Le previsioni del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, sembrano sempre più ottimistiche se si pensa che secondo il Fondo monetario Internazionale il rapporto deficit-pil dell’Italia si attesterà nel 2013 al 3,2%, sopra il 3,1% atteso dal governo e comunque al di sopra della soglia del 3% necessaria per non violare gli accordi con Bruxelles. Un tema molto delicato, quest’ultimo, visto che proprio su questo punto Saccomanni domenica scorsa ha minacciato le dimissioni.
Il calo a livelli di sicurezza, al 2,1%, è atteso invece soltando nel 2014. Nel suo rapporto sulla Penisola, l’Fmi sottolinea che il debito del Paese si attesterà quest’anno al 132,3%, per salire nel 2014 al 133,1 per cento. E che il governo di Enrico Letta “mantiene l’appoggio del Parlamento” ma “le tensioni all’interno della coalizione sono evidenti e rappresentano un rischio all’outlook economico”. Non solo. “L’Italia resta vulnerabile al contagio finanziario a causa dell’alto debito sovrano e dei bisogni di rifinanziamento, 400 miliardi di euro l’anno” e “ritardi nella politica, anche a livello europeo, potrebbero minare la fiducia, spingendo l’Italia in un contesto negativo di rialzo dello spread, difficoltà di finanziamento delle banche, e peggioramento dell’economia”.
In soldoni, “uno scenario di nuovi stress nella zona euro potrebbe abbassare il pil italiano di oltre 4 punti percentuali rispetto al valore di base e aumentare i rischi di una spirale debito-deflazione“. Con ripercussioni anche all’esterno. “Shock in arrivo dall’Italia potrebbero avere un impatto significativo sull’Europa e anche al di fuori dell’Europa attraverso i canali finanziari e commerciali. Legami bilaterali sono particolarmente visibili nel caso di Francia e Germania“. Ma, dato il ruolo centrale dell’Italia nel commercio globale e nel sistema finanziario “un significativo shock idiosincratico in Italia potrebbe generare contagi a livello globale e regionale che potrebbero essere superiori di quanto suggerisca la sola esposizione diretta”.
I LIMITI DELLA POLITICA – “Il governo continua a portare avanti un’agenda di riforme, ma si trova a far fronte a limiti politici”, spiega la valutazione sulla Penisola stilata dagli ispettori del Fondo ai sensi dell’articolo IV degli accordi internazionali. “Una coalizione instabile che porti a ritardi nella politica, allo stallo delle riforme strutturali e fiscali o a declassamenti del rating”, potrebbe avere “impatto sulla sostenibilità del debito e comportare una significativa perdita di fiducia nel mercato e spingere l’Italia in un cattivo equilibrio che si autoalimenta e in un periodo protratto di crescita negativa”, scrive il Fmi nel rapporto che sottolinea come già le banche straniere “hanno ridotto significativamente la loro esposizione nel debito sovrano italiano e nelle banche”.
Il Fondo chiede quindi di “mantenere i target fiscali nel breve termine” e continuare nel medio termine oltre ad accelerare le riforme fiscali per ripristinare la fiducia. Ma indica come cruciali per la crescita le riforme del lavoro e della giustizia. “Senza riforme strutturali la crescita a medio-lungo termine resterà bassa. A causare tutto ciò una produttività bassa, un clima di sviluppo del business difficile e un settore pubblico troppo influente“, è la valutazione in sintesi. “A pesare anche un sistema giudiziario troppo alto per fare business, oltre alla scarsità degli investimenti esteri, così come la piccola dimensione delle società del mercato finanziario”. E’ quindi necessario “migliorare il mercato del lavoro, aprire il settore dell’energia e liberalizzare i servizi”, ma anche rafforzare i bilanci delle banche e ridurre il debito pubblico, obiettivo questo raggiungibile con una tempestiva esecuzione dell’agenda di privatizzazioni.
TROPPE TASSE DA PAGARE – Se mai ci fosse stato bisogno di una conferma sui dolori del carico fiscale, eccola. “Il carico fiscale in Italia è tra i più alti dell’area Ocse, al 44% del Pil, bisogna fare di più per sostenere l’economia abassando le tasse sulle transazioni finanziarie e quelle sul lavoro finanziandole con tagli della spesa corrente non produttiva”, sottoline il Fmi suggerendo che “i risparmi potrebbero essere usati per aumentare gli investimenti pubblici“.
In ogni caso per il Fondo, “bene ha fatto l’Italia applicando misure fiscali in un momento non facile, generando uno dei più alti surplus primari dell’area euro. Per proteggere questi risultati, vanno subito trovate le coperture all’abolizione dell’Imu sulla prima casa, cercando anche di supportare la crescita tagliando le imposte su lavoro e capitale, senza allargare la base imponibile, in questo senso va rafforzata la lotta all’evasione fiscale. Anche delle nuove privatizzazioni non vengono escluse”.
