debito, la chiusura temporanea di certi uffici e certi servizi, ecc. che darebbero vita ad una serie di scioperi e acri proteste da parte di quei dipendenti pubblici che aspettano invano uno stipendio o una pensione che non arriva. Per non parlare dei titoli a mezza pagina su tutti i giornali nazionali, e delle televisioni, che non potrebbero fare a meno di dare ampio risalto alle proteste.