La Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila ha condannato a 30 anni anni Salvatore Parolisi per l’ omicidio della moglie Melania Rea. In primo grado i giudici avevano pronunciato la sentenza di ergastolo. Come aveva chiesto l’accusa anche in secondo grado.
L’intervento del legale della famiglia Rea, Mauro Gionni, era stato incentrato su alcune prove per smontare le repliche della difesa di Salvatore Parolisi. In udienza, come ha raccontato lo stesso Gionni, è stato mostrato un video che mostra l’uomo sullo stesso luogo del delitto mentre dondola la figlia Vittoria con gli stessi abiti di quel triste 18 Aprile, una video chat con la soldatessa con cui aveva una relazione, nella quale i due si mostrano reciprocamente le parti intime, ma soprattutto un filmato del 20 Aprile, giorno in cui è stato ritrovato il cadavere di Melania, nel quale sono evidenti macchie di sangue rappreso che secondo la difesa di Salvatore potrebbero aver dato vita a quell’impronta sullo chalet che, secondo la difesa, avrebbe potuto dimostrare l’innocenza dell’ex caporalmaggiore. Gionni ha invece spiegato che i militari della scientifica si sono addirittura sporcati i guanti con quel sangue e che quindi quell’impronta può avere quel tipo di origine. La chat hard con Ludovica è stata mostrata, ha spiegato Gionni, per contestualizzare la lettera prodotta dalla difesa di Parolisi nella quale Salvatore dice alla moglie di volerle bene: la chat è di soli quattro giorni prima la lettera per Melania.
Parolisi aveva cercato di convincere la giuria ammettendo i tradimenti, ma spiegando di volere bene alla vittima. “L’ho tradita ma le volevo bene, non sono un assassino. Sono innocente” aveva detto Parolisi, in una dichiarazione spontanea, a inizio della seconda udienza del processo “Non era lì, sul luogo dell’omicidio, la ricostruzione del giudice dopo le 14.55 non regge”, diceva uno dei due legali della difesa, Walter Biscotti. Ma la corte ha accolto invece la tesi dell’accusa.
E’ il 18 aprile 2011 quando Carmela Melania Rea, 29 anni, scompare sul Colle San Marco di Ascoli Piceno, dov’era andata per trascorrere qualche ora all’aria aperta insieme al marito, Salvatore, militare del 235esimo Reggimento Piceno, e alla loro bambina di 18 mesi. Secondo quanto verrà riferito da Parolisi , l’unico in grado di confermare questa circostanza, la donna si era allontanata per andare in bagno in uno chalet. Nessuno però, si apprenderà in seguito, l’aveva mai vista entrare. Il suo corpo viene scoperto due giorni dopo, il 20 aprile, in seguito alla telefonata anonima di un uomo che, intorno alle 14.30-15.00, avverte il 113 da una cabina telefonica pubblica del centro di Teramo ma che non verrà mai rintracciato. Il cadavere di Melania viene ritrovata in un bosco di Ripe di Civitella, nel teramano, a circa 18 chilometri di distanza da Colle San Marco, poco lontano dalla località chiamata Casermette, dove si svolgono esercitazioni militari di tiro.
E’ stata dura”. E’ l’unico commento uscito dalla bocca di uno dei giudici popolari della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila che ha confermato, di fatto, la colpevolezza di Parolisi. I sei giudici popolari sono usciti tutti insieme e non hanno voluto rilasciare altre dichiarazioni.
Assediato dalle tv il fratello di Melania, Michele, dice a tutti che è la sentenza che la famiglia ha sempre sperato di ottenere. “Abbiamo lottato per arrivare fin qui, abbiamo creduto nella giustizia, ora è arrivata questa sentenza tanto attesa”. Tutti i familiari della vittima sono fuggiti in auto, l’unico che ha avuto il coraggio di affrontare i cronisti è Michele che ripete: “Salvatore ha riportato questa ennesima condanna pesante, e sebbene resti sempre una sconfitta per la vita, resta una vittoria per la giustizia”.