DISOCCUPAZIONE AL PICCO E CRESCITA MODESTA – Relativo ottimismo, invece, sul fronte occupazionale. Se nel 2013 è previsto il picco del tasso di disoccupazione al 12,5%, infatti, successivamente è atteso un “calo graduale” con il rafforzamento della ripresa. Secondo gli analista del Fondo, “il tasso resterà ai livelli pre-crisi” almeno nel prossimo futuro.
Quanto alla crescita, per fine anno la vede anche il Fondo, ma “modesta, grazie all’export. La domanda interna dovrebbe ripartire nonostante le condizioni del credito restino molto complesse”. L’economia italiana “dopo due anni di recessione mostra segni di stabilizzazione”, sintetizza il Fondo che evidenzia le indicazioni positive arrivano “dai dati recenti: la fiducia di imprese e famiglie è in crescita mentre gli ordinativi alle esportazioni sono risaliti, ma occupazione e spesa restano deboli”.
BANCHE FRAGILI E DIPENDENTI DA BCE E FAMIGLIE – Non va meglio sul fronte bancario con gli istituti che “hanno rafforzato la loro posizione ma restano vulnerabili ad un’economia debole”. Ma soprattutto “le banche italiane continuano a contare pesantemente sul sostegno dell’Eurosistema e hanno rimborsato una piccola parte dei prestiti dell’Eurosistema pari a 255 miliardi di euro a giugno”. Dipendenza non ricambiata, anche nei confronti dei piccoli risparmiatori, visto che “i depositi di imprese e famiglie continuano ad aumentare, ma l’accesso ai finanziamenti resta difficile”.
E intanto nello scenario peggiore previsto dagli stress test, 13 banche italiane avrebbero un fabbisogno totale di 6 miliardi di euro (lo 0,4% del Pil) per rispettare i requisiti patrimoniali minimi previsti da Basilea 3. Nello scenario di base e in quello di bassa crescita, invece, la dotazione di capitale del sistema bancario (valutata su 32 istituti) viene giudicata sufficiente.
IL CASO MONTE DEI PASCHI DI SIENA – Merita un capitolo a parte il caso Monte dei Paschi di Siena, fosse anche solo per l’impegno statale nella banca da oltre 4 miliardi di euro. Il Fondo ricorda come Mps abbia il rapporto di sofferenze più alto fra le maggiori banche italiane (quasi il 22% a fine marzo 2013) e come l’istituto senese conti “pesantemente” sulle iniezioni di liquidità della Bce, 29 miliardi sotto forma di Ltro, il 13% degli asset totali. Oggi il nuovo management, scrive l’Fmi, “sta affrontando un ambizioso piano di ristrutturazione” che però “deve essere attuato in circostanze economiche difficili e che è ancora soggetto a cambiamenti” dal momento che deve essere approvato dalla Commissione Europea.
Ma soprattutto “i mercati restano scettici” e “queste incertezze possono creare problemi nella raccolta del necessario capitale privato“. E c’è da notare che l’analisi risale a giugno, quando l’aumento di capitale imposto dalla Ue era di 1 miliardo, ora salito a 2,5 miliardi, il che rende ancora più pesante il giudizio degli uomini di Christine Lagarde su Rocca Salimbeni. Anche perché Banca Monte dei Paschi di Siena “è una banca sistemica i cui problemi trovano in parte le basi nella somma di errori di governance e di gestione e attuare con successo l’ambizioso piano di ristrutturazione è fondamentale non solo per la stessa banca ma anche per tutto il sistema” bancario italiano.
L’INADEGUATEZZA DELLE FONDAZIONI BANCARIE – Due parole, infine, anche sulle fondazioni bancarie, pur senza alcun riferimento esplicito al Monte dei Paschi di Siena o a Carige. “Le Fondazioni sono uno stabile azionista di lungo termine delle banche, ma la loro peculiare struttura di governo societario e l’inadeguata supervisione creano rischi”, mette in evidenza il Fmi. Che non risparmia neanche gli istituti popolari fa anni al centro del dibattito con l’emblematico caso della Banca Popolare di Milano. Secondo il Fondo Monetario anche le popolari avrebbero bisogno di migliorare le formule di governo societario cosa che avrebbe effetti benefici sull’intero sistema creditizio. “Una corporate governance efficace è importante per il buon funzionamento del sistema bancario e l’integrità dei mercati finanziari”, sottolinea il rapporto aggiungendo che gli istituti popolari dovrebbe essere incoraggiati a trasformarsi in società per azioni.
Infine i poteri della Banca d’Italia. L’Fmi riconosce l’elevata vigilanza esercitata da Via Nazionale sul settore in Italia ma chiede un rafforzamento dei suoi poteri come “l’introduzione del potere di rimozione di uno o più amministratori” degli istituti di credito. Nel suo rapporto sull’Italia, l’Fmi dà anche una indicazione, peraltro già recepita nelle recenti indicazioni di Vigilanza: requisiti di onorabilità e professionalità più stringenti per gli azionisti oltre che un maggior controllo sulla loro capacità di sostenere il capitale.